Repubblica 5.2.18
Morte in Europa, rinascita in Israele storie degli orfani di una rivoluzione
Il libro. I bambini di Moshe Gli orfani della Shoah e la nascita di Israele di Sergio Luzzatto
di Wlodek Goldkorn
La
 parte più drammatica — forse la sineddoche non solo del libro ma di 
tutta la storia e vicenda degli ebrei in Europa tra la fine 
dell’Ottocento e il 1948 (data di nascita dello Stato d’Israele) — del 
fondamentale testo di Sergio Luzzatto I bambini di Moshe. Gli orfani 
ella Shoah e la nascita di Israele si trova alle pagine 37 e 38. E, 
forse non a caso, riguarda soprattutto alcune donne. La prima, Recha 
Freier, è la fondatrice dell’organizzazione Jugend Aliyah, che si occupa
 dell’immigrazione in Palestina di giovani ebrei. L’altra è Hannah 
Arendt, trentenne esule a Parigi responsabile del locale ufficio della 
stessa organizzazione. Hitler è da pochissimi anni al potere.
Freier
 capisce che occorre portare quanti più giovani possibile fuori dalla 
Germania. E li prepara per la vita in Palestina, perché per andare a 
vivere nella Terra Promessa occorre saper fare gli agricoltori, lavorare
 con le mani, usare le armi. Arendt percepisce la portata e la potenza 
della rivoluzione sionista; la ribellione dei giovani contro le 
tradizioni e l’inadeguatezza degli adulti. Tutto questo, mentre i 
nazisti vorrebbero collaborare con i sionisti nell’opera di 
trasferimento degli ebrei fuori dalla Germania. E siamo così nel cuore 
dei paradossi, delle antinomie, della tragedia, con cui l’Europa ancora 
non ha fatto i conti.
Ma procediamo con ordine. In apparenza, il 
libro di Luzzatto, storico all’Università di Torino, spesso controverso,
 ha per protagonista Moshe Zeiri, un giovane sionista socialista, nato 
nella Galizia austroungarica poi diventata polacca, emigrato in 
Palestina, arruolatosi nell’esercito britannico per combattere i nazisti
 e arrivato, da liberatore, in Italia. Qui, a Selvino, mette in piedi 
una colonia per bambini ebrei da tutta l’Europa, orfani dei genitori 
assassinati dai tedeschi. I ragazzi di Moshe finiscono in Israele, 
partecipano alla guerra del 1948, cominciano una nuova vita. Ecco, 
questa storia può essere raccontata come una favola, drammatica ma 
bella, a lieto fine.
Dalla morte (dell’ebraismo europeo) verso la rinascita (in Israele). Qualcuno ha provato a leggerla così.
E invece Luzzatto ha avuto il coraggio di sovvertire la categorie e il modo di scrivere degli storici.
In
 una narrazione in prima persona, seppur costruita su fonti e 
testimonianze verificate, l’autore mette in piedi una struttura 
narrativa da grande romanzo ottocentesco. Con molti protagonisti, con 
una trama estesa nel tempo e nello spazio e con forti dosi di emozioni. 
Ma soprattutto, con la piena consapevolezza della tragicità delle 
utopie, dovuta non alla cattiveria delle utopie, ma alla tragicità della
 storia e della nostra condizione umana. Si parte dunque dalla Polonia e
 dai sogni degli ebrei. Documentati nelle foto di Alter Kacyzne che 
Luzzatto cita e evoca. Kacyzne era un militante della sinistra ebraica, 
scrittore, giornalista, agitatore culturale in yiddish, allievo del 
padre del romanzo moderno yiddish Itzhak Peretz. Sognava il riscatto 
degli ebrei lontano dall’utopia sionista, vicino a quella sovietica. 
Finì massacrato dai collaborazionisti ucraini dei nazisti. Quelle foto, 
scattate per il giornale americano Forverts dove scrivevano i fratelli 
Singer restano un documento sulla vita prima della catastrofe.
Luzzatto narra pure altri sogni.
Parla
 dei giovani sionisti che vogliono vedere nascere un ebreo nuovo, 
rigenerato, alieno alle miserie della Diaspora, immune agli attacchi 
degli antisemiti. Sono ragazzi influenzati da Tolstoj e da Nietzsche. 
Sono figli della volontà di potenza dell’Ottocento.
Organizzano kibbutz, diventano davvero agricoltori e soldati.
Poi
 arrivano i ghetti e le camere a gas e non si sogna più. Bisogna cercare
 di sopravvivere e le utopie sono poco utili. Contano la fortuna e la 
geografia (ci si salva là dove non ci sono i nazisti). E per chi si è 
salvato arriva la prospettiva della vita in Palestina e la guerra del 
1948. Israele vince e conquista l’indipendenza. Molti dei sopravvissuti 
profughi rendono profughi i palestinesi: esemplare la vicenda della 
città di Lydda, oggi Lod. Le storie umane intrecciate alla grande Storia
 sono sempre più affascinanti dell’invenzione. Ma raramente sono 
consolatorie.