martedì 20 febbraio 2018

Repubblica 20.2.18
Psicologia e bisogno di protezione
Cari mamma e papà perché ho paura?
Le scienze cognitive studiano le origini fin dall’infanzia delle fobie per l’altro, lo straniero
Già dalla nascita si generano emozoni negative e si sviluppano ansia e allarme
di Massimo Ammaniti


Che cosa potrebbe pensare il marziano approdato a Roma, protagonista del libro di Ennio Flaiano, se assistesse a questa campagna elettorale? Giungerebbe alla conclusione che i leader politici appartengono a una specie umana non abbastanza sviluppata nelle aree cerebrali del linguaggio, infatti ripetono in modo ossessivo gli stessi slogan sulla sicurezza senza far capire la complessità dei problemi e le possibili implicazioni.
Chi assiste ai toni allarmati dei politici, mentre parlano dei pericoli provocati dall’arrivo dei migranti per la sicurezza del paese, assorbe inconsapevolmente il senso di una minaccia incombente, con un grave rischio per l’identità nazionale e addirittura per il mondo occidentale. Nella campagna elettorale americana e in quella per la Brexit si è fatto uso dei “Big Data”, ossia delle informazioni raccolte dalle grandi banche dati sulle caratteristiche individuali e di personalità della popolazione. Non si puntava sulle loro capacità cognitive e di ragionamento dei cittadini, si sollecitavano piuttosto le risonanze emotive di paura e di allarme.
Non si può negare che l’arrivo dei migranti possa creare problemi di ordine pubblico e di sicurezza, anche perché non è stato organizzato un piano di accoglienza efficace basato su corsi di apprendimento della lingua e della cultura italiana e di formazione lavorativa. Viene però spesso utilizzato il pericolo dei migranti per far dimenticare i pericoli più gravi della mafia, che gestisce il traffico della droga ed esercita le estorsioni ai danni di commercianti ed imprese. E poi l’inquinamento delle città, i cibi pericolosi per la salute, la viabilità e le ferrovie spesso dissestate.
È lo Stato che non garantisce sufficientemente la sicurezza dei cittadini, costretti a risolvere i problemi quotidiani da soli ricorrendo a compromessi e piccole illegalità, in cui sopravvive il più furbo e il più spregiudicato.
Questa è la fonte di un malessere sociale quotidiano che suscita insicurezze in mancanza di certezza delle regole e di fiducia verso le istituzioni. Ognuno tende a ripiegarsi narcisisticamente su stesso come ha messo in luce il sociologo Christopher Lasch in La cultura del narcisismo.
Il tema della sicurezza sta divenendo una delle maggiori preoccupazioni del mondo occidentale, ribaltando la concezione di Sigmund Freud il quale riteneva che i veri pericoli per l’uomo derivassero dalle pulsioni sessuali ed aggressive inconsce che potevano travolgere la stabilità dell’Io. E mentre Freud riteneva che la motivazione fondamentale fin dai primi anni di vita fosse la ricerca edonistica del piacere, negli anni ’60 del secolo scorso ha preso corpo una concezione diversa secondo cui il bisogno di sicurezza rappresenta l’obiettivo primario di ogni essere umano. L’artefice di questa profonda inversione è stato lo psicoanalista inglese John Bowlby, che si è rifatto agli studi sulle scimmie dei coniugi Harlow, i quali avevano osservato che i piccoli macachi di fronte al pericolo ricercavano il contatto fisico con manichini materni soffici e con il latte. Bowlby ha costruito la cornice della teoria dell’attaccamento utilizzando anche gli sviluppi più recenti della biologia evoluzionistica e della teoria della comunicazione mettendo in luce che la specie umana, come anche altre specie animali, erano riuscite a sopravvivere e ad affermarsi in virtù del legame che si stabilisce fra i bambini e gli adulti che si occupano di loro. L’ipotesi di Bowlby è stata confermata da studi sui bambini e sulle età successive da Mary Ainsworth, Allan Sroufe, Mary Main e altri.
I piccoli nascono predisposti a ricercare la protezione dei genitori e degli adulti che sono fondamentali per il raggiungimento del senso di sicurezza.
Ulteriori conferme a queste osservazioni psicologiche sui bambini derivano dagli studi neurobiologici, effettuati sia negli Stati Uniti che in Italia, che hanno mostrato che in alcune aree del cervello, in particolare nella corteccia orbito-frontale, sono attivi dei circuiti cerebrali che favoriscono i legami di attaccamento, anche se la maturazione di questi circuiti dipende dalle esperienze positive e rassicuranti che si hanno coi genitori.
E quando nei bambini piccoli la protezione viene meno oppure intervengono situazioni negative, il senso di insicurezza prende il sopravvento e si generano emozioni negative come allarme, paura ed ansia. Un’altra possibile reazione sono la rabbia e l’aggressività che vengono dirette verso i pericoli esterni, ma anche verso di sé. Vale la pena di ricordare che intorno al primo anno i bambini di fronte ad una persona sconosciuta reagiscono con “l’ansia dell’estraneo” descritta da René Spitz, perché è una figura diversa dai genitori .
Allora sono insiti nella natura umana il rifiuto e la paura verso gli estranei? Anche in questo caso la ricerca ha messo in luce che se i genitori si mostrano amichevoli verso l’estraneo il bambino gli si potrà avvicinare senza paura, mentre se si mostrano diffidenti, i bambini cresceranno sospettosi ed impauriti, anche se a volte questo viene mascherato con l’arroganza e l’intolleranza.
Queste ricerche ci aiutano a comprendere meglio anche le dinamiche sociali dell’intolleranza e del razzismo che possono avere radici nella storia personale, ma che possono essere amplificate dal clima di paura e di insicurezza a livello sociale, a volte sollecitato , col rischio «il sonno della ragione generi mostri», come scrisse il pittore spagnolo Francisco Goya .