Repubblica 26.2.18
Dove mira Xi Jinping
I piani dell’Imperatore da qui all’eternità
Sbaragliati
i nemici, il leader ha campo libero: campione della globalizzazione,
delle ricerche sull’Intelligenza artificiale e presto nella forza
militare
Ma pesa il rischio di guerra commerciale
di Angelo Aquaro
Da
qui all’eternità: o quasi. Il funzionario grigio che aveva sposato la
reginetta dell’Opera, il dirigente di partito che fino a pochi anni fa
per tutti era solo “il marito di Peng Lyuan”, da oggi è l’uomo solo al
comando più potente del mondo: a 64 anni il dominus indiscusso di un
miliardo e 450 milioni di sudditi, il custode di un tesoro da 11mila
miliardi di dollari. Chiamarla ancora Repubblica, e per giunta Popolare,
sarà dura. Sotto la guida di Xi Jinping che è già capo dello Stato,
capo dell’esercito, segretario ma soprattutto “cuore” del partito, oltre
a una manciata di cariche che ne hanno fatto “il presidente di tutto”,
la Cina torna ai fasti dell’Impero che fu. Nel segno, ci mancherebbe, di
quel “Socialismo con le caratteristiche cinesi per una nuova era”, cioè
lo Xi-pensiero, che adesso viene introdotto, dopo essere stato
incasellato in quella di partito, anche nella Costituzione dello Stato
modificata per strappare l’ultima foglia di fico: il divieto a ricoprire
la presidenza e vice presidenza per più di due mandati, ed
evidentemente a superare anche il limite dei 68 anni. Da qui
all’eternità: Xi per sempre?
La novella che ha accolto i cinesi al
ritorno dalle lunghe vacanze del Capodanno lunare conferma le
aspettative già plasticamente riassunte dalla parata che lo scorso
ottobre aveva mostrato al mondo, al termine del 19esimo Congresso, i
nuovi Magnifici Sette del Comitato permanente: scartando dalla
tradizione, tra i Sei dietro Xi non c’era nessun erede designato.
Insomma Xi era già il cinese più potente dai tempi di Mao: e sicuramente
con un’agenda ancora più ambiziosa.
La sua Cina sempre più
moderna, che dal salotto capitalista di Davos si presenta come il
campione della globalizzazione contro il protezionismo di Donald Trump,
che entro il 2030 sorpasserà gli Stati Uniti nell’Intelligenza
artificiale e ancora prima, 2028, raggiungerà la parità dell’innovazione
tecnologica, è la stessa Cina che con una spesa militare in aumento del
6-7% annuo, cioè in linea con la crescita del Pil, eguaglierà
prestissimo la potenza di fuoco degli yankees. E c’era ancora qualcuno
disposto a pensare che Xi Dada, zio Xi, potesse lasciare il lavoro a
metà?
Era del resto evidente che in quel continuo ondeggiare tra
“fang”, distensione, e “shou”, “stretta”, che contrassegna la storia
della Cina comunista, Xi avesse scelto la via appunto che più “stretta”
non si può. Perché nei vestiti dell’Imperatore s’è calato dopo aver
fatto fuori i nemici con la scusa della più grande campagna
anticorruzione, 5 anni di indagini, più di 1 milione e 340mila
funzionari sotto accusa, dalle “mosche” dei villaggi alle “tigri” delle
metropoli. Così s’è liberato prima di Bo Xilai e poi di Sun Zhengcai, i
due boss di Chongqing.
Così ha fatto piazza pulita nell’Esercito
popolare di Liberazione, il vero centro del potere: ultima vittima Zhang
Yang, il generalissimo morto suicida dopo essere finito nello stuolo di
stellette indagate. Non è un caso se anche la lotta alla corruzione
entra adesso nella Costituzione, la Commissione di Supervisione
Nazionale diventerà un’agenzia dello Stato, l’ennesimo braccio armato
del presidente: e già si parla del ripescaggio, per la vicepresidenza
della Repubblica, di Wang Qishan, l’ex zar anti-mazzette suo
fedelissimo, che al Congresso era stato costretto a lasciare proprio per
l’età. E vogliamo parlare del bavaglio su Internet che ha fatto
(brevemente) arrabbiare perfino quel Jack Ma di Alibaba suo amico e
ambasciatore? Della mortificazione di ogni dissenso e della vergognosa
morte in carcere del premio Nobel Liu Xiaobo? O del rigurgito
nazionalista che sbatte in galera chi non mette la mano al petto durante
“La marcia dei volontari”?
Il Global Times, che è il megafono in
inglese del Quotidiano del Popolo, si premura di specificare, excusatio
non petita, che la rimozione dei limiti “non significa che la presidenza
cinese avrà durata a vita”. Certo non significa neppure che non potrà
non averla. Robert Lawrence Kuhn, il filosofo e politologo americano più
ascoltato a Zhongnanhai, l’ex giardino della Città Proibita oggi bunker
del partito, dice a Repubblica che «più che altro è un passo simbolico,
anche se finale, nella ratifica del potere onnicomprensivo di Xi. La
designazione come ‘cuore’ del partito e il suo pensiero nella
Costituzione sono molto più importanti: vuol dire che un giorno potrà
anche trasferire la presidenza e il partito ad altri, continuerà a
mantenere il suo super potere per sempre».
Xi come Putin, più di Putin. Come Erdogan, più di Erdogan.
E
il mondo che fa? Non può essere una coincidenza che proprio domani
atterri in tutta fretta, a Washington, l’attivissimo Liu He.
L’economista
svezzato ad Harvard è il capo in pectore della Banca centrale, nonché
confidente di Xi, e la missione alla corte di Trump per scongiurare la
guerra commerciale annunciata dagli Usa, una delle tante mine sulla
strada dell’Ultimo Imperatore, sarà l’occasione per rassicurare gli
amici-nemici sul nuovo corso. Da qui all’eternità?