lunedì 5 febbraio 2018

Corriere 5.2.18
Ticket, rimborsi Ma quanto costa una risonanza?
di Milena Gabanelli e Simona Ravizza


La spesa sanitaria incide per oltre il 70% sul bilancio delle Regioni, ma siccome la domanda aumenta, la politica del risparmio taglia le prestazioni e aumenta il costo ticket a carico dei pazienti. Ma è possibile che una clinica privata, per una risonanza magnetica, applichi una tariffa 3 volte inferiore a quella che rimborsa la Regione a una clinica convenzionata con il servizio sanitario nazionale, e ci guadagni pure? È possibile.
A conti fatti, mentre gli ospedali pubblici si stanno via via impoverendo, per una struttura sanitaria incassare una convenzione equivale a garantirsi una gallina dalle uova d’oro.
Partiamo dall’inizio: gli italiani fanno oltre 55 milioni di esami l’anno, e la metà delle prestazioni vengono eseguite fuori dagli ospedali e dagli ambulatori pubblici. Il motivo è che il nostro sistema sanitario pubblico, pur essendo uno dei migliori al mondo, da solo non ce la fa, e per abbattere le liste d’attesa e colmare le inefficienze, si appoggia agli imprenditori privati convenzionati — ossia rimborsati con soldi pubblici.
Vediamo quanto esborsa lo Stato, tramite le Regioni, per gli esami più diffusi (risonanze magnetiche muscoloscheletriche, tac del torace, ecografie all’addome completo) e quanto chiedono invece ai cittadini che pagano di tasca propria, i migliori centri privati «non convenzionati». Paragonando questi prezzi si scopre che il risparmio potrebbe arrivare a 100 milioni di euro. Il confronto è a parità di qualità delle attrezzature diagnostiche, di professionalità di personale medico, e di inquadramento contrattuale.
I risparmi possibili
Al Sant’Agostino di Milano, che non lavora con il servizio sanitario, una risonanza magnetica senza contrasto al ginocchio, spalla, mano, anca, piede, costa al cittadino che ha fretta 90 euro. Qual è il rimborso che la Lombardia garantisce ai suoi centri privati convenzionati? 169,97 euro. L’89% in più. Il numero delle prestazioni eseguite in un anno sono 168.514, quindi si potrebbero risparmiare quasi 13.5 milioni. Alla CasaSalute di Genova il costo è di 45 euro, contro i 133,28 pagati dalla Regione Liguria (196,18% in più). La Regione potrebbe quindi spendere 716.850 euro contro 2.1 milioni. Alla Mediclinic di Padova si paga 59 euro contro 188,45 (219,40% in più). Il Veneto potrebbe quindi spendere 6,6 milioni invece di 21,3. Lo stesso discorso vale per le ecografie all’addome completo. Potrebbero essere spesi 38,4 milioni, invece ne vengono sborsati 46,7. Idem per Tac al torace senza contrasto: solo in Liguria e Veneto il risparmio potrebbe essere di 596.532 euro.
Il totale di risparmio possibile, solo per i tre esami, e solo in queste tre Regioni, è di 38,4 milioni. Una cifra che, proiettata su scala nazionale, in base alla popolazione e all’incidenza dei centri privati convenzionati con il servizio sanitario, supera i 100 milioni. Se poi calcoliamo che gli esami ambulatoriali sono di duemila tipi, che per gli esami di laboratorio il costo di produzione oggi è il 50% inferiore a quello che viene rimborsato (perché la tecnologia ha fatto passi avanti, ma le tariffe sono ancora quelle di 15 anni fa), quanto si potrebbe risparmiare dei 4,6 miliardi di euro l’anno che lo Stato rimborsa ai privati convenzionati? Il conto non è semplice, ma forse si può stimare una cifra attorno ai 2 miliardi.
Spreco di soldi pubblici
Insomma: ci sono imprenditori privati puri, che riescono a garantire ai cittadini esami di qualità a un certo prezzo e a guadagnarci. Ma allora perché lo Stato, tramite le Regioni, per quelle stesse prestazioni dà molti più soldi agli altri imprenditori privati convenzionati? Il risultato è una valanga di risorse che potrebbe essere utilizzata per assumere più medici negli ospedali pubblici, e accorciare le liste d’attesa. Un problema legato all’inefficienza, alla mancanza di personale e al fatto che i medici ospedalieri esercitano contemporaneamente la libera professione negli ambulatori privati. Allora pagateli meglio, e fate lavorare le macchine 12 ore al giorno, come fanno nelle strutture private! Ce ne sarebbe anche per fare più prevenzione: attività poco remunerativa, che di fatto il privato in convenzione non fa; mentre il pubblico, sempre più spolpato, sta pian piano dismettendo. Ma come funziona il meccanismo dei rimborsi?
Le ultime tariffe sono state fissate dal decreto ministeriale del 18 ottobre 2012 del governo Monti. Le cifre riportate, però, sono solo indicative: ciascuna Regione le può ritoccare (di solito al rialzo) a suo piacimento in base al titolo V della Costituzione che sancisce l’autonomia regionale in materia sanitaria. Il principio è che gli imprenditori privati convenzionati ricevano lo stesso rimborso di un ospedale pubblico. Il che ci può stare per gli ospedali privati convenzionati che hanno il servizio di Pronto soccorso o curano i tumori. Ovvero quelle strutture che devono erogare un mix di prestazioni non sempre economicamente vantaggiose, e devono possedere requisiti organizzativi equiparati al pubblico. Il problema è che lo stesso principio vale anche per le piccole cliniche e una miriade di centri ambulatoriali convenzionati che fanno risonanze, tac e ecografie, esami del sangue, dalla mattina alla sera, senza offrire nessun altro servizio.
Chi decide sui profitti?
Un meccanismo che non consente di acquistare sul mercato le prestazioni a un prezzo equo e conveniente, ma garantisce enormi profitti a imprenditori privati accreditati, senza gara, con il servizio sanitario. Profitti che poi vengono investiti in attività finanziarie, immobiliari, Spa e Resort. Ma chi ha deciso che la clinica o l’ambulatorio privato accreditato debba incassare quanto un ospedale pubblico? Dentro quali pareti si riuniscono i tavoli tecnici per stabilire «quanto» deve essere rimborsata una prestazione, e in base a quali calcoli? Da chi sono formate queste commissioni, quanti ne capiscono di sanità e chi da le carte?
Gli interessi in gioco sono alti, e rivedere le tariffe, non aggiornate da anni, può soltanto essere una decisione politica. E la politica dovrebbe anche sapere che il grosso, quello che sta determinando una lievitazione della spesa complessiva, e che si può definire «furto legalizzato alle casse pubbliche» senza portare alcun vantaggio ai cittadini, è il doppio binario dei ricoveri. Quali sono gli interventi chirurgici che negli ospedali pubblici si fanno solo nel 15% dei casi, perché valutati inutili se non dannosi, e in quelli privati convenzionati arrivano fino al 99%? A quanto ammontano questi rimborsi? Ampia documentazione nella prossima inchiesta.