Repubblica 13.2.18
L’eterna caccia allo straniero
di Nadia Urbinati
La
tolleranza è una virtù liberale della quale si nutre la democrazia. Una
virtù che viene detta negativa, nel senso che non comanda di essere
ricettivi verso gli altri, ma “semplicemente” di non reprimerli o
umiliarli o violarli. Giro i tacchi se non amo interagire con chi non
approvo o non mi piace: questa è già una prova di tolleranza. In tempi
di concordia tra simili sembra una virtù scontata e poco costosa. Tra
connazionali uguali nella lingua e nella religione, sembra quasi
naturale essere tolleranti. Ovviamente, non è così. In Italia non è mai
stato così. E in nessun Paese, anche il più piccolo e omogeneo, è così.
In
effetti non è facile essere tolleranti nemmeno quando si vive tra chi
parla lo stesso dialetto. Anzi, più piccolo è il nostro spazio vitale e
omogenea la nostra cultura, più il rischio di sentirti soffocare per
troppa identità è realistico — dove tutti conoscono tutti e sanno come
interpretare tutti i segni e i gesti, c’è ben poco spazio dove celarsi,
ben poca ombra nella quale ritagliarsi una zona di invisibilità dallo
sguardo ispettivo dei nostri simili. La tolleranza è forse più difficile
da praticare proprio dove gli identici dominano la geografia.
Nei
discorsi del leader della Lega, Matteo Salvini o della leader di
Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, per limitarsi ad alcuni degli
identitari che competono alle prossime elezioni, si annida un’idea
opposta. Essi dicono, per esempio, che gli italiani sarebbero più liberi
se potessero vivere «tra italiani soltanto, senza stranieri». Sembra di
capire che, se potessimo disporre delle nostre città e delle nostre
terre senza dover far la fatica di rapportarci a chi ha un’altra
religione, un’altra cultura e un’altra lingua madre, allora saremmo più
liberi. Liberi perché senza dover fare la fatica di tollerare chi non è
come noi.
Ma proviamo ad immaginare come sarebbe la nostra vita se
vivessimo nel paesello d’origine senza avere mai a che fare con chi non
è come noi; siamo sicuri che saremmo più liberi, che la nostra libertà
sarebbe proporzionale all’assenza del bisogno di essere tolleranti? Non
dovremmo giurarci. Ricordiamo il film di Ettore Scola, Una giornata
particolare, con Sophia Loren e Marcello Mastroianni? Tutta Roma come un
paesello abitato da identici (in quella giornata particolare del 1938,
dove tutti erano ai Fori Imperiali ad acclamare il Führer) — a parte due
persone, a parte una infima minoranza: in quel caso, un omosessuale e
una casalinga infelice. Quanti diversi ci sono tra gli identici è
difficile da anticipare. Il fatto certo è che ci sarà sempre qualcuno
che non rientra negli schemi di chi aspira a “vivere tra identici, senza
gli altri”; poco importa chi sono “gli altri”.
È facile
pretendere di rappresentare sentimenti generali gridando all’invasione
degli immigrati. Ma siamo certi che il mio accento romagnolo o quello di
una siciliana o di una pugliese non sia notato in un Paese di identici
per dialetto, che non sia avvertito come il segno di una estraneità che
rende gli identici diffidenti?
Non fidiamoci di chi grida al
nemico contro lo straniero — perché stranieri sono tutti, che per una
qualche ragione non rientrano mai perfettamente nel modello dominante di
vita comunitaria. Ci sarà sempre una differenza che verrà notata,
giudicata e, forse, maltrattata. Allora: è davvero persuasivo
l’argomento nazionalista, quasi autarchico, dei leghisti e neo-fascisti
di questi giorni, per cui è comprensibile voler essere poco tolleranti
verso i diversi perché sono troppi? È proprio vero che più identici
siamo e meno bisogno abbiamo di essere tolleranti? Non crediamo a queste
false sirene. La caccia al diverso è uno sport che gli intolleranti non
dismettono mai; troverebbero sempre una ragione buona per discriminare
ed essere razzisti. La passione identitaria non è mai paga proprio
perché che cosa sia l’identità è qualcosa di così impossibile da
stabilire con chiarezza che, alla fine, saranno quelli con la voce più
grossa o con più violenza in corpo a imporre che cosa deve essere
tollerato e che cosa no. Non fidiamoci dei predicatori
dell’intolleranza. Mai.