Repubblica 27.2.18
Renzi: “ Resto pure se perdo” Ma se il Pd va
sotto il 20% il passo indietro è già deciso. Il leader non vuole
ripetere gli annunci pre-referendum, che mobilitarono soprattutto i suoi
avversari. “Siamo ancora in corsa come primo partito”
di Tommaso Ciriaco
Roma
«Resto anche se sconfitto » , promette Matteo Renzi. E non potrebbe
sostenere altrimenti, a un soffio dalla resa dei conti elettorale. Ma è
soltanto una parte della verità, quella resa pubblica dal leader. Perché
esiste già un’asticella oltre la quale il segretario non resterebbe al
suo posto: il 20%.
È il numero a cui è appeso ogni ragionamento,
al Nazareno. Fermarsi sotto questa soglia spingerebbe Renzi a farsi da
parte, per anticipare quello che gli chiederebbero comunque tutti i big
del Pd: un passo indietro, appunto. Ufficialmente deve negare,
ovviamente, memore anche del suo errore più grave, quella
personalizzazione del referendum costituzionale che finì per compattare i
suoi nemici. «Non ci sarà nessun passo indietro e trovo sconcertante
che tutto il tema della campagna elettorale sia quel che faccio io –
sostiene a Sky Tg24 - Se pensate che passiamo l’ultima settimana a
parlare del dopo, avete sbagliato destinatario » . Ma ai fedelissimi che
lo tallonano in giro per l’Italia non nega la verità: «Possiamo farcela
- il senso di quanto sostiene - si decide tutto in questa settimana. Ma
se va male sarò coerente con la mia storia». Il tema del suo futuro è
insomma sul tavolo da qualche settimana. E il leader è convinto di poter
sfuggire alla sconfitta. « Non posso dire in quale, ma il Pd è primo in
un ramo del Parlamento». C’è una sola cosa, però, che l’amareggia per
davvero: « Molti sembrano dimenticare quanto accaduto ai socialisti in
Europa. In gioco non c’è Renzi, ma la sopravvivenza della sinistra».
I
sondaggi non sono più d’aiuto, anche perché da qualche giorno sono “
oscurati” per legge. Ma gli ultimi pubblicabili indicavano il rischio
che la coalizione di centrosinistra si piazzasse addirittura terza. Le
variabili restano mille, naturalmente. Ma al netto delle percentuali,
pesano i fatti: un conto è un eventuale stallo tra gli schieramenti,
altro un governo del Presidente, altro ancora un rapido ritorno alle
urne. Due sole circostanze sembrano invece insostenibili, agli occhi del
capo dem. La prima è appunto scendere quella soglia psicologica del
20%, che secondo il board renziano renderebbe impossibile reggere l’onda
d’urto interna. L’altra sarebbe quella di assistere alla nascita di un
duraturo governo di centrodestra. In questo caso, Renzi sceglierebbe una
“ pausa” - chissà quanto lunga - dalla prima linea. E nel Pd, intanto,
come si muovono gli altri? Diversi big si agitano ai nastri di partenza,
vogliono prendere posizione per il 5 marzo. Non è solo l’ambizione del
governatore del Lazio Nicola Zingaretti, oppure l’insistenza con cui
gira il nome di Dario Franceschini per ogni incarico possibile, anche
quello di traghettatore del Pd: « Il segretario? L’ho già fatto –
risponde - Ma ora mi preoccuperei del fatto che se andasse male per il
Pd, l’Italia finirebbe in mano a Salvini o ai grillini ». Non è neanche
il gelo tra Renzi e Graziano Delrio, oppure l’attivismo del governatore
dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini, che preoccupa qualche vedetta
renziana. È un intero gruppo dirigente che si prepara all’impatto con il
4 marzo. Con spirito poco renziano.
Il tema, però, non è neanche
solo di congiure e ribaltoni. Il vento può cambiare direzione in un
baleno, ma sulla carta i tre quarti dei gruppi parlamentari dem
rispondono direttamente al leader, dopo l’epurazione nelle liste. La
verità è che è Renzi in persona a valutare ogni scenario, in caso di
sconfitta. Senza escludere nulla. «Mi assumo sempre le mie
responsabilità » . A meno che non intervenga prima qualcosa, a cambiare
radicalmente lo scenario. Glielo ha suggerito nelle ultime ore uno dei
padri nobili dem: « Matteo, annuncia che il premier sarà Gentiloni.
Fallo venerdì, prima del voto. Riapriresti la partita». Difficile, ma
non si sa mai.