Corriere 14.3.18
Gina, una donna per la Cia con l’ombra lunga delle torture
Coordinò le operazioni antiterrorismo più contestate
di Guido Olimpio
Il
passato è la sua forza, il passato può essere la sua croce. Per forza
di cose quando si parla della nuova direttrice della Cia, Gina Haspel,
dobbiamo voltarci indietro e lo farà anche lei. Sarà costretta quando
sarà esaminata dal Congresso dove le faranno domande scomode. E si
aspetteranno risposte nitide. C’è chi avrà comprensione in nome della
«sicurezza dei cittadini» e chi riterrà che quelle macchie — le torture —
non possano essere cancellate. Le associazioni per i diritti umani la
considerano «una criminale», in Germania, nel 2017, hanno chiesto alla
Procura di spiccare un mandato di cattura nei suoi confronti.
La
storia della Haspel, 61 anni, si intreccia con gli anni della lotta al
terrorismo. Lei è entrata nell’Agenzia nel lontano 1985, allora la
minaccia veniva dai dirottamenti e dalle valigie-bomba, successivamente
ha ricoperto incarichi all’estero, compreso uno alla «stazione» di
Londra. Grande lavoratrice, abile nei rapporti all’interno di un
apparato mostruoso e cannibale, la Haspel ha partecipato al programma
segreto lanciato dopo l’11 settembre. La Cia ha creato in numerosi Paesi
prigioni clandestine dove ha poi rinchiuso persone accusate di far
parte di Al Qaeda. Alcuni lo erano per davvero, altri meno. Non pochi
sono stati sequestrati da commando nelle vie di una città: avvenne a
Milano nel febbraio 2003 con l’imam egiziano Abu Omar, finito poi al
Cairo. Diversi sono stati «presi in consegna» in collaborazione con
servizi amici. Un piano varato da George W. Bush che è chiaramente
sfuggito di mano. Troppi volevano mettersi una tacca sul cinturon e.
In
una di queste operazioni, nel 2002, Miss Gina ha coordinato Cat’s Eye,
carcere top secret in Thailandia. Da qui sono passati Abu Zubayda e Abd
al Rahim al Nashiri, qaedisti fino al midollo. Il primo è stato
sottoposto alla tecnica che simula l’annegamento — waterboarding — 83
volte, privato del sonno, percosso, quindi infilato in una «scatola» in
ferro. Il trattamento fu così feroce che ritennero ad un certo punto che
il terrorista fosse spirato. Molte di quelle sessioni vennero filmate e
registrate. I video, però, non esistono più perché la Cia — per ordine
dell’alto funzionario Jose Rodriguez, superiore di Gina — li ha
distrutti senza chiedere alcuna autorizzazione, mossa nella quale la
Haspel ha avuto un ruolo e, stando ai critici, avrebbe manovrato a lungo
per ottenere la cancellazione.
Dopo l’esperienza thailandese la
spia è tornata a Langley, nell’ufficio antiterrorismo, ed ha proseguito
la sua carriera, in grado di resistere alle indiscrezioni su quanto era
avvenuto e alle battaglie politiche all’esterno. Nel 2013 stava per
essere nominata responsabile delle operazioni clandestine, ma la
promozione è saltata all’ultimo istante proprio per l’opposizione sul
suo nome e le vecchie missioni. Non è stata però una bocciatura totale.
Obama non ha mai avuto l’intenzione di perseguire gli 007 e con
l’avvento di Trump la prospettiva è cambiata: quegli agenti erano dei
«patrioti», la tortura ammissibile. La veterana ha così superato la
tempesta per riemergere fino a diventare la numero due dell’Agenzia. E
di fatto ha mandato avanti l’intelligence mentre il direttore Mike
Pompeo — un politico — si dedicava alla parte ufficiale. Ora si prende
il vertice, posto che a giudizio di molti le spetta. Una conferma delle
quote rosa nel «sistema».
Le donne rappresentano Il 45% del
personale e il 35% dei quadri graduati. Certo, non mancano
discriminazioni e ingiustizie, ma con il tempo sono riuscite a farsi
spazio. Con l’impegno e il sacrificio. Famosa un’altra Gina, Gina
Bennett: faceva parte della banda delle sei, le donne che hanno
partecipato alla caccia a Osama. Fu lei a scrivere uno dei primi report
su Bin Laden a metà degli anni 90. Diverse sono ricordate con una stella
sul muro dei caduti al quartier generale. Barbara Roberts morta nel Sud
Vietnam nel 1963, Monique Lewis dilaniata insieme al marito da una
bomba a Beirut nell’83, Jennifer Matthews responsabile della base di
Khost, Afghanistan, e uccisa da un kamikaze. Combattenti di una guerra
che non finisce mai. Tantomeno per un falco come la Haspe l.