il manifesto 8.2.18
L’incredibile storia della riscoperta di Delfi sotto le case del villaggio di Castri
di Tiziano Fratus
Le
radici di quel pensiero europeo rivolto alla Grecia come ad un paese
arretrato e sostanzialmente inabile a occuparsi del proprio passato
risalgono a ben prima degli “aiuti” della Troika. Quantomeno al Sette e
Ottocento, quando facoltosi privati con la passione per la cultura
antica finanziarono di tasca propria scavi archeologici, sostenendo tesi
quali, ad esempio: «L’antichità è un giardino che appartiene a coloro
che ne coltivano i frutti».
La “mania” da antica civiltà – una
vera e propria predazione coloniale – portò al trasferimento a Londra di
parte dei marmi del Partenone o dell’obelisco di Luxor a Parigi.
Capitava che nei paesi che erano stati scenario di civiltà gloriose si
aprissero occhi fulgidi, come quando nel Cinquecento a Roma era stato
ritrovato il complesso scultoreo del Laocoonte, oppure quando nel 1738 e
nel 1748 si riscoprirono Ercolano e Pompei.
Le guerre
napoleoniche resero poco invitante l’Italia, così la passione crescente
di esploratori inglesi, tedeschi e francesi, seguiti poi dalla seconda
metà dell’Ottocento dagli americani, si rivolse alla Grecia. Atene fu il
punto iniziale, ma seguirono la città di Olimpia, Delo, Creta e così
via. Un a caso a sé fu quello di Delfi, centro religioso e cuore
dell’antico culto al dio Apollo, il sovrano del sole, della fertilità,
della vita.
Ne ricostruisce la storia Michael Scott, docente
all’università di Warwick, in un saggio che recentemente Laterza ha
ripubblicato in una bella edizione economica. Titolo: Delfi. Il centro
del mondo antico. La tradizione racconta di un pastore che portava le
bestie a pascolare su un pianoro, alle pendici del monte Parnaso, nei
pressi di un crepaccio notava che esse si inebriavano. Ben presto altre
persone capirono che qualcosa pulsava dentro la terra e venne costruito
un luogo di culto alla dea Gea (VIII sec. a. C.), in seguito sostituita
dal santuario al dio Apollo, laddove vaticinava una sacerdotessa, la
Pizia. Attorno a questo si costruì una vera e propria città nella quale
si celebravano grandi giochi. Altre località della Grecia che avevano
avuto fortuna economica o commerciale pagavano tributi per costruire
tempietti che andavano sotto il nome di «tesoro», omaggi alla
benevolenza del dio e dell’oracolo. Bere le acque della fonte Castalia,
dedicate alle Muse, faceva diventare poeti.
L’abolizione dei culti
pagani imposta da Roma nelle province dell’impero a partire dalla fine
del Trecento portarono alfine ad un lungo abbandono. Dal XV secolo i
visitatori che raggiungevano il Parnaso vi trovavano pochi resti
desolanti: il muro di cinta dell’aria sacra e le case di alcune
centinaia di abitanti, pastori e piccoli artigiani, che nel corso dei
secoli avevano costruito un villaggio, Castri. Quando ci si rese conto
che lì sotto probabilmente riposavano i resti di statue, aurighe e
colonnati, archeologi e appassionati europei iniziarono un’estenuante
trattativa cogli abitanti e con lo stato greco, in formazione dopo
l’indipendenza dalla Turchia e un ingresso stegosaurico nella modernità.
Grazie ad un sostegno astronomico assicurato dal governo francese, nel
1889 iniziarono gli scavi che restituirono alcuni segni della
magnificenza di quell’antico sito che oggi possiamo andare ad ammirare.