lunedì 5 febbraio 2018

Repubblica 5.2.18
Il lessico della paura sulla pelle dei migranti
di Paolo Di Paolo


Se c’è una «bomba sociale pronta a esplodere» non è quella a cui si è riferito ieri, con questa espressione, Silvio Berlusconi. La vera «bomba sociale» non è fatta — come sostiene il leader di Forza Italia — da 600mila migranti che «vivono di espedienti e di reati». È fatta dalle parole che lui sceglie di utilizzare. Troppi esponenti del mondo politico e mediatico hanno continuato a esprimersi nel modo più incauto e più irresponsabile.
Hanno lasciato che frasi fatte, stereotipi brutali, slogan esasperati si scollassero progressivamente dalla realtà. Conta di più tuonare, con parole come «emergenza» e «invasione», che ragionare su dati concreti e soluzioni praticabili. Conta di più evocare la figura del «poliziotto di quartiere» che invitare, laddove necessario, a razionalizzare ansie concrete. Berlusconi avalla Salvini («L’odio viene istigato da chi ha riempito l’Italia di clandestini»); Di Maio aggiunge il suo («I politici ci hanno fatto i soldi con l’immigrazione»). Dire che fra questi ragionamenti tagliati con l’accetta della propaganda e le esplosioni di violenza xenofoba vi sia un nesso diretto, è azzardato. Ma dire che questi ragionamenti sono la peggiore e più penosa risposta politica a una situazione senza dubbio problematica, è necessario.
Dopo gli spari a Macerata, quali leader hanno cominciato i loro discorsi dai feriti? Chi ha evocato i cinque uomini e la donna colpiti dai proiettili? C’è qualcuno che — con la stessa enfasi spesa sul tema «sicurezza» — si è domandato di che cosa fossero colpevoli quelle persone? Il dibattito si è subito spostato sull’esasperazione dell’aggressore, sulla sua eventuale patente politica, sul suo disagio psicologico, sul tornaconto elettorale della vicenda. La saggista tedesca Carolin Emcke, in un importante saggio recente, Contro l’odio, scrive: «L’odio viene reso possibile e diffuso da coloro che non intervengono, che non agirebbero mai così ma tollerano, non odiano in prima persona ma permettono che si odi». Il paradosso cupo di questa stagione italiana è una classe politica che — quando non alimenta l’odio — gli fornisce anche a posteriori un lessico, una ragione; e comunque, non muove un dito per attenuarlo. Anziché provare a dialogare su un piano razionale con cittadini ed elettori legittimamente sfiduciati o spaventati, li invita a seguire la lezione peggiore, a essere più distruttivi, più rabbiosi.