Repubblica 8.2.18
Usa-Cina, il deficit incendia la guerra dei commerci
Nel 2017 sbilancio record di 566 miliardi Trump attacca, Pechino pronta a ritorsioni
di Federico Rampini
NEW
YORK La tensione commerciale Usa-Cina probabilmente è solo agli inizi.
Di certo non aiuta a placarla l’ultimo dato sugli scambi bilaterali. Il
deficit commerciale americano con la Repubblica Popolare è aumentato del
12% l’anno scorso raggiungendo i 566 miliardi di dollari. Un dato così
elevato non si vedeva dal 2008, anno in cui la crisi non si era ancora
tradotta in una riduzione degli scambi internazionali. Il deficit
bilaterale con la Cina rappresenta da solo quasi la metà di tutto il
disavanzo commerciale degli Stati Uniti verso il resto del mondo. Il
dato del 2017 non può che rafforzare la determinazione di Donald Trump
ad assumere nuovi provvedimenti contro quella che lui denuncia da sempre
come la “concorrenza sleale” dei cinesi. Il 2018 si è aperto
all’insegna di questi provvedimenti: un mese fa la Casa Bianca
annunciava dei dazi contro l’importazione di pannelli solari cinesi (e
lavatrici sudcoreane). Fin qui si tratta di misure molto limitate, ma
altre sono in arrivo.
Un terzo del deficit commerciale Usa-Cina è
nelle tecnologie avanzate: computer, smartphone e altri prodotti
elettronici. Questo da una parte conferma quanto la Cina si sia spostata
su produzioni a più alto valore aggiunto, allontandosi dalle origini.
D’altra parte l’avanzata della Cina nell’elettronica e informatica rende
ancora più visibile il tema del furto di proprietà intellettuale, altro
cavallo di battaglia di Trump. Le normative di Pechino che impongono
agli imprenditori occidentali di creare joint venture con partner cinesi
e di trasferire know how ai soci locali, equivalgono a un massiccio
trasferimento di conoscenze tecnologiche.
Tra le ragioni per cui
il deficit Usa-Cina si è ulteriormente allargato nel 2017, alcune sono
“virtuose”. La crescita dell’economia americana ha avuto
un’accelerazione, e quando la domanda tira una parte si riversa su
prodotti stranieri. The Wall Street Journal, giornale tradizionalmente
conservatore ma contrario al protezionismo, sostiene che lo stesso Trump
in parte ha contribuito al boom di importazioni dall’estero: le sue
minacce di dazi avrebbero spinto alcune industrie americane a fare
incetta di acciaio e alluminio dalla Cina, per immagazzinare scorte
prima che scattino nuove misure anti-dumping. Nell’insieme comunque
l’intero commercio estero degli Stati Uniti continua a soffrire di uno
squilibrio evidente: nel 2017 le esportazioni di prodotti made in Usa
sono cresciute del 5,5%, ma le importazioni dall’estero sono aumentate
del 6,7%. Intanto Pechino ha annunciato le prime contromisure, in
risposta ai dazi sui pannelli solari made in China.
E’
interessante osservare sia il contenuto che il metodo prescelto dal
governo cinese. Da una parte, la Cina ha seguito la via “legalistica”:
ha avviato un regolare ricorso contro i dazi americani seguendo le
procedure della World Trade Organization, che è il tribunale supremo per
questo genere di controversie.
L’iter prevede anzitutto un
dialogo fra le due parti alla ricerca di un accordo amichevole; in capo a
30 giorni se l’accordo non c’è la questione passa al tribunale del Wto;
nel frattempo Pechino può annunciare le sue ritorsioni, ma deve
aspettare tre anni prima di applicarle.
Un’altra mossa cinese è
stata l’annuncio che il governo di Pechino apre un’indagine sulle
importazioni di sorgo dagli Stati Uniti, sospettando che questo cereale
sia venduto sottocosto (quindi in dumping) grazie ad aiuti di Stato.
Questa mossa è doppiamente interessante.
Anzitutto mette nel
mirino uno di quei settori dell’economia americana – relativamente
pochi, in confronto alla Cina – dove gli aiuti di Stato vengono
praticati da sempre e in misura sostanziale.
L’agricoltura
americana pur essendo tra le più produttive del mondo gode anche di una
pletora di sovvenzioni. In secondo luogo la mossa cinese ha una valenza
politica: la lobby degli agricoltori americani, benché rappresenti una
piccola quota della popolazione, è politicamente influente e spesso vota
repubblicano nel “granaio” del Midwest. Uno Stato agricolo come l’Iowa è
il primo nel calendario delle primarie per la nomination dei candidati
presidenziali. Gli agricoltori dell’Iowa votano compatti, molti di loro
sono protestanti evangelici, formano uno zoccolo duro del partito
repubblicano. Per adesso la Cina reagisce con prudenza ma vuol far
capire all’Amministrazione Trump che le sue reazioni potrebbero essere
calibrate per infliggere il massimo danno.