lunedì 5 febbraio 2018

Repubblica 5.2.18
La nuova Lega meno Padana per vincere al Sud
Paga la linea xenofoba ed euroscettica di Salvini. Maroni piace al Nord
di Ilvo Diamanti


Sabato, a Macerata, nelle vie del centro, un trentenne ha sparato contro alcuni giovani di origine africana. In nome della “difesa della razza”. E della “nazione”. Come ha sottolineato, avvolgendosi nel tricolore. Si tratta di un estremista di destra, che in passato si era candidato, con scarsa fortuna, nelle liste della Lega. Matteo Salvini, da parte sua, ha condannato il gesto.
Accusando, al tempo stesso, “chi apre ai clandestini”. Ritenuto, implicitamente, mandante morale di questo atto di intolleranza criminale.
D’altronde, Attilio Fontana, candidato dal Centro-destra alla successione di Roberto Maroni, ritenuto un “leghista moderato”, due settimane fa aveva, a sua volta, sostenuto che “non possiamo accettare tutti gli immigrati”. Perché — aveva aggiunto — “dobbiamo decidere se la nostra etnia, la nostra razza bianca, debbono continuare ad esistere”. La Lega di Salvini sembra, dunque, avere imboccato la via nazional-populista, sulle orme di Marine Le Pen. Amica personale ed estimatrice del leader leghista. La Lega, come il Front National, ha fatto dell’immigrazione non “una” questione, ma “la” questione centrale della campagna elettorale. D’altra parte, si tratta di un argomento “popolare”.
Visto che (secondo il sondaggio dell’Atlante Politico di Demos, condotto alcune settimane fa) 4 italiani su 10 ritengono gli immigrati “un pericolo per l’ordine pubblico e per la sicurezza delle persone”. Una componente che fra gli elettori della Lega raddoppia: 81%. In questo modo, Salvini ha varcato, da tempo, i confini della “patria padana”, scendendo verso Sud.
Si tratta di una rottura, politica e “territoriale”, con il passato, consumata, anzitutto, “dentro” alla Lega. All’ultima “adunata” di Pontida, lo scorso settembre.
Quando Umberto Bossi, per la prima volta nella storia della manifestazione, non ha parlato.
Per volontà del (nuovo) “capo”.
Roberto Maroni, predecessore di Salvini, nell’occasione, aveva commentato seccamente: “Pontida è Bossi”. Ma da allora il vento (del Nord) è cambiato. Non solo Bossi, ma neppure Maroni, oggi, interpreta il sentimento della Lega. Infatti, nelle scorse settimane, ha annunciato l’intenzione di non ricandidarsi alla presidenza della Lombardia.
E Salvini ha notificato che questa decisione gli avrebbe precluso ogni altro incarico. Politico e istituzionale. Ricambiato dal governatore, con l’accusa di usare “metodi staliniani”. I rapporti di Salvini con i territori del Nord sembrano, dunque, complicati. In particolare, con i leader del Lombardo-Veneto.
Non solo Maroni, ma lo stesso Zaia, nello scorso ottobre, avevano celebrato, con successo, il rito del referendum indipendentista. Mentre oggi, nella formazione delle liste, si vedono ridimensionati. Così, potrebbe affacciarsi l’idea di una Lega “plurale” se non proprio divisa. Una Lega dai diversi volti.
Come diversi sono i “profili” delle simpatie suscitate dai due leader. Salvini e Maroni. Al di là del grado di consenso, molto più elevato verso Salvini (34%) rispetto a Maroni (27%).
Maroni, tuttavia, risulta maggiormente apprezzato presso gli elettori di Sinistra e di Centro-sinistra. Fra i quali supera Salvini, anche se di poco.
Si tratta, peraltro, dell’area politica dove i leader leghisti — e la Lega, nell’insieme — sono guardati con maggiore distacco.
Seppure entrambi provengano proprio da quell’esperienza.
Salvini, in particolare, alla fine degli anni Novanta, si proclamava leader dei “comunisti padani”. Ma oggi quella definizione non gli appartiene più. Al contrario, visto che è apprezzato dagli elettori di Destra: 68%. E, in misura più limitata, di Centro-destra. Mentre a Sinistra suscita solo diffidenza. Ma la diversità dell’immagine sociale dei due leader appare evidente soprattutto nella distribuzione territoriale dei consensi personali. La fiducia nei confronti di Maroni, infatti, si concentra nelle regioni del Nord. In particolare nel Nord-Est.
Unica zona dove il governatore (dimissionario) della Lombardia risulta altrettanto popolare di Salvini, fra gli elettori. Anche nelle regioni — un tempo “rosse” — del Centro Italia mantiene un grado di favori analogo al segretario federale. Ma quando si scende verso Sud la differenza diviene più marcata. Perché Maroni vede calare i propri consensi. Mentre da Nord a Sud, passando per il Centro, il livello di fiducia verso Salvini mostra poche variazioni. È il leader di una “Lega Nazionale”. Non per caso ne ha cambiato il nome, oltre all’identità. Ora è “Lega”.
Senza specificazioni. Un soggetto politico di Destra. Il più forte, in Italia. Euroscettico e xeno-fobo, in senso letterale.
Perché amplifica la paura dello “straniero”. Xenos. Un orientamento condiviso dagli elettori della Lega. Senza distinzioni. Con il rischio di attirare anche alcuni estremisti.
Come il terrorista di Macerata.
Pericolosi, non solo politicamente.
Nell’insieme, però, il gradimento per Salvini, nella base leghista, risulta pressoché unanime (83%). Il doppio, rispetto a Maroni. E molto più di ogni altro leader del partito. Perché la Lega, al pari di altri soggetti politici, è divenuta un “partito del Capo”. Per evocare la formula di Fabio Bordignon. D’altronde, nel Mezzogiorno, si definisce “Noi con Salvini”. Ma ormai non c’è differenza fra Nord, Centro e Sud. Perché, echeggiando Mauro Calise, è un “partito personale”.
Come Forza Italia. Come il PDR di Matteo Renzi. Così la Lega è divenuta LdS. La Lega di Salvini.