Repubblica 1.2.18
Uno spettro si aggira per l’Europa: Carl Schmitt
di Roberto Esposito
La
traduzione del saggio di Carl Schmitt su Legalità e legittimità, curata
e introdotta magistralmente da Carlo Galli per il Mulino, presenta più
di un motivo di interesse. Pubblicato nel 1932, subito dopo le ultime
elezioni tedesche, prelude al collasso della Repubblica di Weimar e alla
vittoria nazista. Se non si può dire che prepari la svolta totalitaria —
pure accettata di buon grado dall’autore l’anno successivo — coglie
tutti gli elementi della crisi che avrebbe portato al crollo della
democrazia in Germania. Il tramonto dello Stato legislativo apre un
varco nell’ordinamento che spezza l’equilibrio costituzionale tra
legalità e legittimità, norma e decisione, diritto e politica.
Schmitt,
almeno in linea di principio, non contrappone i due termini. Anzi tenta
di articolarli, collocando il potere costituente nella volontà del
popolo tedesco. In questo modo resta all’interno del quadro democratico,
ma lo spinge all’estremo limite arrivando a richiedere un Custode della
Costituzione capace di incarnare la volontà popolare. Ciò che in
sostanza Schmitt propone è una democrazia plebiscitaria che modifichi in
senso autoritario il regime di Weimar. Il secondo motivo di interesse è
l’attitudine camaleontica dell’autore a “ripulire” a ritroso la propria
storia, ampiamente compromessa col nazismo. Nella postfazione, scritta
nel 1958, Schmitt individua in Legalità e legittimità il «tentativo
disperato di salvare» la Costituzione di Weimar dall’attacco concentrico
delle forze antisistema di destra e sinistra. Ora è vero che Schmitt
non fuoriesce formalmente dalla cornice costituzionale. Ma schierandosi
per un rafforzamento senza bilanciamento dei poteri del presidente, apre
la strada allo strappo del 1933, quando si passa dalla possibile
dittatura commissaria di Hindemburg alla reale dittatura sovrana di
Hitler: la legge sul conferimento dei pieni poteri e l’abrogazione dei
partiti sono l’esito controfattuale del tragico tentativo di
stabilizzare la Repubblica, lacerandone il tessuto istituzionale.
Eppure
l’interesse del saggio di Schmitt non è circoscrivibile a una vicenda
storica fortunatamente chiusa. Nonostante la distanza che ci separa,
sono troppi gli echi che risuonano in queste pagine.
A cos’altro
richiamano la crisi di legalità e il deficit di legittimità, l’impotenza
del Parlamento e il conflitto dei partiti, le forzature della
costituzione e il rischio di ingovernabilità, se non alle ferite delle
nostre democrazie?