Repubblica 7.2.18
Il presidente della Corte Costituzionale, Paolo Grossi
“La parola razza rimanga nella Costituzione è un monito contro l’odio”
di Simonetta Fiori
ROMA
«La razza non esiste, ma esistono i razzismi. E finché resta viva
questa perversione, la parola razza deve rimanere nella Carta». Come un
segnale di allarme, una luce perennemente accesa su una malattia che non
passa. Il presidente della Corte Costituzionale, Paolo Grossi, è
contrario a espungere dall’articolo 3 un sostantivo molto contestato.
Ottantacinque anni, fiorentino, Grossi è un maestro del diritto.
Presidente, perché continuare a usare una parola che non ha più senso?
«È
vero: la parola è insensata, ma il concetto di razza continua a
esistere. Non dovrebbe esserci, ma purtroppo esiste. E continua a
esistere anche nella coscienza della società italiana. Non possiamo far
finta di nulla»
Un candidato leghista ha evocato la “razza bianca” come un qualcosa da proteggere dalla migrazione nera.
«Questo è razzismo puro e semplice».
E poi si è arrivati a Macerata alla “caccia al nero”.
«Se
non ci fossero manifestazioni di razzismo, io direi che il termine
razza è pleonastico. Ma oggi non mi pare che ci siano le condizioni.
Proprio
perché la menzione della razza nella carta costituzionale ha il
significato dell’ammonimento, di questo oggi abbiamo bisogno. Di un
monito, di un segnale permanente».
Ma non si potrebbe trovare un’altra parola? Perché conservare un termine che ha nutrito l’ideologia razzista?
«Perché
è quello scelto dai nostri padri costituenti. E vorrei soffermarmi sul
significato profondo di quella scelta, tra il 1946 e il 1947. Appena un
anno prima, gli autori della Carta avevano scoperto l’orrore dei campi
di concentramento tedeschi. Inserendo la parola razza nell’articolo 3 -
ossia là dove si ricorda che tutti i cittadini hanno pari dignità
sociale e sono eguali davanti alla legge senza distinzioni di sesso, di
razza, di lingua, di religione – i padri hanno voluto richiamare
l’attenzione dell’opinione pubblica sull’orrore della Shoah, nella
speranza di sbarazzarsi per sempre del razzismo. Il loro silenzio sulla
razza sarebbe stato riprovevole! È una benedizione che abbiano fatto
quell’inserimento. Anche perché sul concetto di razza erano state
costruite le pseudociviltà nazista e fascista».
Ci fu anche all’epoca una vivace discussione. Un padre costituente la definì “parola maledetta”.
«Sottoscrivo
pienamente: è una parola maledetta. E difatti nell’articolo 3 il
termine viene maledetto. Si scrive la parola “razza” perché essa venga
cancellata dalla vita della nuova democrazia italiana».
I
genetisti sostengono che il termine non ha senso sul piano scientifico:
il 99,9 per cento del Dna è comune alle persone più diverse. E anche sul
piano storico sono falliti tutti i tentativi di catalogare le razze.
«Sono
d’accordo. Sulla razza è impossibile impiantare un discorso che abbia
un minimo senso scientifico. Si sono rivelate mere aberrazioni tutte
quelle costruzioni sul primato di alcune razze su altre fondate su
criteri medici o biologi. E allora perché mantenere la parola? Proprio
perché evoca un’aberrazione nella storia della civiltà umana».
Anche
gli Accademici della Crusca ci dicono che la parola razza non dovrebbe
essere riferita agli esseri umani ma a cani e cavalli. Fu Gianfranco
Contini, non a caso partigiano nell’Ossola, a scoprire nel 1959 che
l’etimologia di razza non veniva da ratio ma da haraz, un’antica parola
francese che significava allevamento di cavalli, mandria. Dalle stelle
alle stalle, insomma. La Costituzione non dovrebbe tenere conto dei
cambiamenti linguistici?
«Contini è stato il più grande filologo
romanzo del Novecento. E sicuramente aveva ragione lui. Ma in questo
caso prevale un’altra considerazione. Mantenere il termine razza nella
Costituzione significa dire: guardate che il razzismo è una malattia che
esiste ancora. E finché esistono questi fenomeno orrendi, io di quella
parola ho necessità».
Non se ne ricava un bilancio malinconico sull’oggi?
«L’impressione
è che non siamo cresciuti per nulla. Noi stiamo vivendo nel 2018 e lo
facciamo arretrare di settanta e anche ottanta anni. Mi domando: abbiamo
sepolto le antiche dittature nazista e fascista e le riesumiamo in
questo modo?
Riesumiamo il peggio che hanno prodotto? Il mio è un
sentimento di amarezza perché sul piano dell’incivilimento della
comunità stiamo facendo passi di enorme regressione».
Come lo spiega?
«La
storia non è progresso infinito, come si credeva nell’Ottocento, ma una
successione di corsi e ricorsi, impaludamenti e sommità. Questa è una
fase di impaludamento».
È preoccupato?
«No, non posso
esserlo nella mia veste. Esiste una parte sana di italiani – è la
maggioranza - che vede il giusto e lo sa distinguere dall’iniquo. Oggi
però abbiamo fenomeni che possono dare allarme. Bisogna stare attenti
che la macchia d’olio non si estenda.
Che poi non è olio, ma benzina urente, che brucia. Ed esiste il pericolo di ustioni collettive».
L’impressione
è che non siamo cresciuti per nulla Noi stiamo vivendo nel 2018 e lo
facciamo arretrare di settanta e anche ottanta anni
“Via la parola razza dalla Carta”
L’intervista a Liliana Segre pubblicata lunedì da Repubblica
Consulta
Paolo Grossi, 85 anni,fiorentino, presidente della Corte costituzionale dal 24 febbraio 2016 Qui è con un gruppo di studenti