Repubblica 22.2.18
I tormenti di Francesco
La confessione del Papa “Ho vissuto anni oscuri temevo di essere alla fine”
Nell’incontro riservato di qualche giorno fa con i parroci romani Francesco parla del suo decennio di “smarrimento”, fino al ’92
La notte oscura sembra ormai svanita.
di Paolo Rodari
CITTÀ
DEL VATICANO Dice di aver vissuto «il tempo di una grande desolazione,
un tempo oscuro». «Credevo — continua — che fosse già la fine della mia
vita» perché «sì, facevo il confessore ma con uno spirito di sconfitta».
E ancora: «Ho pregato tanto, in questo tempo, ma ero secco come un
legno» perché «credevo che la pienezza della mia vocazione fosse nel
fare le cose». Tuttavia, «non ho lasciato la preghiera e questo mi ha
aiutato». Non ha paura di parlare di sé, Papa Francesco, entrando anche
nei momenti più riservati e insieme bui della sua vita. Le parole che
lui stesso dice a braccio incontrando la settimana scorsa i parroci di
Roma nella basilica di San Giovanni in Laterano, infatti, sono la parte
più intima della sua vita e vanno a svelare, con semplicità, il tempo di
una sorte di notte oscura vissuta dal futuro Papa in Argentina fra
l’inizio degli anni ’80 e il 1992, l’anno in cui Giovanni Paolo II lo
nomina vescovo ausiliare di Buenos Aires. Dopo una telefonata del nunzio
vaticano in Argentina, Ubaldo Calabresi, «ho poi aperto un’altra
porta», racconta.
Bergoglio, che nel 1981 compie 45 anni, vive un
momento di difficile passaggio della sua esistenza. Dopo essere
diventato a soli 37 anni superiore della provincia argentina della
Compagnia di Gesù, e poi rettore del Colegio Máximo di San Miguel,
diventa confessore, incarico nel quale non si ritrova del tutto.
Trascorre un periodo in Germania dedicato a terminare una tesi dottorale
su Romano Guardini che tuttavia non arriverà mai a discutere, e poi
parte per Córdoba dove «come lavoro» fa il direttore spirituale e il
confessore della chiesa della Compagnia di Gesù. Sono anni duri per lui,
di buio, anche di incomprensioni all’interno della Compagnia, un
periodo che i biografi definiscono di «esilio». E nei quali Bergoglio
deve ripetersi spesso: «Adesso non so cosa fare». Mai avrebbe immaginato
cosa sarebbe accaduto dopo; la nomina a vescovo ausiliare, la guida
dell’intera diocesi di Buenos Aires, l’elezione al soglio di Pietro il
13 marzo del 2013, giusto cinque anni fa.
È vero, come rivela lui
stesso in un libro-intervista scritto col sociologo francese Dominique
Wolton, già nel 1978 vive un periodo d’inquietudine — «il demone di
mezzogiorno», come chiamano in Argentina la crisi di mezza età —
affrontato «per sei mesi una volta alla settimana» con una psicoanalista
ebrea che lo aiuta molto. Ma qui sembra che egli debba fronteggiare
qualcosa di più profondo, una crisi nella vocazione risolta soltanto
grazie alla preghiera, e in particolare a un rapporto «faccia a faccia
col Signore, parlando, conversando, dialogando con Lui».
La notte
oscura è di tante donne e uomini di fede, «una spina nella carne», dice
san Paolo. Ne scrive Giovanni della Croce che parla di notte dei sensi e
dello spirito, momento di travaglio, sofferenza, dubbio, senso di
solitudine e d’abbandono da parte di Dio. Un’oscurità, spiega il
carmelitano spagnolo, voluta da Dio per purificare l’anima
dall’ignoranza e liberarla dagli attaccamenti ad affetti, persone e
cose, che le impediscono lo slancio verso l’alto e l’unione amorosa con
Lui. La vive, fra i tanti, anche Teresa di Calcutta, che si sente per un
lungo periodo «abbandonata da Dio».
Sorride a tutti, ma dentro di sé non ha che buio.
Bergoglio
non arriva a dire di essersi sentito abbandonato da Dio. Tuttavia, il
suo smarrimento è reale. Ma, confida ancora ai preti romani, per molti
sacerdoti può essere così: «È un momento aspro ma liberatorio. Quello
che è passato, è passato». Dopo «c’è un’altra età, un altro andare
avanti».
E, in effetti, tutto cambia successivamente. Il gesuita
che nel ’78 sente, mentre si trova in macchina, che hanno eletto Karol
Wojtyla al soglio di Pietro, un uomo del quale fatica a ripetere il
nome, parte per Roma nel 2013 convinto di tornare a casa presto. Le cose
vanno diversamente. Bergoglio diviene Francesco e dalla sua Argentina
rimane lontano. Ma la crisi degli anni di Córdoba è oggi passata.
Ai
suoi collaboratori ripete di non sentire alcuna nostalgia del suo
Paese. Ha scelto di vivere a Santa Marta non per rifiuto del lusso
dell’appartamento apostolico, ma perché quelle stanze gli sembrano un
imbuto all’incontrario, una porta piccola all’imboccatura di spazi
troppo grandi. A Santa Marta vede gente, prega, lavora, non si sente
solo. La strada è spianata.