il manifesto 8.2.18
Cina, Xi Jinping mette la mafia nel mirino
Cina.
Dopo la durissima campagna anti corruzione adesso è il turno delle
triadi. Il presidente cinese così promette di «schiacciare le mosche»
che ostacolano la lotta contro la povertà
di Alessandra Colarizi
Dalla
corruzione al crimine organizzato. La campagna lanciata cinque anni fa
da Xi Jinping per ripulire il Partito comunista dagli elementi dissoluti
estende il proprio raggio d’azione arrivando «a scavare in profondità»
nelle viscere del malaffare. Il virgolettato è mutuato dal documento
rilasciato dal Comitato centrale del Pcc e dal Consiglio di Stato a fine
gennaio: «Notifica sulla lotta speciale condotta per spazzare via le
gang criminali e debellare il male».
AVVIATA PERSONALMENTE dal
presidente cinese, la nuova campagna antimafia coinvolgerà 30 organi
statali e di Partito con lo scopo conclamato di rafforzare la
legittimità della leadership e ravvivare la fiducia del popolo nei
confronti dei vertici del potere. Partendo dal basso, però. Secondo il
comunicato, infatti, la lotta contro le triadi – le organizzazioni
criminali cinesi di stampo mafioso – aiuterà a «schiacciare le mosche», i
funzionari di rango inferiore che operano a livello di contea e
villaggio.
Quelli tradizionalmente meno inclini ad allinearsi alle
politiche del governo centrale e con cui i cittadini si trovano a
trattare quasi quotidianamente, mentre «le tigri» (gli alti papaveri)
rimangono celebrità da notiziari della Cctv. Facile intuire l’esistenza
di un nesso con la lotta alla povertà, l’altro cavallo di battaglia con
cui Xi punta a conquistare legittimità agli occhi del popolo.
NEGLI
ULTIMI ANNI, 970 persone sono state arrestate per aver utilizzato in
maniera impropria parte dei 30 miliardi di dollari stanziati per
liberare 70 milioni di cinese dallo stato di povertà entro il 2020. Non a
caso la missione della campagna anticrimine è duplice: «assicurare la
stabilità del paese» e «chiarire chi è a favore o contrario» al Pcc (che
oltre la Muraglia si sovrappone allo Stato) nel consolidamento del
potere politico grass-root. Si capisce come il miglioramento della
qualità della vita sia un fattore collegato al mantenimento della
stabilità sociale.
SECONDO QUANTO RIFERITO a stretto giro da Guo
Shengkun, segretario della Commissione per gli Affari politici e legali,
a finire nel mirino saranno soprattutto il gioco d’azzardo, la
pornografia, il contrabbando di stupefacenti, il traffico di esseri
umani, e le vendite piramidali. Tutte quelle attività che, come spiega
l’agenzia statale Xinhua, si avvalgono dei vuoti normativi per sfruttare
i settori della logistica e dei trasporti attraverso società di comodo
regolarmente registrate. Nessuna pietà nemmeno per le aziende che
concedono prestiti con interessi usurai, piaga sociale nell’era della
finanza online Un altro elemento di instabilità agli occhi del Partito.
COME
SPIEGA il People’s Daily, in realtà il giro di vite nei confronti della
criminalità era partito nel gennaio 2016, quando la Procura suprema
aveva ordinato di sconfiggere le triadi nei villaggi. Da allora, solo
nella provincia del Guangxi 1.200 persone sono state perseguite
penalmente per il loro coinvolgimento nella mafia locale, mentre a
Xiongan – la nuova zona economica dello Hebei voluta da Xi come
contraltare settentrionale a Shanghai – un bizzarro piano richiede ad
ogni contea di gestire almeno un caso criminale al mese.
