Repubblica 21.2.18
Grasso gioca la carta Corbyn ma Leu è delusa dal leader
Incontro
a Londra con il leader laburista, malumore tra i suoi per una campagna
mai decollata Voci di scissione tra ex Pd e Si. Bersani alla minoranza
dem: ricostruiamo il centrosinistra
Sotto accusa la responsabile della campagna elettorale Muroni
Il sondaggista a D’Alema: non sfondate
di Tommaso Ciriaco
ROMA
Raccontano che Pierluigi Bersani e i suoi ambasciatori con la tessera
Mdp in tasca abbiano ripreso da un po’ a tessere la tela.
«Sai –
ha confidato l’ex segretario a diversi interlocutori di peso del Pd, che
adesso faticano a mantenere il segreto - la convivenza con quelli di
Sinistra Italiana difficilmente potrà durare». Il rischio è che le
strade dei soci fondatori di Liberi e Uguali si dividano presto,
insomma, e che contestualmente riparta un nuovo processo aggregativo
nell’area progressista. «Dopo il 4 marzo cambia tutto. E noi dovremo
riprendere un ragionamento insieme». Sono missioni mirate, quelle del
leader di Liberi e Uguali. Rivolte a molti big dem rimasti scottati dal
repulisti renziano nelle liste elettorali.
Michele Emiliano e
Andrea Orlando, innanzitutto. E poi un governatore con ambizioni
nazionali come Nicola Zingaretti, i prodiani e pure i cattolici delusi
dal renzismo. Messaggi riservati che ufficialmente non esistono, ma che
trovano risposte interessate. Perché al Nazareno cresce di ora in ora il
partito di chi la vede così: «Dopo il 5 marzo diventerà prioritario
ricostruire il centrosinistra».
Questa storia fatta di contatti
riservati e appesa al rebus elettorale gira attorno a un nome: Piero
Grasso. Se c’è un punto su cui le due anime di Liberi e Uguali
concordano, è la delusione per la campagna impostata dall’ex Presidente
del Senato. E la bocciatura della cosiddetta “linea Muroni”. Si tratta
di Rossella Muroni, candidata alla Camera e coordinatrice della corsa
elettorale di Grasso. Da settimane, per ora solo sottovoce, le imputano
una gestione sbagliata della leadership. Le rinfacciano l’incapacità di
imporre nell’agenda i temi di LeU. La accusano di aver sbagliato
addirittura i manifesti.
Né a migliorare l’umore è bastata la
missione oltremanica di Grasso, ieri a Londra per incontrare il leader
laburista Jeremy Corbyn. La fusione non è riuscita, insomma. E
l’obiettivo degli ex dem, una volta rientrati in Parlamento, sarà quello
di tradurre in azione la tesi di Massimo D’Alema: «Bisogna far
rinascere la sinistra per ricostruire il centrosinistra».
Certo,
le incognite non mancano. Soltanto pochi giorni fa uno dei massimi
sondaggisti italiani ha contattato D’Alema per avvertirlo: «Massimo, non
state sfondando». Altro che performance a due cifre, insomma. E poi
fosse davvero la Muroni, il problema. La verità è che anche sulla linea
politica la divaricazione è allarmante.
Proprio D’Alema è stato il
primo teorico di quel “governo del Presidente” di cui si discute in
questi giorni dal Quirinale in giù.
E Bersani sa bene che
difficilmente questo scenario potrà essere digerito dalle truppe di
Nicola Fratoianni e Nichi Vendola. «Finiremo per dividerci», vaticinano
da Mdp. È più o meno la stessa dinamica distruttiva che minaccia la
tenuta del Pd.
Molti dirigenti hanno visto nella mossa di Prodi il
primo passo per quella scomposizione e ricomposizione del campo
progressista. Michele Emiliano non muove un dito in campagna elettorale e
intanto riallaccia i contatti con i dalemiani. Andrea Orlando,
mortificato dai renziani nella trattativa sulle liste, in privato si
lamenta più o meno così: «Il Pd non è mai stato tanto in difficoltà. O
il 5 marzo Renzi lascia spazio ad altri, come auspica Prodi, oppure
saremo noi a dover riflettere su un altro approdo». Lontani dal
Nazareno, se necessario.
È lo specchio dei ragionamenti di
Bersani. Ed è lo stesso, amaro disincanto che coinvolge – con sfumature
assai diverse – molti pesi massimi del Pd. Dario Franceschini resta in
attesa degli eventi, ma intanto “chiama” proprio Leu in vista del
futuro: «Dobbiamo partire da loro per formare un governo». Graziano
Delrio è in freddo con Renzi, dopo lo smacco delle liste. Marco Minniti
per adesso è concentrato sul regolare svolgimento delle elezioni, ma
certo non ha digerito la decapitazione di uomini chiave come Nicola
Latorre. Senza dimenticare Nicola Zingaretti, che sogna di costruire una
leadership alternativa nel partito. E poi c’è il Professore, che ha
rotto il silenzio. Tutti, ma proprio tutti, invocano Paolo Gentiloni. E
proprio al fianco del premier, Walter Veltroni romperà il silenzio
domenica mattina.
Renzi, che osserva le manovre, sa che soltanto
con un risultato decente potrà far sopravvivere il suo progetto
politico. E ogni qual volta riesce a ritagliarsi un break dal tour
elettorale, rivendica la scelta di aver rinnovato brutalmente i gruppi
parlamentari dem. «Se non l’avessi fatto – riflette – sarei già fuori
dalla partita».