martedì 13 marzo 2018

Corriere 13.3.18
Ci vuole più rispetto per la follia (vera)
di Paolo Di Stefano


Bisognerebbe avere più rispetto per la follia: parlarne solo a ragion (o follia) veduta. Per esempio, mai in una campagna elettorale si è tanto sentita la parola «follia», che, con i rispettivi aggettivi, è diventata l’accusa più ricorrente agli avversari politici. Il reddito di cittadinanza del M5S? Una follia per Salvini e per Renzi. La flat tax di Salvini? Una follia per Renzi e per Di Maio. E la tassazione attuale? Una follia per Berlusconi, per Salvini e per Di Maio. Uscire dall’euro? Una follia quasi per tutti. Diceva la poetessa matta Alda Merini che anche la follia merita i suoi applausi. Non si riferiva alla presunta follia dei furbi o dei finti tonti ma alla follia dei veri folli. Di cui bisognerebbe avere più rispetto, senza parlarne a sproposito. Se qualcuno volesse davvero viaggiare, senza essere osservato, dentro la testa, i pensieri, i sensi e i nonsensi, le pazzie dei folli, sconsiglierei di rincorrere le reciproche accuse della politica e raccomanderei invece di leggere un libretto pubblicato da Le Farfalle, un editore minimo, siciliano di Valverde. Si intitola «Vento traverso» ed è stato scritto da Anna Pavone, che vive divisa tra Milano e Catania dedicandosi a lavori editoriali. Contiene, con i disegni di Bruno Caruso, voci senza nome ascoltate nei manicomi e liberate in poche righe sul bianco delle pagine. Piccoli cortocircuiti mentali, abissi di verità, di dolore e di fantasia che dimostrano quanta saggezza c’era in quella frase di Alda Merini. Poesia involontaria e vertiginosa nel solco della letteratura semplice e stralunata praticata da Gianni Celati ed Ermanno Cavazzoni, narratori delle riserve e dei margini che i politici non conoscono. E anche nella linea sproloquiante dei repertori dei matti di Palermo, di Parma, di Livorno, di Roma, di Milano, di Bologna raccolti e raccontati da Roberto Alajmo e da Paolo Nori. Uno dice: «Io penso che morire mi farebbe bene», e un altro: «Dipingo le sbarre, metto le luci per tenere lontana la notte». E sempre a proposito della notte: «Non sono riuscita a dormire l’altra notte. Sapevo che eri dietro le tende». Altri sono più luminosi: «Sono saltato dalla finestra perché volevo raggiungere il sole e danzare». Altri più cauti: «Se esco potrei volare via, oggi c’è vento». Ma la domanda finale non la troverete mai sulla bocca di un finto folle dopo una catastrofe elettorale: «Come ho fatto a estinguermi così?». Applausi.