Repubblica 14.2.18
I piccoli orfani di Ceausescu il dittatore che volle farsi Dio
di Andrea Bajani
I
dittatori hanno sempre preso spunto da Dio, per decidere come
comportarsi con i propri sudditi. I Vangeli, più ancora che l’Antico
Testamento, sono stati per loro l’implicito manuale di condotta. E i
Vangeli ci hanno fatto capire – tra le altre cose – la stretta
correlazione che esiste tra la divinità e la nascita. Una delle
prerogativa di Dio è quella di presiedere alla nascita. È da Lui che
dipende il venire a questo mondo di Gesù. È per questo che i dittatori
tradizionalmente mettono bocca sulle gravidanze delle loro cittadine. Al
pari di Dio sono loro e solo loro che ne sono responsabili.
Il
sottotesto di Figli del diavolo della scrittrice romena Liliana Lazar
(66than2nd, traduzione di Camilla Diez), è proprio questa equivalenza.
«Costringeva il piccolo a voltarsi verso il ritratto del presidente che
era affisso al muro e continuava: “Lui è tuo padre! È grazie a lui che
hai un tetto sopra la testa, è lui che ti dà da mangiare!”». “Lui” è
Nicolae Ceausescu, il Conducator della Romania comunista, dal 1967
all’89. Lei – la protagonista – si chiama Elena Cosma ed è un’ostetrica:
è lei che si occupa di far nascere i figli della Romania, di mostrarli
al Padre.
“Lui”, il Padre, è diventato divino per decreto, il
Decreto 770, del 1966, chiamato Decreto sull’aborto e la contraccezione.
È il grimaldello legislativo attraverso cui la Romania vuole ingrossare
le file del Partito. I metodi contraccettivi sono riservati alle donne
con almeno quattro figli, recita il primo degli articoli. Tra gli altri:
«Tutti i cittadini che sono a conoscenza di un aborto sono tenuti a
denunciarlo alle autorità». «Le donne ferite in seguito a un aborto
clandestino» non potranno essere curate finché non avranno denunciato la
persona che ha procurato l’aborto. A Elena Cosma, dunque, è fatto
divieto assoluto di interrompere delle gravidanze. A meno che le donne
incinte non siano mogli dei quadri del Partito.
Il ritratto di
Ceausescu è appeso nel suo ambulatorio. È lì davanti che le donne si
spogliano, perché di Dio è l’anima e anche il corpo: «Mettersi nude
davanti al ritratto di Ceausescu rappresentava già di per sé una prova
durissima. Poche erano le donne che posavano gli indumenti su una sedia,
quasi tutte preferivano tenerli in mano, per tentare di nascondere la
propria nudità. Quando si stendevano sul lettino, con le gambe sulle
staffe, sentivano lo sguardo del presidente affondare tra le loro
cosce».
Elena Cosma è la mano del Conducator. I bambini nascono e
vanno consegnati a lui, per i ritratti ufficiali e il sol dell’avvenire.
Quelli di cui ci si vuole sbarazzare, viceversa, sono figli del
diavolo: appena nati, finiscono diretti in orfanotrofio, un affollato
inferno di bambini disconosciuti appena nati.
Liliana Lazar, che
conoscevano già per Terra di uomini liberi (Marco Tropea, 2011), ha
scritto un romanzo che è difficile dimenticare. Attraverso la vicenda di
una donna sola, che in fondo vorrebbe soltanto esser madre senza averne
la possibilità, racconta come pochi altri libri hanno fatto i limiti
estremi del culto della personalità. Elena decide di sottrarre un
bambino destinato all’orfanotrofio pur di averne uno, mentre dal suo
ambulatorio passano ogni giorno donne pronte a consegnare al Socialismo
un altro soldato che si batterà per la Rivoluzione.
Certi spettri
sembrano continuare a parlare da dentro gli armadi, e l’arte gli dà
voce, perché sono rovelli che interrogano ogni Tempo. Nel 2007 il
regista romeno Cristian Mungiu vinse a Cannes con il film 4 mesi, 3
settimane, 2 giorni: era un film di finzione ma con la potenza visiva di
un documento, e raccontava, da una prospettiva diversa, lo stesso
problema affrontato da Lazar. La desolazione di ogni inquadratura
rendeva agghiacciante un gesto antico, inquadrato nel contesto di un
mondo cosiddetto progressista.
Questo romanzo torna a raccontarlo,
ma con lo sguardo di una donna: lo squallore si fa compartecipazione,
la violenza resta tale, ma si tinge di una malinconia che resta addosso a
chi legge, si spalma sul giudizio della Storia, che però torna a
ripetersi ogni giorno sui giornali. E anche quando il 1989 finalmente
arriva, nel giorno di Natale, resta l’impressione – leggendo Lazar – che
il mondo non cambi per davvero. «Il tiranno è morto!», legge Elena
Cosma su uno striscione. Eppure quei bambini dati via continuano a
parlare, anche dopo l’ultima pagina del libro.