Repubblica 14.2.18
Il mio maestro e il segreto dell’Antico Egitto
Il
14 febbraio 1928 moriva Ernesto Schiaparelli. Erudito, archeologo
ossessionato dalla terra dei Faraoni rivoluzionò lo studio del passato e
rese il Museo Egizio di Torino un’eccellenza mondiale. Il ricordo del
suo successore
di Christian Greco
Il 14 febbraio
del 1928, moriva a Torino Ernesto Schiaparelli. Si concludeva così
l’avventura di un uomo straordinario, che dedicò la vita al prossimo e
al suo Museo. Il direttore dell’Egizio fu un visionario e un precursore
nel comprendere la rilevanza di un approccio multidisciplinare oltre che
per l’uso di rilievi fotografici per sottoporre ad analisi scientifiche
ciò che era contenuto nei reperti. Fece ad esempio analizzare gli oli e
gli unguenti del corredo funerario dell’architetto Kha o i legni del
suo bastone. Iniziative che più di un secolo fa erano tutt’altro che
scontate. Ma Schiaparelli fu grande anche per aver mostrato interesse
verso l’antropologia fisica. È questo principio a guidare la scelta di
esporre nel museo, accanto alle vetrine, un album fotografico che
mostrasse i siti e i luoghi da cui gli oggetti provenivano.
L’archeologia deve molto a Schiaparelli, che resta un maestro per tutti
noi. Grazie a lui ci si è resi conto dell’importanza dello studio
sistematico delle collezioni, tramite una loro contestualizzazione
archeologica e l’attività sul campo. Appartiene a quella generazione di
studiosi – insieme a Petrie, Revers, Fiorelli e Rosa – che si
confrontarono in modo scientifico con lo scavo, ponendosi domande di
carattere metodologico e soprattutto insistendo sul contesto.
Dopo la laurea in Lettere all’Università di Torino, con una tesi intitolata Del sentimento religioso degli Antichi Egiziani,
sotto
la guida del professore di Egittologia Francesco Rossi, si trasferì a
Parigi. Qui, all’École Pratique des Hautes Études della Sorbona, seguì
le lezioni di Eugène Revillout e di Gaston Maspero, e sarà l’amicizia
con quest’ultimo che lo agevolerà nel corso delle campagne di scavo.
Schiaparelli
fece rientro in Italia sul finire del 1879 e fu chiamato a Firenze al
Museo Archeologico come assistente delle collezioni egizia ed etrusca.
I
nuovi allestimenti fiorentini furono inaugurati il 2 febbraio del 1883,
alla presenza di re Umberto I. Successivamente, dopo aver assunto la
direzione della sezione egizia, si dedicò all’arricchimento delle
collezioni organizzando due campagne di acquisti, condotte in Egitto nel
1884-1885 e nel 1891-1892. Fu nel corso della prima campagna che,
venendo in contatto con l’Ordine francescano al Cairo e a Luxor, si rese
conto della situazione di disagio sofferta dai religiosi dislocati in
varie località del Paese. Toccato dai racconti dei frati, Schiaparelli,
rientrato in Italia, si attivò per creare una struttura laica capace di
garantire sostegno e dignità ai religiosi italiani in Egitto, costretti a
vivere sotto la protezione austriaca. Il progetto si concretizzò nel
1886 con la fondazione dell’Associazione nazionale per soccorrere i
missionari italiani (Amni poi Ansmi), con sede a Firenze, che in breve
tempo si attivò in Egitto con oltre venti sedi, dal Cairo a Luxor,
estendendosi poi fino a Pechino.
Nel 1894, con la morte di
Ariodante Fabretti, Schiaparelli fu chiamato a Torino per dirigere il
Regio Museo di Antichità ed Egizio. E fu il suo capolavoro. Si dedicò al
riassesto del museo che, rimasto a lungo inattivo, rischiava di perdere
il primato che lo aveva reso celebre nel mondo.
