lunedì 26 febbraio 2018

Repubblica 26.2.18
Verso le elezioni del 4 marzo
La decisione degli indecisi
di Ilvo Diamanti


Ormai tutti sanno chi vincerà. Almeno, pensano di saperlo. A una settimana dal voto, tutti i sondaggi, condotti dai principali istituti demoscopici, sono d’accordo sul vincitore. Ma, prima ancora: sul perdente. Il Pd, naturalmente. Il vero dubbio, semmai, è se il centrodestra riuscirà, in seguito, a governare. Senza imboccare un percorso instabile. Come negli ultimi anni. Tuttavia, conviene usare prudenza prima di dare per scontato “il voto che verrà”. Perché i sondaggi non servono “a pre-vedere”. Ma a “vedere” gli orientamenti in atto. È sufficiente, al proposito, rammentare quant’è avvenuto cinque anni addietro. Alle elezioni politiche del 2013. Allora, il Pd, guidato da Pier Luigi Bersani, nelle settimane precedenti il voto, era ritenuto il vincitore certo. I principali istituti demoscopici gli attribuivano intorno al ( e, semmai, oltre il) 30%. Da solo. Dalle urne, però, sarebbe uscito un esito di sostanziale parità fra le due principali coalizioni. Il centrodestra e il centrosinistra intorno al 29%. Mentre, il Movimento 5 Stelle conquistò il 25% dei voti validi. Come il Pd e più del PdL (poco sotto il 22%). Ciò avvenne nella sorpresa generale. Degli elettori, ma, soprattutto, degli osservatori e degli analisti (me compreso). Infine: degli stessi protagonisti. Per primi: i leader e i militanti del M5S. Convinti di poter conquistare un “ buon” risultato. Ma non “quel” risultato. Una situazione analoga si verificò anche alle successive elezioni europee del 2014. A parti rovesciate. Allora, il Pd, condotto da Matteo Renzi, prevalse largamente su tutti. Nella sorpresa generale.
Un precedente significativo è, tuttavia, offerto dalle elezioni politiche del 2006. Quando l’Unione di Centrosinistra, guidata da Romano Prodi, due mesi prima del voto era “stimata” in vantaggio di (almeno) 6 punti. Salvo venire “rimontata” dalla CdL di Berlusconi. Prodi, infatti, riuscì a imporsi solo di poco. E ottenne una maggioranza fragile. Che costrinse il suo governo a una vita breve e travagliata.
In tutti questi casi, le “ attese” distorte, ma anche le scelte “ in- attese” degli elettori, si formarono con il concorso dei sondaggi. Che, anche nel periodo di silenzio imposto per legge, hanno continuato a circolare in rete, in modo “ mascherato”. Da “ Corse di cavalli”, “ Conclave”. E altre amenità. Non sempre divertenti. Comunque, in-verificabili. Quindi, rischiose.
D’altronde, l’epoca in cui si votava “per atto di fede” è finita da tempo. Insieme ai partiti di massa e alle ideologie che li ispiravano. Oggi gran parte degli elettori decide su basi tattiche, razionali. Spesso, a pochi giorni dal voto. Così, i sondaggi servono a indicare i probabili vincitori. E i probabili perdenti. Gli elettori li usano per scegliere. Chi sostenere, ma anche chi punire. Oppure per limitare il successo di un vincitore annunciato. Come il Pd di Bersani nel 2013. “Abbandonato”, alla vigilia del voto, da una significativa quota di elettori (6-7%), a favore di un outsider: il M5S. Perché tanto la vittoria del Pd era ritenuta sicura. Meglio, dunque, limitarne l’ampiezza. A sinistra, i leader troppo forti non piacciono. Gli stessi elettori, peraltro, tornarono a votare Pd alle europee del 2014. Per evitare che Grillo “si montasse la testa”.
Perché gli italiani hanno sempre preferito votare “contro” piuttosto che “per”. Nella Prima Repubblica, in nome dell’anti- comunismo. Poi dell’anti- berlusconismo. Infine, in tempi recenti, in nome dell’anti-politica. Che tuttavia, oggi, suscita, anch’essa, sentimenti di anti- antipolitica.
Così, fra gli elettori italiani cresce l’incertezza. O meglio: l’in- decisione. Quasi metà di loro, infatti, un mese prima delle elezioni si diceva “indeciso” (Atlante Politico di Demos per Repubblica). E oggi penso che circa un terzo non abbia ancora “deciso”. Ma stia pensando “contro” chi votare, stavolta. Un orientamento che, fino ad oggi, aveva favorito i 5S. Mentre in questa occasione pare beneficiarne Berlusconi. A favore del quale si esprimono anche alcuni di coloro che lo hanno contrastato da sempre. D’altronde, pensano, il centrosinistra non ha possibilità di vittoria. Allora, meglio il Cavaliere, che, almeno, ha esperienza di governo, piuttosto che Di Maio e gli specialisti dell’antipolitica.
Per queste ragioni, a una settimana dal voto, è difficile pre-vedere. Non solo perché i sondaggi si dimostrano inadeguati a fare previsioni. Elettorali. Ma perché gli elettori li usano per risolvere le proprie incertezze. Sulla base di premesse incerte. Con esiti — ancor più — incerti. Tuttavia, più che di in-certezza dovremmo parlare di in-decisione. Di decisioni ancora non decise… Gli in-decisi, infatti, sono presenti in tutta la popolazione. Soprattutto fra i più anziani e nelle classi popolari. Ma sono diffusi anche fra i giovani e fra le persone più istruite. Professionisti, funzionari e impiegati pubblici. In passato hanno votato il centrosinistra. Se non hanno ancora deciso non è per disinteresse o per dis- informazione. Ma per la ragione opposta. Perché ancora non hanno chiaro ciò che sia meglio. Per il Paese, per se stessi. Cosa convenga fare. Se punire il leader “ antipatico” del PdR, sostenere il premier. Im- populista, ma popolare. Oppure voltare pagina. Per modo di dire. Cioé: tornare indietro. Al passato che non passa. Sostenendo il Cavaliere, ancora in sella.
Di certo, rispetto alle occasioni precedenti, questa volta c’è una differenza. Significativa. Per il centrosinistra. In passato rimontato, quand’era pronosticato vittorioso. Mentre questa volta i sondaggi e le previsioni non lo favoriscono. Al contrario. Ma proprio ciò lo potrebbe, paradossalmente, favorire. Infatti, non è escluso che, una volta di più, gli “ in- decisi decidano”, tatticamente, di contraddire le previsioni. Sfavorendo i favoriti. Questa volta: il M5S. Ma soprattutto il centrodestra di Berlusconi, Salvini e Meloni.
Naturalmente, non dimentico che in altre elezioni, le ultime nel 2008, quando il centrodestra, favorito, vinse largamente. Ma, allora, l’onda berlusconiana ri- montava. Non c’erano incertezze. E gli in-decisi avevano deciso da tempo. Oggi viviamo nel tempo dell’in- decisione. E, dunque, nulla è deciso…