Repubblica 2.2.18
Pd, la corrente del 5 marzo “Resa dei conti con Renzi”
Da
Orlando ai gentiloniani pronta una fronda per il dopo voto che spera in
una mossa di Prodi. Rivolta in Sicilia: “Troppi acquisti dal
centrodestra, non facciamo campagna”
Goffredo De Marchis
Roma
Quelli che il 5 marzo. A una settimana dalla composizione delle liste,
prende corpo la fronda a Renzi per il dopo voto e non può essere
spiegata solo con la rabbia degli esclusi. L’elenco dei congiurati
comincia a essere lungo. Lo diventerà ancora di più se il segretario Pd
non porterà il suo partito almeno al 25 per cento.
Si parte dalle
minoranze: Andrea Orlando e Michele Emiliano. Il governatore pugliese è
stato esplico rispondendo alla domanda “fare campagna elettorale per il
Pd ma poi”? « La deriva di Renzi è perdente, con lui si rischia un
processo di disgregazione inarrestabile. Dobbiamo convincerlo a
lasciare, perché il suo modo di fare il segretario non porta risultati
». Ai due capicorrente vanno aggiunti Goffredo Bettini, Ugo Sposetti e
Ileana Argentin che hanno annunciato il tentativo di “ golpe”
pubblicamente. Dietro le quinte si muovono i gentiloniani, è il caso di
Ermete Realacci. Infine c’è Romano Prodi. Il cui endorsement a favore
della coalizione non è stato interpretato come una mano tesa a Renzi per
il futuro.
Ieri si è aggiunto un nuovo pezzo del mosaico tutto da
costruire: “i partigiani del Pd”. Un gruppo di giovani siciliani
ribelli, pronti a fare la resistenza contro Renzi, a liberare i dem dal
loro capo. Sono quattro dirigenti regionali: Antonio Rubino, Carmelo
Greco, Antonio Ferrante, Salvatore Graziano. Il capogruppo del Pd alla
Regione Antonello Cracolici spiega dove vogliono arrivare: « Dopo il 4
marzo si porrà il problema della natura del partito e del segretario
nazionale. Non garantisce il pluralismo e persegue il disegno di
un’omologazione del Pd con il centrodestra » . Cracolici è stato un
sostenitore renziano ma oggi dice che non « sono accettabili i candidati
scelti per la Sicilia. La larga parte viene dalla classe dirigente del
centrodestra».
I giovani “partigiani” hanno addirittura adottato
il simbolo della lotta alla mafia dopo le stragi di Falcone e
Borsellino: la spilla con una resistenza elettrica. A Caltanissetta
sulla porta del circolo dem è apparso un cartello: «Chiuso per dignità».
È stato diffuso un manifesto con la scritta: “ 5 marzo, non cambiamo
partito, cambiamo il partito”. Ecco, il punto. Non si parla qui di una
nuova scissione, ma di una diversa rotta del Pd. Di un diverso
comandante. La rivolta ha già delle figure di riferimento. La prima è
Nicola Zingaretti. Se il governatore del Lazio sarà confermato con un
buon risultato, diventerà una figura chiave nel caso di una dura
sconfitta di Renzi. « Nel Lazio reggiamo solo grazie a Zingaretti »,
osserva la gentiloniana Lorenza Bonaccorsi, che corre in un collegio
difficile di Roma. Ma dietro il governatore si stagliano ombre ancora
più pericolose. A loro guardano i congiurati. Quella di Prodi, sempre
visto come l’uomo in grado di ricomporre i pezzi. Forse quella di Walter
Veltroni, che raccontano, al pari di Giorgio Napolitano, ha giudicato
negativamente la partita delle liste dem. Non c’è bisogno di un
congresso per portare a termine la rivoluzione: basta la parola di una
personalità di quel calibro.
La formula del “facciamo i conti”
deve però aspettare i numeri del 4 marzo. Allora si capirà anche quanto
le granitiche maggioranze renziane in direzione e nei gruppi
parlamentari saranno scalfite.