Repubblica 20.2.18
L’analisi
Berlusconi e Di Maio sul lettino
di Massimo Recalcati
La
scelta politica, compresa quella che si esprime nel voto, non dipende
mai solamente da valutazioni razionali, ma incorpora sempre il carattere
tumultuoso della spinta pulsionale. E in una congiuntura difficile per
il nostro Paese come quella che stiamo attraversando questa spinta è
fortemente sollecitata. Il fenomeno populista, nelle sue diverse facce,
esprime l’essenza di questo dominio della pulsione sulla dimensione
critica della ragione. La promessa di incantesimi di ogni genere che la
campagna elettorale moltiplica quotidianamente non è un fenomeno
tipicamente populista? Enunciare soluzioni magiche e semplificate di
fronte a problemi complessi non è appellarsi alla “pancia” del popolo
più che alla sua ragione critica? Il ritorno spettrale del berlusconismo
e la bipolarità politica del grillismo, che alterna con una frequenza
impressionante cambi di rotta radicali su questioni decisive, sono ai
miei occhi due sintomi inquietanti di una politica che si lascia
interamente guidare dalla spinta pulsionale. Il berlusconismo appare
come un chiaro residuo (immortale?) del discorso della pubblicità,
dell’azione porta a porta dell’imbonitore, del pasticcere di cui narra
Platone nel Sofista che di fronte a dei piccoli pazienti doloranti,
anziché prescrivere, come farebbe un medico coscienzioso, un rimedio
restrittivo e impopolare, promette accessi illimitati a prelibatezze di
ogni genere e specie. In questo modo egli guadagna un consenso facile
mettendo però a rischio la salute dei suoi piccoli clienti.
Nel
fenomeno del berlusconismo tutto sembra ripetersi uguale a se stesso a
dispetto della mutazione dei tempi e dei problemi. La formula resta
sempre valida: evocare il pericolo comunista, criticare l’azione
vessatoria dello Stato, evocare l’invasione apocalittica dei barbari,
promettere soluzioni miracolose che sono in realtà criticate da ogni
valutazione tecnica ( vedi, per fare un solo esempio, la cosiddetta “
tassa piatta”). Solo la maschera mummificata di questo leader monco —
reso dalla Legge incandidabile — enuncia in modo inequivocabile la
verità che le sue parole vorrebbero nascondere: il tempo esiste e lascia
dei segni e questi segni parlano di un tramonto fatale e inaggirabile.
Resta impressionante constatare come la tradizione liberale del
centrodestra italiano si regga interamente sul fantasma della potenza
incorruttibile del suo leader, come se la sua politica si riducesse alla
custodia di una sorta di talismano ipnotico senza il quale di questo
attuale centrodestra non resterebbe nulla se non le urla scomposte delle
sue componenti più razziste e xenofobe. La difesa liberale
dell’individuo e dei suoi insopprimibili diritti si è tristemente
ribaltata nell’idolatria di un solo individuo e dei suoi poteri
carismatici, ovvero in una vera e propria psicologia delle masse.
Il
polo grillino è invece afflitto da una patologia bipolare sempre più
evidente. Anche in questo caso bisognerebbe valutare attentamente
l’incidenza della pulsione del loro leader (Grillo, non Di Maio) su
questa oscillazione umorale che caratterizza la politica del M5S: non
c’è una sola decisiva questione sulla quale questa oscillazione non
appaia nei suoi caratteri più grotteschi. L’esempio dell’uscita o meno
dall’euro e quello della cosiddetta democrazia interna (sospesa alla
regia occulta di una Srl) sono, sempre ai miei occhi, inequivocabili.
Bipolarismo inquietante che coinvolge innanzitutto il suo candidato
premier. Senza troppi giri di parole il mio mestiere di psicoanalista mi
impone una domanda. Non quella consueta che da più parti viene rivolta a
Di Maio, ovvero: come può un soggetto che non ha maturato nella sua
vita competenze specifiche su nulla, che non ha mai lavorato in una
istituzione, che non ha mai avuto incarichi di governo ( di una azienda,
di una città, di una qualunque cosa pubblica) essere candidato alla
guida di un Paese di sessanta milioni di abitanti?
La mia domanda è
un’altra e tocca un piano più pulsionale. Quale assenza di giudizio
critico su se stessi comporta l’aver accettato questa candidatura? Lo
sgomento di fronte all’ipotesi di Di Maio premier non è per me tanto
relativo alla sua incompetenza tecnica, quanto al gesto personalissimo
dell’aver accettato questa investitura. Quanti accetterebbero un
incarico di questa rilevanza senza avere la più pallida idea di cosa
significhi governare la cosa pubblica? È questa assenza di
consapevolezza dei propri limiti che fa davvero tremare i polsi. È il
polo chiaramente maniacale o, se si preferisce, puramente adolescenziale
del M5S. Un fantasma di onnipotenza e di purezza totalmente sganciato
dalla realtà. Mi chiedo: ma avrà avuto o avrà almeno una crisi di
panico, un momento di vertigine o di angoscia? Glielo auguro perché
sarebbe il segno che quell’onnipotenza maniacale che egli, così diverso
nel sembiante, sembra aver ereditato dal suo fondatore, in realtà, non
lo assorbe integralmente.