Repubblica 5.2.18
Intervista a Cesare Sinatti
“Ragazzi, credetemi i miti aiutano a vivere”
di Raffaella De Santis
ROMA
Che siano Zeus o il furioso dio nordico Odino, Afrodite o la fertile
dea germanica Eofre, da un po’ di tempo gli dèi pagani imperversano
ovunque.
Romanzi, serie tv, saghe fantasy gareggiano in nuove
narrazioni dei miti antichi. Gli appassionati seguono su Amazon American
Gods, trasposizione dell’omonimo fantasy di Neil Gaiman, dove gli dèi
non si risparmiano scazzottate, orgasmi, inganni o sparatorie. In campo
editoriale invece, ha sedotto i lettori anglosassoni l’ultimo libro di
Stephen Fry, di oltre 400 pagine, con una copertina bianca su cui spicca
il titolone rosso Mythos. Intrighi, amoreggiamenti, vendette delle
divinità piacciono perché avvicinano il cielo agli uomini invece di
allontanarlo. Come diceva Gore Vidal, è vero che «in cielo c’è la stessa
varietà che esiste tra gli uomini».
La mitologia omerica è al
centro di un romanzo appena uscito per Feltrinelli, La splendente,
scritto da Cesare Sinatti, un esordiente di 26 anni, vincitore del
Premio Calvino, il più noto e serio riconoscimento per aspiranti
scrittori. Sinatti è uno studente di filosofia antica, al momento
impegnato in un dottorato in Inghilterra, all’università di Durham. Una
cascata di ricci, occhialetti da studioso, aria rinascimentale da
direttore d’orchestra. Sembra un Giovanni Allevi più chiaro e luminoso.
Per la sua prima intervista ha preso un treno da Fano, la sua città
d’origine, dove era andato a trovare la sua famiglia. «È iniziato tutto
mandando il libro al Calvino. Non pensavo di vincere, quando ho inviato
il manoscritto della Splendente avevo 24 anni».
E invece debutta con Feltrinelli. Come ha trovato il tempo per un romanzo tra tesi e concorsi?
«L’ho
scritto durante il mio anno di studi a Chicago, tra novembre 2014 e
giugno 2015, lavorando tutti i giorni, a volte scrivendo la mattina,
altre la sera. Credo che la scrittura abbia bisogno di metodicità e
dedizione, come le arti marziali».
Da dove nasce la sua passione per i miti?
«È
iniziata ai tempi del liceo, poi si è intensificata durante
l’università. L’idea di scrivere qualcosa sull’Iliade mi è venuta
frequentando un corso su Erodoto. Ero affascinato da quelle lezioni,
ricche di storie e aneddoti, così come dall’insegnamento sulla filosofia
antica. Così ho pensato di mettermi alla prova vedendo se riuscivo a
creare psicologie intorno ai personaggi mitologici che più mi piacevano.
In quel periodo stavo leggendo Gli dèi e gli eroi della Grecia di
Károly Kerényi, in cui sono presentate una serie di versioni alternative
dei miti, diverse da quelle classiche. Ho usato Omero, Apollodoro,
Ovidio e altri mitografi».
Che ne pensa dei fantasy mitologici?
«Dovendo
scegliere, forse il mio preferito è Il cavaliere malfatto di T. H.
White, il più letterario e potente dei quattro romanzi del ciclo
arturiano Re in eterno. Non sono però un appassionato del genere
fantasy, né delle serie tv. Non ho tempo per guardarle e a parte
Breaking Bad e Gomorra ho visto poco altro. In realtà mentre scrivevo
questo romanzo avevo in mente altri modelli: Meridiano di sangue di
Cormac McCarthy, l’idea del male assoluto, il deserto, la violenza che
sembra non avere senso».
Qual è l’originalità del suo racconto?
«Elena,
la splendente, è una sorta di fantasma, come nella versione di
Euripide. Tanto che aleggia nel romanzo il sospetto che non sia mai
stata portata davvero a Troia.
Odisseo in genere è l’uomo che ama viaggiare, per me è invece il guerriero che vuole tornare a casa.
Così il mio Achille non è tanto il prototipo dell’eroe perfetto ma il ragazzo che ha paura di morire».
Perché queste storie ancora ci seducono?
«Nel
Saggio su Pan James Hillman dice che esiste una Grecia da studiosi e da
filologi e una Grecia dell’immaginario. Quest’ultima è quella che
continua a parlarci a livello psicologico, quella che permette
associazioni tra i nostri comportamenti e i comportamenti del mito.
Continuiamo a frequentarlo per scovarci significati nuovi. Non funziona
come l’allegoria che ha un’interpretazione semplicemente razionale, ma
permette associazioni illimitate».
Preferisce narrare la fragilità degli eroi?
«Mi piace l’idea omerica dell’individuo che si mette in discussione, la cui grandezza è nel mettersi alla prova».
Nel nostro tempo c’è ancora posto per gli eroi?
«Nel
senso che ho appena detto, certo. Considero eroici i ragazzi che
piantano tutto e vanno all’estero per studiare o cercare un lavoro».
Non starà esagerando?
(
Sorride). «È vero, da giovani partire può essere un’avventura. In
verità sai già che non tornerai più indietro, che dovrai trasferirti a
vivere lontano da casa per sempre. Io ho appena cominciato, ho scelto di
andarmene, ma dopo questi tre anni di dottorato in Inghilterra vorrei
tornare in Italia. È il mio paese e vorrei stare qui, anche se tutti mi
ripetono che non sarà possibile».
Un libro di mitologia che consiglia?
«Le
Metamorfosi di Ovidio, senza dubbio il più divertente. Tra le mie
storie preferite c’è quella di Ceni, una giovane donna trasformata in un
uomo invulnerabile dopo aver subito uno stupro da parte di Poseidone.
Alla fine Ceni viene sepolta viva ma non riesce a morire. L’idea
dell’immortale sotterrato mi piace molto: significa che una cosa bella
non può essere soffocata».