Il Fatto 2.2.18
Roma e il brusco risveglio libico. I migranti son tornati un incubo
Una grana elettorale dopo i primi successi. Solo intervenendo su Tripoli si risolverà il problema
di Guido Rampoldi
Affidarsi
alla comunicazione, allo ‘spin’, insomma alla manipolazione delle
notizie, è da molto tempo la tentazione irresistibile delle sinistre di
governo alle prese con problemi spinosi, e anche la causa principale di
tanti tonfi (il Labour di Blair, il Psoe di Zapatero, il Pd di Renzi,
solo per citare i maggiori). Incapaci di immaginare soluzioni e
paralizzati dalla paura di risultare impopolari, i gruppi dirigenti
tirano avanti barricati dietro un ottimismo vuoto, prima o poi
sgretolato dai fatti. Minniti rischia questa china. Per quel pochissimo
che l’ho conosciuto, l’attuale ministro degli Interni è persona corretta
e capace. Ma sconta un handicap: stando ai sondaggi è uno dei rarissimi
politici benvoluti dagli italiani, a destra come a sinistra, perciò
destinato a ruoli sempre più significativi (Palazzo Chigi?).
In
Italia avere tale prospettiva garantisce stima incondizionata di
editorialisti, direttori, editori, e di conseguenza abbassa i freni
inibitori: sempre lodato, mai contraddetto, il politico di successo
tenderà a edulcorare la realtà, consapevole che neppure una scemenza gli
farà mancare l’amorosa sollecitudine del giornalismo ammaliato.
Da
mesi i media neo-minnitiani, praticamente quasi tutti, ci raccontano i
successi della politica italiana in Libia, i migranti intercettati in
mare dalla Guardia costiera libica e accompagnati in ‘centri di
accoglienza’, gli arrivi calati di due terzi, gli annegamenti diminuiti
sensibilmente, i prigionieri dei lager libici destinati a essere presto
rimpatriati o mandati in Europa da Onu e Organizzazione internazionale
per i migranti, le 4 ong italiane che a gennaio cominceranno a operare
nella zona di Tripoli.
Però c’è un’altra parte di verità sulla
quale si sorvola, e non si tratta di dettagli. Addestrata, armata,
finanziata dal Viminale, che dunque avrebbe leve per correggerne i
comportamenti, la Guardia costiera libica è spesso al centro di episodi a
dir poco controversi. Secondo denunce molteplici avrebbe impedito a Ong
di soccorrere imbarcazione che stavano affondando, causando la morte
dei passeggeri. E almeno in un caso raccontato dalla tv al Jazeera
avrebbe rivenduto i migranti fermati in mare a un mercante di carne
africana; quest’ultimo li avrebbe pagati mille dollari l’uno e poi li
avrebbe torturati per obbligare le famiglie a pagare un riscatto. In
ogni caso resta poco comprensibile per quale motivo non si riesca a
condurre in aree sotto protezione internazionale o italiana quanti
vengono intercettati in mare da unità libiche, impegnate in una missione
sulla quale Roma ha molto influenza. Inoltre, ammesso che davvero
diminuiscano gli annegati (e non semplicemente che si sia smesso di
contarli), è probabile che aumentino i migranti uccisi da botte o da
malattie nei lager: altrimenti non si capirebbe la disperazione di chi
affronta i fortunali di gennaio pur di scappare dai ‘centri di
accoglienza’, né le implorazioni che i sopravvissuti ci riversano appena
sbarcati, direi senza impietosirci (laggiù è l’inferno, aiutateci!).
Infine
le magnifiche sorti e progressive della politica italiana in Libia
poggiano su un wishful thinking, ovvero scambiare il desiderio per
realtà. Il desiderio vuole che da qui alla primavera il Paese sia
grossomodo pacificato, si tengano elezioni politiche, Onu e Oim
conducano in Europa dai 5 ai 10mila rifugiati, e gli altri siano
finalmente soccorsi in qualche modo. La realtà va in direzione opposta.
La guerra strisciante tra le milizie libiche incrudelisce, e ormai è
anche guerra per procura (il fronte egiziano-emiratino contro il fronte
turco-qatarino). Gli schieramenti sono così frastagliati che ormai la
situazione è descrivibile come anarchia militare.
I migranti
prigionieri nei lager o comunque in Libia sono nella condizione degli
schiavi fuggiaschi nell’antica Roma – res nullius, cose di cui ciascuno
può fare ciò che vuole. E il generale Haftar, tagliagole circondato da
tagliagole che comanda nell’est, non pare aver voglia di addivenire a un
compromesso, dato che dovrebbe rinunciare agli aiuti esterni (Egitto,
Emirati), sola origine del suo potere.
Risultato: per le centinaia
di migliaia di migranti intrappolati in Libia la fuga diventa l’unica
garanzia di sopravvivenza. Ma soprattutto: da qualche tempo tra coloro
che traversano il Mediterraneo c’è anche la classe media libica. Il
segno più evidente che la politica italo-europea sta fallendo.
Prenderne
atto in campagna elettorale per il governo Gentiloni è complicato, ma
fingere che tutto vada per il meglio, cioè non fare nulla, è suicida.
Beninteso, in Libia la situazione è così complessa e deteriorata che
qualsiasi soluzione Roma progettasse sarebbe un azzardo, imporrebbe duri
compromessi e probabilmente anche un uso (saggio) dello strumento
militare. Imporrebbe, all’Italia e all’Europa, finalmente una politica
estera per il Nordafrica. E la presa d’atto di quanti catastrofici
errori sono stati commessi finora. Valga per tutti l’aver puntato sul
protettore di Haftar, l’egiziano al-Sisi. Quest’ultimo rappresentava nel
nostro immaginario il campione dei dittatori ‘filo-occidentali’,
spietati ma laici e nostri alleati. Le previsioni vogliono che in marzo
al-Sisi vincerà le elezioni (di fatto truccate) con i voti dei
fondamentalisti salafiti; intanto sta negoziando con Mosca lo scambio
tra una base militare e una centrale atomica, suscettibile di
garantirgli in prospettiva la Bomba. Non sarà il caso che il ministro
Minniti conduca l’informazio