Corriere 10.3.18
L’intervista di Aldo Cazzullo
D’Alema: «Populisti? No, li vota la sinistra. E il Pd si confronti con M5S»
L’ex
premier tra i leader di Liberi e uguali: il centrosinistra veda se è
possibile un programma comune. Se Togliatti dialogò con Giannini
dell’Uomo qualunque, si può dialogare con Di Maio. Candidarmi è stato un
errore
di Aldo Cazzullo
D’Alema, lei disse al Corriere: piuttosto che restare nel Pd, meglio prendere il 3%. È stato accontentato.
«Non
sono contento del risultato, ma le ragioni per cui ce ne siamo andati
sono le stesse per cui in cinque anni se ne sono andati 2 milioni e
mezzo di elettori. Non erano critiche di un gruppetto di rancorosi; era
un esame pertinente della situazione. Avevamo ragione».
Non era meglio rimanere nel Pd? Ora ve la giochereste.
«Abbiamo di fronte lo stesso problema: costruire un nuovo centrosinistra. Liberi e uguali può dare un contributo fondamentale».
Perché siete andati così male?
«Pur
avendo compreso i motivi del fallimento della politica del Pd, non
abbiamo saputo mettere in campo una proposta che ci distinguesse. Siamo
apparsi una parte di quel centrosinistra che gli elettori hanno
condannato; infatti andiamo bene dove va bene anche il Pd, e andiamo
male dove anche il Pd va male. Ci siamo mossi tardi».
Dovevate fare la scissione prima?
«Sì.
Ce ne siamo andati poco prima delle elezioni, abbiamo cambiato due
simboli — Articolo 1, Mdp, Leu — in pochi mesi. Se lanci un prodotto sul
mercato in questo modo, non hai nessuna possibilità di successo. E
dovevamo marcare una più netta discontinuità di programma, dare un
profilo più chiaro di novità, anche con le candidature».
Compresa la sua.
«Lo
riconosco: accettare la candidatura è stato un errore politico. Ma sul
piano personale ho fatto quel che mi sentivo: combattere per le cose in
cui credo. Ognuno deve seguire il suo demone. Io sono fatto così».
Ora tornerete nel Pd?
«Abbiamo
avuto un milione e 100 mila voti: pochi per dire “la sinistra siamo
noi”; troppi per dire che abbiamo sbagliato tutto. È un voto militante,
appassionato, che non va disperso. Liberi e uguali deve essere la forza
propulsiva del nuovo centrosinistra. Ora dobbiamo organizzarci in quel
campo, che può tornare a essere competitivo; come dimostra la vittoria
di Zingaretti».
Voi il centrosinistra l’avete diviso.
«Il Pd
non perde perché c’è Leu; perde perché si è separato dal suo popolo. E
la campagna sul voto utile per fermare la destra ha spinto molti verso i
5 Stelle».
Cosa accadrà nel Pd?
«Sono fiducioso che in quel
partito maturi la consapevolezza che non si tratta solo di cambiare
leader, ma linea politica. La propaganda sulla crescita non ha commosso
nessuno: perché l’Italia cresce meno degli altri; e perché la crescita
può convivere con l’aumento delle disuguaglianze e della povertà, se non
c’è un’azione politica sulla qualità sociale dello sviluppo».
Così hanno vinto i populisti.
«Diffido
dell’uso troppo facile di questo termine. Qualcuno ha detto: la
sinistra chiama populismo tutto quello che non riesce a capire. Gran
parte dell’elettorato dei 5 Stelle viene dalla sinistra. Di fronte alla
condizione del Mezzogiorno, tema in questi anni del tutto dimenticato, i
5 Stelle hanno detto: noi diamo un reddito ai poveri e combattiamo i
privilegi. Sono le due bandiere della sinistra».
Il reddito di cittadinanza è irrealizzabile.
«Ma
se i riformisti rinunciano a dare risposte praticabili a questi temi,
qualcuno prende il loro posto. E non puoi dire ai tuoi elettori: siete
fascisti, ho una pregiudiziale nei vostri confronti, con voi non parlo. È
sbagliato politicamente e culturalmente».
Sta dicendo che la sinistra dovrebbe fare il governo con i grillini?
«Non
so se ci siano le condizioni per fare un governo. So che il
centrosinistra non può sottrarsi al confronto; ha il dovere di andare a
vedere. Nel momento in cui i 5 Stelle passano dalla propaganda
elettorale alla responsabilità di governo, dovranno fare una selezione
delle priorità dei passi possibili. È una sfida cui io li chiamerei. Se
invece tutti si alleano per impedire loro di governare, la prossima
volta prendono il 50%».
Renzi esclude alleanze.
«Che senso
di responsabilità nazionale è dire “sto all’opposizione”, quando è
evidente che non c’è modo di formare un governo? All’opposizione di che?
Capisco che Renzi viva una fase di smarrimento; ma la sua posizione non
ha senso compiuto. Vogliamo tornare al voto con il Rosatellum? Pensano
di essere così furbi da indurre i 5 stelle a fare il governo con la
Lega? Mi ricordano Tecoppa: “Fermati, che ti infilzo!”».
L’alternativa sarebbe l’astensione per far nascere un governo di centrodestra.
«Sarebbe
un suicidio». Pregiudiziale anti Salvini? «Su Salvini non ho un
pregiudizio ma un giudizio: non possiamo avere nulla a che fare con un
lepenista. Vorrebbe dire prendere quel che resta della sinistra italiana
e consegnarla a Di Maio».
Lei è stato il primo a parlare di governo del presidente. Tutti dentro?
«Semmai
tutti fuori. È una soluzione estrema: se non si trova nessuna via, il
presidente della Repubblica dà l’incarico a una personalità esterna e
chiede a tutti i partiti un atto di responsabilità. Può durare alcuni
mesi, il tempo di fare la legge elettorale. Certo se la fanno la Lega e i
5 Stelle le elezioni successive diventano un ballottaggio Salvini-Di
Maio; noi possiamo anche non presentare le liste».
Ma alla Lega conviene il turno unico, ai 5 Stelle il doppio turno. Lei quale sistema preferisce?
«Il
doppio turno di collegio. In ogni caso, ci troviamo in questa
situazione per una legge pessima imposta dal Pd. A maggior ragione il Pd
non può disinteressarsi del governo del Paese».
Cosa dovrebbero fare i dirigenti?
«Prendersi
un po’ di tempo per riflettere. Ho fiducia che lo faranno: li conosco,
li ho visti crescere, è gente di qualità. La crisi non sarà né breve né
semplice. Certo non è facile ragionare dopo una mazzata; posso farlo io,
che sono persona esperta anche nel prendere botte».
D’Alema rottamato definitivamente?
«Io
non sono stato rottamato. Ho scelto di non ricandidarmi quando era
segretario Bersani. Stavolta ho sbagliato a cedere. Ma non ci si dimette
dalle passioni».
E ora propone il confronto con i 5 Stelle.
«Lì
c’è un pezzo del nostro mondo. Il confronto è necessario a verificare
la possibilità di avere un programma comune, non demagogico ma in
discontinuità con questi anni. Se non le soluzioni, la direzione di
marcia dei 5 Stelle è condivisibile: ridurre le disuguaglianze,
occuparsi del Mezzogiorno, colpire i privilegi: tutti, non solo quelli
dei politici; ce ne sono di assai maggiori. Si tratta anche di capire se
i 5 Stelle vogliono davvero governare».
Dialogo, quindi.
«Se
Togliatti dialogò con Guglielmo Giannini, il fondatore dell’Uomo
Qualunque, il centrosinistra può dialogare con Luigi Di Maio».