l’espresso 25.2.18
Onorevole, ma chi sei?
Istruzione, esperienza, fedina penale. L’Espresso passa ai raggi X i futuri parlamentari
di Vittorio Malagutti, Gloria Riva e Francesca Sironi
Eccolo,
il Parlamento che verrà. Con una settimana d’anticipo sul verdetto
delle urne è già possibile raccontare pregi e difetti di deputati e
senatori che si preparano a sbarcare a Roma. L’Espresso ha assegnato un
voto a oltre 300 candidati, un campione rappresentativo delle due
camere, scelto tra i candidati dei quattro principali schieramenti
(Centrodestra, Centrosinistra, Cinque Stelle, Leu) in 85 collegi
uninominali. Il rating si basa sul curriculum degli aspiranti
parlamentari: livello d’istruzione, eventuali incidenti giudiziari, il
numero di anni trascorsi nelle istituzioni, i rapporti con il proprio
collegio elettorale e, infine, la popolarità nei principali social
network.
Ne è uscito il ritratto, sintetizzato in cifre, dei
parlamentari prossimi venturi. Si va da zero a dieci, come a scuola. E
il dato finale, quello che riassume la valutazione complessiva dei
candidati, non è granché esaltante: il voto medio non va oltre il cinque
e mezzo. Per arrivare alla sufficienza, quindi, servirebbe il classico
aiutino di un insegnante di manica larga. Del resto, entrambe le
coalizioni, quella di Centrodestra e quella di Centrosinistra, viaggiano
tra il cinque e il sei, così come i Cinque Stelle e Liberi e Uguali.
L’alleanza a guida Pd ottiene il voto più elevato, mentre il nuovo
partito guidato da Pietro Grasso è l’ultimo della classe. Questione di
decimali, comunque: si va dal 5,86 per i candidati che sostengono Matteo
Renzi al 5,35 di quelli targati Leu. In mezzo troviamo i Cinque Stelle,
che arrivano a 5,43, poco sopra il Centrodestra, che non va oltre 5,38.
Indagati e no
Dati alla mano, si scoprono punti di forza e
debolezze dei singoli schieramenti. La coalizione di Centrodestra si
merita di gran lunga il voto più basso alla voce indagati e condannati.
Nel campione esaminato da L’Espresso, il 17 per cento dei candidati nel
nome del pregiudicato (e quindi incandidabile) Silvio Berlusconi,
risultano coinvolti in procedimenti penali oppure hanno già subìto
sentenze sfavorevoli in primo o in secondo grado di giudizio. Nelle fila
di Forza Italia troviamo per esempio un berlusconiano doc come
Salvatore Sciascia, senatore che punta a entrare per la terza volta a
Palazzo Madama. Sciascia, già tributarista della Fininvest, di cui è
ancora consigliere di amministrazione, ha ottenuto la riabilitazione
giudiziaria dopo la condanna in via definitiva a 2 anni e sei mesi nel
2001. Percorso netto per i Cinque Stelle: nessun indagato o condannato
nel campione di 85 candidati del movimento guidato da Luigi Di Maio,
peraltro alle prese con il caso dei candidati impresentabili (una
dozzina in tutto tra massoni e furbetti del rimborso) che potrebbero
dimettersi il giorno dopo l’elezione. Una macchia per Liberi e Uguali,
che candida il milanese Daniele Farina, condannato per fabbricazione e
detenzione di bottiglie molotov e resistenza a pubblico ufficiale
durante una manifestazione antifascista dei collettivi universitari
negli anni Ottanta. Nelle ile del Centrosinistra, invece, il torinese
Stefano Esposito è inciampato in una condanna in primo grado per
diffamazione nel novembre 2015, mentre l’imprenditrice Antonella
Allegrino, aspirante deputata per il Pd a Pescara, è uscita da un
processo per evasione fiscale grazie alla prescrizione nel 2015. Oltre
al nome più citato degli ultimi giorni: Piero De Luca, figlio del
governatore della Campania, Vincenzo. De Luca junior è stato candidato a
Salerno nel collegio uninominale per la Camera nonostante un’indagine a
suo carico per bancarotta fraudolenta.