Occorreva
rinnovare gli allestimenti e incrementare le collezioni per tornare a
competere con i principali musei d’Europa e d’America. Dopo una campagna
di acquisti condotta in Egitto nel 1901, pur con risultati “molti e
preziosi”, Schiaparelli aveva compreso che le campagne di acquisti non
erano la strada migliore per arricchire le collezioni, sia per gli
elevati costi sia perché si finiva inevitabilmente con l’acquisire
antichità sottratte al loro contesto di origine. Occorreva invece
intraprendere ricerche direttamente sul campo, programmando più stagioni
di scavo e individuando preventivamente i siti maggiormente
interessanti per le necessità del museo.
La sua attività di
ricerca prese il via nell’inverno del 1903, con i fondi messi a
disposizione da Vittorio Emanuele III, portando così alla fondazione
della Missione archeologica italiana (Mai). Questi finanziamenti
permisero di condurre le prime quattro campagne di ricerca in alcuni tra
i siti più importanti per la storia dell’antico Egitto: Eliopoli,
Ermopoli, Giza, Valle delle Regine, Deir el-Medina, Hammamya, Qau
el-Kebir e Assiut. Una sovvenzione successiva da parte dei Savoia
consentì il proseguimento degli scavi fino al 1920. Il ventennio di
ricerche in undici località del Basso, Medio e Alto Egitto permise la
scoperta di migliaia di reperti dei quali oltre 35.000 vennero accordati
dal governo egiziano al nostro Paese, per il museo di Torino. I grandi
cantieri della Valle delle Regine (1903-1905), presso Tebe, avevano
messo in luce numerose tombe di regine e principi tra cui, nel 1904,
quella della regina Nefertari, sposa di Ramesse II. Dalle tombe giunsero
a Torino importanti resti di corredi funerari e decine di sarcofagi con
le loro mummie.
Nell’attigua località di Deir el-Medina
(1905-1908), oltre alla necropoli dove fu ritrovata nel 1906 la tomba
intatta di Kha e Merit e la cappella di Maia, furono portati alla luce i
resti del villaggio, che permisero la scoperta di un archivio con oltre
trenta papiri.
La campagna di Giza del 1903 aveva consentito il
recupero di statue, elementi architettonici e sarcofagi. Anche gli altri
siti fornirono una straordinaria quantità di materiale che
contribuirono al riallestimento delle collezioni in ambienti molto
ampliati. L’inaugurazione delle nuove sale avvenne il 17 ottobre del
1924. L’attività sul campo è considerata da Schiaparelli in tutti i suoi
aspetti, dalla necessità di definire una metodologia corretta di
indagine, che permetta di identificare e studiare in modo unitario il
contesto, alla documentazione, con il ricorso sistematico allo studio
multidisciplinare, per ottenere tutte le informazioni possibili a
inquadrare il ritrovamento, fino alla sua musealizzazione. In questo
consiste la lezione che ci lascia. Si tratta delle basi che ancora oggi
caratterizzano gli scavi condotti dagli archeologi in Egitto e non solo.
Le
sfide che ci troviamo di fronte adesso sono molteplici: la continua
ridefinizione degli aspetti metodologici, la necessità di pubblicare e
di condividere rapidamente i dati con la comunità scientifica e, non
ultimi, i cambiamenti ambientali, demografici e politici che incidono
sugli scavi e sui reperti.
Un ultimo aspetto mi pare importante
sottolineare: un’istituzione, come il Museo Egizio, che oggi decida di
intraprendere scavi non ha più come fine quello di accrescere le proprie
collezioni – in questo si misura la netta distanza dagli anni di
Schiaparelli – ma quello di ampliare le conoscenze specifiche sulla
cultura materiale che ha il privilegio di custodire, quello di
comprendere il contesto da cui provengono i reperti esposti nelle sue
gallerie e quello di costruire legami, reali o solo virtuali, fra le
comunità che popolano il territorio nel quale le ricerche sono condotte e
quello nel quale l’istituzione stessa è radicata.
Sta a noi, adesso, continuare quel viaggio intrapreso da Schiaparelli.