Repubblica 23.2.18
Arte trafugata
La bellezza depredata degli ebrei
Due
sale del Louvre ospitano una trentina di quadri che i nazisti
requisirono nel periodo in cui la Francia era occupata. Viaggio
attraverso alcune delle migliaia di opere che attendono di essere
restituite agli eredi delle vittime
di Anais Ginori
PARIGI
È una postilla che passa inosservata sotto a ogni quadro. «Opera in
attesa di essere restituita al legittimo proprietario».
Nell’ala
Richelieu, in fondo alla galleria Medici, davanti ai magnifici ritratti
di Rubens, sono ancora pochi i visitatori che osano entrare nelle due
piccole sale affacciate su rue de Rivoli. I gruppi di turisti non ci
fanno caso. Sui muri non c’è ordine cronologico, né unità di luogo o di
stile. Si mischiano dipinti del Cinquecento e altri dell’Ottocento,
pittori fiamminghi e anonimi veneziani, artisti famosi come Eugène
Delacroix, François Boucher, Théodore Rousseau, e nomi molto meno
prestigiosi.
«Abbiamo fatto un’eccezione, tralasciando ogni
criterio artistico», racconta Sébastien Allard parlando come di
un’eresia necessaria. Il direttore del dipartimento Dipinti del Louvre
fa visitare con un punta di emozione le nuove sale dedicate alle opere
requisite alle famiglie ebree durante il nazismo. Il più grande museo
del mondo ha deciso di esporre, in un’apposita area, trentuno dipinti
“orfani” dalla fine della guerra. Il Louvre ha quasi 800 dipinti
trafugati durante l’occupazione nazista.
«Li abbiamo in custodia
ma non ne siamo proprietari», ripete più volte Allard, evocando le varie
tappe del contenzioso intorno a questi quadri e disegni. Secondo alcune
stime, i nazisti hanno requisito agli ebrei francesi oltre 100mila
beni, opere d’arte ma non solo. A partire dal 1945, oltre 60mila beni
sono tornati dalla Germania verso la Francia, di cui 45mila restituiti
ai legittimi titolari o agli eredi. Un’altra parte è stata venduta dallo
Stato che ha però mantenuto 2143 opere iscritte in un registro
speciale, quello dei Musées Nationaux Récupération (Mnr), di cui tre
quarti sono conservate nelle riserve del Louvre.
Alcuni dei
dipinti del Mnr, come la Tête de Lionne di Théodore Géricault, sono già
visibili all’interno della collezione permanente del museo. In passato,
ci sono state alcune mostre temporanee con questo filo conduttore ma è
la prima volta che viene creato uno spazio permanente. L’obiettivo,
spiega Allard, non è solo ricordare i rastrellamenti che hanno subito
migliaia di famiglie ebree, derubate di tutto, ma anche tentare di
rintracciare finalmente le vittime dei trafugamenti o i loro eredi. Una
missione tutt’altro che facile.
A lungo la procedura prevedeva che
l’onere della prova fosse a carico delle vittime. Per chi aveva perso
tutto durante la guerra era complicato ritrovare documenti o foto che
potessero convincere lo Stato ad autorizzare la restituzione. La
questione è rimasta in sonno. Tra il 1957 e il 1994 sono state
riconsegnate solo 4 opere sulle oltre 2 mila in mano allo Stato. «Era un
periodo in cui la società francese voleva voltare pagina», dice con
pudore Allard.
Secondo molti storici, si trattava di una rimozione
collettiva, della volontà di tacere le zone d’ombra e le colpe di chi
aveva collaborato con i tedeschi. Solo nel 1995 il presidente Jacques
Chirac ha riconosciuto la responsabilità della Francia nei
rastrellamenti.
Ed è in quegli anni che — non a caso — si sono
ricominciate a muovere le autorità a proposito dei trafugamenti. Il
governo ha chiamato l’ex partigiano Jean Matteoli per fare un rapporto,
nel 1999 è stata creata la Commission d’indemnisation des victimes de
spoliations (Civs).
«Stabilire l’identità dell’ultimo proprietario
legittimo di questi dipinti resta un rompicapo», commenta Allard. Le
ricerche richiedono tempo e mezzi.
Talvolta sono inconcludenti. Lo
Stato ha messo online la collezione completa delle opere cosiddette
Mnr. La banca dati si chiama Rose Valland, dal nome dell’eroica
conservatrice che lavorava al Jeu de Paume, museo usato dai nazisti per
smistare le opere sequestrate. Valland ha tenuto un archivio clandestino
diventato fondamentale nel dopoguerra per rintracciare centinaia di
famiglie derubate.
Secondo la definizione delle autorità francesi,
per bene «trafugato» si intende rubato durante un rastrellamento ma
anche «venduto sotto costrizione» o comunque a causa delle leggi
razziali.
È probabilmente il caso del dipinto Medemoiselles Duval
di Jacques Augustin Pajou, esposto all’ingresso delle nuove sale del
Louvre. Il ritratto delle sorelle, finito nella collezione privata del
gerarca Joachim von Ribbentrop, era stato venduto l’11 febbraio 1942.
Consultando la banca dati Rose Valland si nota che molti altri dipinti
sono stati acquisiti durante l’occupazione. Le autorità hanno
digitalizzato i cataloghi di vendita delle gallerie parigine tra il 1939
e il 1945. È grazie a questi documenti che gli eredi della coppia
Hertha ed Henry Bromberg, fuggita prima dalla Germania e poi anche dalla
Francia, ha potuto ottenere la restituzione di alcuni quadri, in
particolare dagli archivi dell’antiquario Yves Perdoux.
L’ultimo —
il trittico di un pittore fiammingo — è stato riconsegnato alla
famiglia Bromberg a metà febbraio dalla ministra della Cultura,
Françoise Nyssen.
Negli ultimi anni il ritmo delle restituzioni si
è accelerato. Il precedente governo ha creato gruppi di lavoro che,
anziché lasciare l’iniziativa solo ai parenti delle vittime, hanno avuto
una parte attiva nelle ricerche, mobilitando magistrati, conservatori,
archivisti. Sono stati chiamati genealogisti per rintracciare gli eredi,
ora che i protagonisti dell’epoca non ci sono più. Dopo ottant’anni, le
chance di ridare una casa alle opere “orfane” sono sempre meno. «Ci
piacerebbe pensare che un giorno questo spazio sarà vuoto», conclude
Allard. Il Louvre, e lo Stato francese in generale, sono stati anche
criticati per le lungaggini, l’ottusa burocrazia. «Sappiamo che gli
sforzi non sono mai abbastanza», risponde il responsabile. Nel lanciare
la lodevole iniziativa il museo ha fatto una gaffe non piccola. Nel
primo cartello informativo non erano citate le famiglie ebree. Come se
le opere fossero state un semplice bottino di guerra e non il frutto di
una persecuzione sistematica. Il Louvre ha parlato di “svista”. Il
cartello è stato ovviamente corretto. Il peso della Storia continua a
farsi sentire.