La Stampa 27.2.18
L’effetto frustrazione sulle urne
di Alberto Mingardi
La
maggioranza delle persone fa la sua scelta nell’ultima settimana prima
del voto. Forse, allora, il caos trasporti in cui il Paese è piombato
nella giornata di ieri qualche effetto sull’esito delle prossime
elezioni l’avrà.
Eventi eccezionali hanno conseguenze eccezionali,
è chiaro. Ma tempeste di neve e abbassamento delle temperature erano
stati ampiamente previsti. L’amministrazione comunale romana, criticata
alla vigilia per la decisione di chiudere le scuole, per ora se l’è
cavata. I disagi in città sono parsi poca cosa rispetto a quelli sulla
rete ferroviaria.
L’alta velocità Torino-Napoli è una specie di
simbolo di quello che in Italia, nonostante tutto, funziona. Ieri però
ha funzionato malissimo. I treni «veloci» hanno accusato ritardi anche
di tre, quattro ore, perfino sette ore. Che vuol dire che hanno
moltiplicato i tempi di percorrenza. Alle sei di sera, lunghe file di
persone smarrite assediavano le biglietterie alla stazione Tiburtina,
dove ai passeggeri in viaggio per Termini veniva caldamente consigliato
di sbarcare.
In un’epoca nella quale siamo assuefatti
all’informazione in tempo reale, la cosa più sorprendente è stata la
parsimonia di notizie.
Gli account social dispensavano poco rassicuranti «non possiamo fare previsioni sui tempi di percorrenza».
I
ritardi non si sono diluiti, come era lecito immaginare nella prima
mattinata: sono anzi diventati sempre più significativi. Trenitalia ha
cancellato il 20% dei treni a lunga percorrenza e il 70% dei regionali.
Gli Intercity con destinazione Roma Termini sono stati tutti soppressi.
Anche per oggi sono attesi disagi.
Come molti altri, chi scrive
ieri ha passato sei ore e quindici minuti su un Milano-Roma. Essendo
equipaggiato di computer e libri, e potendo lavorare con l’uno e gli
altri più o meno dappertutto, le conseguenze per me sono state poca
roba. Un wi-fi funzionante, per la verità, avrebbe aiutato. Ma per tutti
coloro che non possono improvvisare un ufficio di fortuna col
cellulare, la giornata di ieri ha avuto un costo ben superiore a quello
del biglietto.
Per carità, nessuno può controllare il tempo. Ci si
aspetterebbe però che chi gestisce un servizio di importanza tanto
cruciale per il Paese sappia prendere adeguate precauzioni. Che una
città come Roma, dove nevica una volta ogni dieci anni, non sia
equipaggiata contro le nevicate, ha una sua logica. Il costo di
attrezzarsi in modo adeguato probabilmente supera di molto i benefici.
Ma a chi controlla l’infrastruttura ferroviaria in tutt’Italia non
dovrebbe mancare l’esperienza di eventi che, in alcune aree del Paese,
straordinari non lo sono affatto.
Sarà difficile stavolta dare la
colpa al neoliberismo: la rete ferroviaria è un monopolio, di proprietà
pubblica. Forse non è proprio il caso di caricare lo stesso azionista
anche della responsabilità di Alitalia, come si sente dire in questi
giorni: i trasporti non sono il suo forte.
Sicuramente il guasto
di un convoglio (privato, di Italo) in mattinata all’altezza di Orte non
ha aiutato. E’ difficile però imputargli la responsabilità di una
situazione tanto disperante. Anche perché non è la prima volta che
accade. Ricordiamo tutti i ritardi a valanga del Natale 2009, quando
l’allora amministratore delegato delle Ferrovie ebbe l’improvvida idea
di esortare i passeggeri «a portarsi le coperte» da casa.
E’ fuor
di dubbio che ieri molte persone si sono fatte in quattro per fare
fronte agli eventi, e nessuno vuole sminuirne il lavoro. E tuttavia i
consumatori non sono un fastidio, un fardello piombato a tradimento sul
«sistema», un problema da gestire.
E’ sulla loro soddisfazione che si misurano successi e insuccessi: soprattutto nell’emergenza.
I
lettori dei giornali, che dedicano molto tempo e attenzione alle
questioni politiche, spesso non si accorgono che il gesto di andare a
votare richiede grande determinazione. Non è un gesto scontato. In
un’epoca nella quale le appartenenze politiche sono debolissime, si può
votare per rabbia e si può votare per frustrazione. La frustrazione per
un Paese dove i servizi continuano a funzionare malissimo, ad esempio.