giovedì 15 marzo 2018

La Stampa 15.3.18
L’intellettuale Settis: “Il M5S abbandoni l’alibi del web”
“I dem e il Movimento convergano senza fare l’errore del 2013
Di Maio non è stato eletto premier”
di Giuseppe Salvaggiulo


Salvatore Settis, già presidente del Consiglio superiore dei beni culturali e direttore della Normale di Pisa, intellettuale tra i più ascoltati sia tra gli elettori di sinistra che tra quelli grillini, offre una chiave di lettura del risultato elettorale e si schiera a favore di una convergenza di governo tra Pd e M5S.
Professore, che lettura dà del risultato elettorale?
«Due cose mi paiono chiare: la forte discontinuità con gli assetti tradizionali, che denuncia la crisi di una classe dirigente che tende a rifugiarsi nel privilegio di casta anziché a fare da motore al Paese; e una mappa del voto che allontana il Sud dal Nord, confermando che il Mezzogiorno è stato marginalizzato dall’agenda di governo, e deve tornare al suo centro».
La somma dei voti di Lega, M5S e Fratelli d’Italia supera abbondantemente il 50 per cento: siamo diventati anti-europei?
«A me pare che gli italiani non dicano “no” all’Europa, ma siano molto insoddisfatti di come l’Unione sta gestendo se stessa, e in particolare le questioni del debito pubblico e della spesa sociale. A questi interrogativi non si risponde con slogan generici tipo “più Europa” o “meno Europa”, ma chiedendosi quale è l’Europa che vorremmo. Passata la febbre delle elezioni, è sul merito di questa domanda che si giocherà la capacità progettuale dei partiti».
Come mai la sinistra non ha raccolto questo disagio?
«Lacerata da contrasti interni, la “sinistra” ha passato questi anni a guardarsi l’ombelico perdendo il contatto con il Paese. Anziché ricostruire la forma-partito come luogo di discussione e di elaborazione di progetti, si è chiusa in scontri di potere, in cui la competenza specifica (sulla Costituzione, sulla scuola, sull’ambiente, sul lavoro) era meno importante di una vuota retorica delle riforme. Questa “sinistra” ha ignorato le tensioni e le sofferenze del Paese, cercando di tenerle a bada con slogan e successi effimeri. Non ci è riuscita».
Lei non è entrato nella squadra di Di Maio prima delle elezioni. È una chiusura definitiva?
«Il gioco di società del “toto-ministri” non mi interessa. Se anche Galileo fosse ministro dell’Università e della ricerca, ma in un governo che non ponga questi temi in assoluta priorità, non potrebbe fare nulla di buono. E poi: secondo la Costituzione, di nomi ha senso parlare solo quando vi sarà un presidente incaricato. Ed è facile profezia che si arriverà a questo punto fra svariate settimane, se non mesi».
A cosa attribuisce il successo della Lega?
«Cancellando dal proprio nome la parola Nord, ha raccolto consensi anche a Sud, ma resta un partito imperniato su una concezione chiusa della società, e senza nessun vero progetto che non sia la difesa di piccoli e grandi privilegi e una dannosa xenofobia. Ma ha saputo canalizzare quella parte di protesta che ieri si identificava in un Berlusconi ormai in caduta libera».
Come legge il declino parallelo di Berlusconi e di Renzi?
«Un punto in comune ce l’hanno, ed è la cieca personalizzazione della politica, una sorta di egolatria da grande leader. Ma che qualcuno sia “grande”, per verità, dovrebbero essere gli altri a dirlo. O la Storia».
Cosa pensa del M5S: movimento populista o nuova sinistra?
«“Populisti”, nel linguaggio politico italiano, sono sempre gli altri, finché vengono sdoganati arrivando al potere (come è successo alla Lega). Nei 5 Stelle c’è dentro di tutto, una metà più o meno di sinistra ma anche una componente centrista o di destra. Per diventare forza di governo, tali contraddizioni dovrebbero essere affrontate accrescendo la democrazia interna senza rifugiarsi nel facile alibi della piattaforma web».
Pd e M5S dovrebbero convergere per formare un governo?
«Dopo le elezioni del 2013 firmai gli appelli di Barbara Spinelli e Michele Serra per un governo di scopo M5S-Pd. Nonostante duecentomila firme, tutto si risolse in niente, anzi da Beppe Grillo arrivarono solo sberleffi per “gli intellettuali”. Guardando i numeri di questo Parlamento, un esperimento di alleanza di questo tipo mi pare comunque preferibile a ogni altro».
Su quale piattaforma e con quale tipo di compromesso?
«L’elaborazione programmatica di entrambi è insufficiente. Questa debolezza può diventare un punto di forza, se si avrà il coraggio di costituire un tavolo di discussione in cui tener conto non solo di quel che dicono i partiti, ma del confronto fra l’Italia e gli altri Paesi (ad esempio, lo scarso investimento in cultura), nonché delle istanze che nascono “dal basso”: dalle associazioni, dai movimenti per i beni comuni, dai cittadini».
Per favorire una simile soluzione, sarebbe auspicabile un passo di lato di Di Maio in favore di una personalità terza che non sia il leader di un partito avversario, invotabile per il Pd?
«I progetti per il futuro del Paese sono più importanti dei nomi. La Costituzione non prevede che il presidente del Consiglio esca dalle urne, ma che venga nominato dal Capo dello Stato (art. 92). Nel costume italiano sta prevalendo una specie di “presidenzialismo debole”, coi nomi dei leader indicati talvolta già sulla scheda. Io credo che dovremmo optare per un “costituzionalismo forte”».
Nei prossimi giorni parteciperà al convegno torinese dedicato a Stefano Rodotà: com’era il vostro rapporto?
«Il suo insegnamento non era solo di Diritto, ma di etica e di vita civile. Non sono un giurista, e l’ho conosciuto relativamente tardi. Vorrei cercare di dire perché e come il suo modo di affrontare il rapporto fra diritti della persona e forma della società mi abbiano affascinato e convinto».
Qual è oggi il valore della sua lezione?
«Ne scelgo fra tanti solo uno, il nesso forte, anzi necessario, fra due idee o principi: da un lato un’idea di cittadinanza inclusiva, intesa non solo come il corredo di diritti e doveri del singolo ma come tessitura della fabbrica sociale; dall’altro lato, la responsabilità individuale e collettiva di tradurre i più alti principi giuridici in azione politica».