mercoledì 14 febbraio 2018

La Stampa TuttoScienze 14.2.18
“Così al Cern si farà luce sull’Universo oscuro”
Fabiola Gianotti è leader del laboratorio n°1 al mondo “Ci stiamo preparando a decifrare il 95% del cosmo”
di Stefano Massarelli


La conoscenza dei componenti della materia, dell’Universo e di noi stessi è solo agli inizi. Ciò che osserveremo al Cern di Ginevra nei prossimi anni potrebbe spalancare le porte a una nuova fisica e a un nuovo modo di osservare la realtà, a partire dai minuscoli quark. A guidare questo cammino saranno i 17 mila ricercatori di 110 Paesi che collaborano agli esperimenti dell’acceleratore di particelle tra Francia e Svizzera sotto la guida di Fabiola Gianotti.
È lei che nel 2012 ha annunciato la scoperta del Bosone di Higgs, un risultato reso possibile - ha spiegato nella lezione all’Accademica dei Lincei a Roma - anche dalle tecnologie futuristiche della mega-macchina «Lhc», il «Large hadron collider».
Torniamo a quel 4 luglio 2012, quando lei era responsabile del test «Atlas»: quali prospettive ha aperto l’Higgs?
«La scoperta ha rappresentato allo stesso tempo un grande traguardo e un nuovo inizio. Un grande traguardo perché ci ha permesso di completare il disegno del Modello Standard, che è la teoria che descrive i componenti fondamentali della materia e le loro interazioni. Un nuovo inizio perché ci ha permesso di aprire le porte verso una nuova fisica. Il Modello Standard, infatti, seppure verificato a livello sperimentale, non è in grado di rispondere a tutte le domande ancora aperte della fisica. Il Bosone di Higgs rappresenta proprio uno degli strumenti attraverso cui indagare questa nuova fisica. Oggi, per esempio, stiamo misurando con attenzione i suoi comportamenti e le interazioni con le altre particelle: se dovessimo effettuare osservazioni che si discostano dal Modello Standard, ciò significherebbe che stiamo entrando in un terreno inesplorato».
A quali altre domande si tenta di dare una risposta con «Lhc»?
«Uno dei grandi interrogativi riguarda la comprensione dell’Universo oscuro. Ciò che riusciamo a vedere è solo il 5% della materia che compone l’Universo, che per il restante 95% è composto di materia ed energie a noi sconosciute. Tra i nostri obiettivi c’è quello di scoprire l’identità della materia oscura che costituisce circa il 25% dell’Universo. Abbiamo prove indirette della sua esistenza, ma non si è rivelata. Oltre a “Lhc”, numerose altre strutture nel mondo le danno la caccia, tra cui i Laboratori del Gran Sasso dell’Infn».
Un’altra questione riguarda l’origine dell’Universo: cosa sappiamo del Big Bang?
«Quello che osserviamo con i telescopi si ferma a circa 380 mila anni dopo il Big Bang, perché in epoche precedenti la luce è rimasta intrappolata in un gas opaco di particelle e quindi non è potuta giungere fino a noi. Per indagare oltre dobbiamo ricorrere agli acceleratori di particelle, attraverso cui si replicano le reazioni nei primi istanti dell’Universo. Con gli esperimenti attuali abbiamo studiato fenomeni che sono avvenuti un milionesimo di milionesimo di secondo dopo il Big Bang. Ma andare oltre è difficile: ci sono fenomeni che ancora non conosciamo».
Quali saranno i prossimi sviluppi dell’acceleratore «Lhc»?
«L’attuale ciclo, il “Run2”, terminerà a fine 2018. In seguito sarà effettuato un potenziamento e l’acceleratore riprenderà l’attività nel 2021, con fasci più intensi e maggiori energie. La quantità di dati aumenterà di 20-30 volte e ci permetterà di cogliere maggiori opportunità, effettuare possibili nuove scoperte e fornire anche risposte alle domande ancora irrisolte».
Al momento della nascita dell’Universo esistevano quantità pressoché simili di materia e antimateria, dopodiché quest’ultima è scomparsa. Sappiamo che fine abbia fatto?
«“Lhc” lavora anche per rispondere a questo quesito. Uno dei test - “LHCb” - si occupa di effettuare ricerche proprio sull’asimmetria tra materia e antimateria e di spiegare il perché quest’ultima sia scomparsa. Inoltre abbiamo a disposizione l’unica installazione al mondo per la produzione di antiprotoni e antielettroni, i quali vengono sintetizzati a formare molecole di anti-idrogeno: studiamo il comportamento di questo “equivalente” dell’idrogeno nell’antimateria e questo sembra comportarsi esattamente come l’idrogeno conosciuto».
Intorno al 2035 «Lhc» terminerà la sua attività. E dopo?
«Cominciamo a proporre nuove idee per quello che potrebbe essere il successore: si pensa a un super-acceleratore più grande e sempre circolare, anche se sono state avanzate ipotesi di infrastrutture lineari. È un momento strategico, in cui pianificare il futuro in previsione della nuova fisica».