Repubbblica 26.2.18
Il reportage
Il duello rosso
Il compagno Pier e la sfida a Errani che divide Bologna
La base Pd: è Casini che ha votato per noi Il candidato Leu: incarno la sinistra
di Michele Smargiassi
BOLOGNA
C’è un infiltrato nel circolo Passepartout di via Galliera. Entra zitto
zitto, la faccia affondata nel parka grigio, mormora: «Devo stare
attento, qui è pieno di comunisti…». Ma la segretaria l’ha riconosciuto:
«Buongiorno presidente!». Pierferdinando Casini si toglie il cappuccio.
Una
ventina di militanti ridono, tutti, tranne il ritratto di Berlinguer
sul muro. «Scherzo, non devo mica farmi la plastica facciale, qui sono a
casa», assicura e stringe mani il candidato più improbabile del Pd. Il
democristiano doc che ha trasformato la campagna elettorale di Bologna
nel gioco dei quattro cantoni. Il campione naturale della capitale
rossa, l’ex governatore Vasco Errani, si è spostato a sinistra, è andato
con Leu, e Casini zac!, ha preso il suo posto sulla scheda. Oppure, a
raccontarla dall’altro lato: il Pd azzarda la carta centrista Casini, e
la sinistra-sinistra di Leu gliela taglia con la briscola Errani. Chi
vincerà all’ultima mano? Quale fedeltà sceglieranno gli elettori più
fedeli della città più fedele? La fedeltà al partito, alla persona, alla
memoria, alla ragion politica?
Se la politica fosse un circo, Casini sarebbe il trapezista.
Anni
62 portati da attore televisivo, in politica da quando aveva i calzoni
corti, in Parlamento da trentacinque anni, formidabile nell’intuire il
momento giusto per mollare una presa e acchiappare l’altra, cominciò
passando da Bisaglia a Forlani, mai un volteggio sbagliato, mai una
caduta nella rete.
Errani invece sarebbe il domatore. Stessa età,
62, volto e icona del buongoverno, eroe del post-terremoto emiliano,
tranquillo ed elegante in mezzo alle belve, mai un grido, mai un gesto
eccessivo, in Regione ha governato per quindici anni con maggioranze
amplissime e stabili mentre a Roma l’Ulivo andava in frantumi, mediatore
abile, decisore di mano ferma, uscito indenne dalle fauci
dell’inchiesta giudiziaria, finita in nulla, che lo spodestò prima del
tempo.
Se la politica fosse lineare, Errani avrebbe già vinto. Gli
basterebbe fare appello, come fa, alla bandiera. «Le radici non sono
acqua», dice nelle interviste. «Io sono un riformista radicale. Casini è
un moderato. Non si riscrive così la storia di una città». Ne ha fatto
uno slogan indovinato: «Votate per le idee che avete».
Altrimenti,
lo dice coi versi di Lucio Dalla (dopo tutto si vota nel giorno del suo
compleanno): “Bologna con il suo rosso sui muri / che a poco a poco
sparisce”.
Ma la politica a Bologna gira come una trottola. Te lo
fa capire Lina, la segretaria del circolo Passepartout, lapidaria:
«Renzi ha difeso Errani quando era in difficoltà, e lui se n’è andato.
Casini in questi anni è stato leale col Pd. Allora io scelgo Casini». E
“il presidente”, guascone suadente, conferma: «Dal 2008 ho fatto
l’opposizione a Berlusconi, poi ho sostenuto il governo Monti, poi
Letta, Renzi, Gentiloni… Cosa devo dimostrare ancora?
Ho votato
tutto… Dov’è che sarei incompatibile?». La professoressa democratica in
prima fila annuisce: «Non siamo noi che votiamo per lui, è lui che ha
votato per noi».
Dieci minuti a piedi ed ecco Errani, nella sala
affrescata del Baraccano dove i muri parlano da soli di politica, tanti
convegni hanno ascoltato.
Eccolo questo piccolo tenace ravennate
che parla di sanità e di welfare come ha sempre fatto, scegliendo le
parole come se le pescasse con le pinzette dal vocabolario. Molti si
chiedono, forse anche lui, che cosa ci faccia in Leu assieme ai
Fratoianni e ai Casarini. Ma è chiaro, Errani si è spostato solo per
rimanere dov’era, nella storica sinistra pragmatica governante emiliana,
di cui il suo amico fraterno Bersani è il patriarca. «Io non sono un
nostalgico degli scontri Pci-Dc», dice fumando sotto i portici, «ma la
cultura politica che abbiamo praticato in questa terra, chi la
rappresenta? Se tutti possono rappresentare tutto, la politica è morta».
C’è
una foto che gira sui social, Casini che parla davanti a una iconostasi
di ritratti rosso fuoco: Togliatti, Gramsci, Di Vittorio, Matteotti.
L’ha scattata un militante, Stefano Fava, con divertito sbigottimento. È
diventata virale, come si dice, pure Casini l’ha scaricata sul
cellulare e ora la mostra sornione: «Ma quale imbarazzo… Nei circoli del
Pd tutti vogliono farsi un selfie con me, se questo è l’imbarazzo…».
Tra
quei ritratti Casini si muove a suo agio, rispettosamente indifferente
come un turista davanti ai santi di una religione ormai tramontata. La
sua strategia comunicativa: de-ideologizzare «un passato che è passato«
in nome della «battaglia comune contro i barbari», soprattutto la Lega
di Salvini, enfatizzando lealtà (“abbattere Renzi è abbattere il Pd”) e
incollando il tutto con un noi inclusivo stracittadino, sciarpa rossoblu
del Bologna e battute in dialetto.
Del resto il Pd bolognese sta
tirando al massimo lo storytelling sdrammatizzante del “compagno Pier”,
perfino Renzi ha dato una mano, «qui a Bologna siete riusciti a far
diventare comunista perfino Casini…». Si rispolvera l’eterno flirt
bolognese fra i rossi e i bianchi, tacendo che il Pci dialogava con
cattolici come Dossetti, Andreatta e Prodi, mentre Casini era il
rampollo di una Dc dorotea ostile anche sotto le Due Torri. Soprattutto,
da quella narrazione evapora un ricordo doloroso come un ascesso:
Casini fu il mandante del più potente ceffone che la sinistra italiana
abbia mai incassato, la presa di Bologna da parte del centrodestra nel
’99, affidata al suo protegé, il macellaio Guazzaloca.
In fondo, anche oggi Casini divide compagni da compagni.
“Ma
no, guardi”, ti contraddice davanti a un caffè, “non sono mica io a
spaccare la sinistra, a Bologna. Quando si parla di Bersani nei circoli
del Pd, mi creda, io sono il più tenero nei giudizi…”. In fondo ha
ragione, il divorzio tra antichi compagni è stato consumato prima
dell’adulterio. Qualcosa di più profondo sta avvenendo nella Bologna dei
muri che stingono: anche qui, nella terra dei progetti, la politica si è
ridotta all’opposizione amico-nemico.
Anche per i militanti non conta più chi sei e cosa vuoi fare.
Conta da che parte stai.
Domenica ci si conta.