«GLI
UFFICI di pubblica sicurezza locali devono rendere noti i loro numeri di
cellulare al pubblico in modo che i residenti possano denunciare i
crimini», spiega il China Daily mettendo in evidenza l’altro elemento
cardine: la partecipazione popolare che in Cina vanta un lungo trascorso
di delazioni più o meno spontanee, dai baojia di epoca Song (sistema
comune di applicazione delle leggi e controllo civile su base
famigliare) alle denunce della Rivoluzione Culturale fino alle soffiate
delle migliaia di volontari che tutt’oggi vigilano su Pechino con una
fascia rossa al braccio.
A FRUGARE BENE tra le pieghe della storia
recente di yanda («colpire duro») si torna a parlare fin dagli anni
’80, quando Deng Xiaoping varando le prime riforme economiche mise bene
in chiaro che nessuno, per quanto di nobili natali, sarebbe più stato al
di sopra della legge. A farne le spese fu il figlio del generale Zhu De
– un «principino» comunista – mandato al patibolo per teppismo all’età
di 25 anni. Seguirono le campagne nazionali del 1996, 2001 e 2010, annus
horribilis contraddistinto da una lunga scia di omicidi ai danni di
bambini, anziani e disabili. Ma è nella defilata megalopoli del
sud-ovest, Chongqing, che nel 2009 si è assistito alla più clamorosa
«caccia alle streghe», fruttata 5,000 arresti e la confisca di beni per
oltre 473 milioni di dollari in soli dieci mesi.
È PROPRIO CON LO
SLOGAN «spazzare via il nero» che l’allora capo del Partito locale Bo
Xilai conquistò l’approvazione della pancia del paese. E poco importa se
le incarcerazioni furono il frutto di torture e confessioni forzate
indirizzate contro avversari politici. Dal 2013 Bo si trova dietro le
sbarre – ufficialmente – con l’accusa di corruzione, appropriazione
indebita e abuso di potere. Ma il suo modello, a base di populismo rosso
e anticrimine, vive anche in alcune iniziative autografate da Xi. Ci si
chiede se questo valga anche per le modalità spietate e la natura
politica delle operazioni anticorruzione, da tempo descritte sulla
stampa internazionale come un regolamento di conti declinato al
rafforzamento dello strapotere nelle mani di Xi, l’unico leader dai
tempi di Mao ad aver visto il proprio nome comparire nella costituzione
del Partito mentre è ancora in vita.
SEBBENE IL RECENTE comunicato
vieti i metodi coercitivi nelle indagini e anteponga la presenza di
prove schiaccianti alla risoluzione dei casi, la traiettoria altalenante
con cui procede la riforma del sistema giudiziario annunciata durante
il IV Plenum giustifica le molte alzate di sopracciglio.
A
preoccupare è l’imminente istituzione di una Commissione nazionale per
la supervisione incaricata non più soltanto di valutare l’operato dei 90
milioni di iscritti al Partito – come l’attuale commissione
disciplinare – ma anche tutti i dipendenti pubblici. Quindi funzionari
governativi ma anche medici, insegnanti e impiegati nelle aziende
statali. Stando alla bozza della legge che ne regolerà il funzionamento,
la nuova agenzia non solo opererà al di sopra della Corte Suprema e
della Procura Suprema del popolo, ma non sarà nemmeno soggetta al
controllo del Consiglio di Stato.
Un aspetto che per il Nikkei
ridimensionerà la figura del premier Li Keqiang, già svuotata con la
creazione di team dal taglio economico alla cui guida siede proprio Xi.
La notizia cattiva è che se la Commissione svolgerà un ruolo attivo
nella nuova campagna antimafia difficilmente si procederà verso una
maggiore trasparenza dei processi decisionali.
QUELLA BUONA è che
forse l’assolutismo del lider maximo faciliterà la rimozione delle
sacche di resistenza a cui viene attribuito il rallentamento delle
riforme. Se poi a cadere nella rete sono pretendenti al «Trono di Spade»
tanto meglio. D’altronde, era ancora il 2015 quando la rivista Caijing
metteva a nudo i legami tossici tra le triadi e il governo dello Shanxi,
una provincia ricca di carbone nonché feudo politico di Ling Jihua, una
delle «tigri» corrotte ingabbiate da Xi.