mercoledì 14 febbraio 2018

Il Fatto 14.2.18
“Perfino Humphrey Bogart reciterebbe Montalbano”
Alberto Sironi - Lunedì il 45% di share, il regista: “Ci ispiriamo al cinema Usa, ma il commissario incarna l’italianità migliore”
di Federico Pontiggia


Record dei record: 11 milioni e 386 mila telespettatori per il 45% di share, La giostra degli scambi è Il commissario Montalbano più visto di sempre. L’acclamata serie tv lunedì 19 febbraio toccherà con Amore quota 32 film, e dal ’99 la triade creativa non è cambiata: Andrea Camilleri ci mette la penna, Luca Zingaretti la faccia e Alberto Sironi la macchina da presa. Gallaratese trapiantato a Roma, classe 1940, il regista non si capacita del successo: “Siamo contenti, anzi, di più. Ma anche un po’ sconcertati, sono cifre che fanno impressione”.
Sironi, a giudicare dagli ascolti Sanremo non è finito: è il trionfo del nazionalpopolare?
Come ascolti c’azzecca, ma la somiglianza col Festival finisce lì. Non sono nemmeno sicuro del nazionalpopolare, se è quello dei Promessi sposi allora sì, Montalbano lo è, in senso alto e importante. Camilleri ha scritto storie straordinarie, Salvo è tra i personaggi più belli della letteratura degli ultimi 50 anni.
Qual è la sua eccezione culturale?
Sceneggiature e romanzi hanno un’ambivalenza molto particolare, non sono storie naturalistiche, partono dal quotidiano, ma si e ci trasportano nel mito e, perfino, nella metafisica. Sicché il mondo di Montalbano è fatato: poche comparse, una macchina, la Tipo, che era già desueta nel ’99, una lentezza, una morbidezza di luce da favola. È un racconto diverso, e la gente lo capisce.
La gente vede anche Don Matteo: analogie?
Poche. Ho visto uno o due episodi qualche anno fa, per carità, certe cose sono anche divertenti, ma il modello d’ispirazione del poliziesco, quale è Montalbano, viene dal cinema americano, non dalla tv italiana.
Facciamo i nomi?
Il lungo addio, il bianco e nero, Raymond Chandler e Dashiell Hammett, le dark lady. E Humphrey Bogart.
Zingaretti come Bogart?
Beh, sono sicuro che copione alla mano Bogart Montalbano l’avrebbe fatto. Del resto, Luca l’abbiamo scelto sulla scorta del suo esempio: con la Rai e il produttore Carlo Degli Esposti, cercavamo un protagonista che oltre al commissario avrebbe potuto fare il villain. Accade, appunto, con i grandi attori americani, li vedi e non sai se aspettarti un buono o un cattivo: un interprete deve saper rovesciare la calza, altrimenti il pubblico s’addormenta. All’epoca Luca veniva da una carogna, lo strozzino di Vite strozzate, e dal villain della Piovra: perfetto. Ha ambivalenza, fisicità, sa essere forte e duro, per poi rivelare un’anima corretta e onesta.
Un gallaratese la Sicilia come la inquadra?
In realtà, esserlo è stata una fortuna: chi può emozionarsi di più delle bellezze sicule se non chi le conosce meno? Le piazze barocche le abbiamo liberate dalle macchine per filmarle, e grazie a Dio ci hanno copiato tutti, il sindaco di Ragusa Ibla in testa. E che dire della Fornace Penna, una fabbrica di mattoni abbandonata a Sampieri, che abbiamo usato più volte per location? Il sindaco ci ha messo un cartello, “luogo di interesse cinematografico”, e ha inibito la speculazione.
Da regista quali sono le premure?
Vengo dal teatro, facevo da assistente a Strehler, poi mi son trasferito a Roma, gavetta a Tv7. Ma dal palcoscenico ho mutuato un’attenzione estrema per gli attori: un regista li deve amare, non solo, deve esserne geloso, volersi sostituire. Bisogna saperli scegliere, come diceva Fellini, e il più è fatto. Zingaretti sa benissimo dove portare Montalbano, ha cervello, sensibilità: io al massimo posso dirgli “qui un po’ meno”, ma oramai tra noi basta uno sguardo.
32 episodi, il suo preferito?
Gli ultimi sono sempre i migliori, ma nel cuore ne serbo uno vecchio, Gita a Tindari, sul traffico d’organi di bambini.
Qual è il segreto di Montalbano?
Oltre alla dimensione mitica, incarna tutte le caratteristiche dell’italiano: anarchico individualista, vuole ragionare con la sua testa, vivere lì dove vive e stare con i suoi collaboratori, rinunciando a viaggi e carriera. Fedeltà e onore: molto siciliano e molto italiano, nel senso migliore. Ma ha anche uno sguardo ricco di pietas per i derelitti, non condanna quelli che sbagliano, al contrario, perdona e comprende. E il pubblico apprezza grandemente questa sua religiosità laica, tipicamente camilleriana.
Salvo chi voterebbe?
Non lo so, e vale pure per me. Agli inizi Fazio lo accusava di essere di sinistra, e Salvo si schermiva: “Ma quando mai!”. Eppure, l’attenzione per i deboli quella no, non l’ha mai nascosta.