La carica dei prof
Criticati
da più parti per aver traghettato in Parlamento una pletora di giovani
inesperti, questa volta i Cinque Stelle hanno fatto il pieno di
professori universitari. Negli 85 collegi uninominali esaminati da
L’Espresso, oltre un quarto dei candidati del Movimento vanta un titolo
accademico superiore alla laurea (dottorato di ricerca, phd) oppure
insegna all’università. A Torino sono addirittura due i professori
arruolati nelle liste del partito guidato da Di Maio, entrambi
economisti: Giuseppe Mastruzzo al Senato e Paolo Biancone alla Camera.
Gli altri schieramenti inseguono a distanza: i candidati che hanno
proseguito gli studi dopo la laurea sono il 15 per cento per Liberi e
Uguali, quasi il 12 per cento nelle fila del Centrosinistra e poco più
dell’8 per cento per il Centrodestra.
Accanto agli accademici, i
banchi del prossimo Parlamento saranno occupati anche da una nutrita
pattuglia di deputati e senatori che all’università non sono mai andati,
oppure che l’hanno abbandonata senza arrivare al traguardo della
laurea. Circa un terzo dei candidati del Centrosinistra e di Liberi e
Uguali si trova in questa situazione, mentre la quota dei Cinquestelle
fermi al diploma non va oltre il 18 per cento del campione analizzato in
questa inchiesta. Va detto che nelle fila di Leu, come anche del
Partito Democratico, sono numerosi i non laureati che vengono da una
militanza politica di lungo corso, che spesso li ha portati ad
abbandonare gli studi prima dell’università. Altri sono cresciuti in
fabbrica per poi dedicarsi al sindacato. È il caso di Ugo Verzeletti,
una vita in Iveco, con la tessera della Fiom e oggi candidato a Brescia
per Liberi e Uguali. Se dal titolo di studio si passa a esaminare i
candidati in base alla loro professione, si scopre che la categoria di
gran lunga più rappresentata è quella degli avvocati. L’11 per cento del
campione analizzato da L’Espresso esercita o ha esercitato la
professione forense. Il gruppo più numeroso è stato arruolato nelle fila
della sinistra. Sono una dozzina i legali in lista con il Pd e i suoi
alleati, 11 quelli con Leu, mentre la pattuglia degli avvocati a
Cinquestelle arriva a 10. Nel Centrodestra invece non si va oltre quota
quattro.
Gioventù addio
Nel 2013 l’arrivo in Parlamento di
un esercito di esordienti del Movimento fondato da Beppe Grillo aveva
avuto l’effetto, tra i tanti, anche di abbassare l’asticella dell’età
media dei deputati, scesa a 45,8 anni rispetto a 50,8 anni della
legislatura precedente, quella cominciata nel 2008. Adesso invece la
caccia al candidato esperto da parte dei Cinque Stelle rischia di
produrre l’effetto opposto. Gli aspiranti deputati presi in
considerazione per questo articolo hanno in media 48,6 anni, quasi tre
anni in più rispetto agli onorevoli della Camera appena sciolta. Va
detto che i candidati guidati dal trentunenne Di Maio restano di gran
lunga i più giovani: solo 45,3 anni, mentre l’eta media degli altri tre
schieramenti si aggira intorno ai 50 anni, con un massimo di 51,1 per
Liberi e Uguali. È il partito di Pietro Grasso quello che presenta nei
collegi uninominali (Camera e Senato) il maggior numero di over 65: il
27 per cento, quasi il doppio rispetto al Centrodestra (15 per cento),
mentre il Centrosinistra si ferma all’11 per cento e i Cinque Stelle
all’8 per cento.
I candidati più esperti, cioè quelli con il
maggior numero di legislature alle spalle vanno invece cercati nelle
fila del Centrosinistra. Negli 85 collegi uninominali analizzati solo il
17 per cento dei nomi proposti dal Pd e alleati è un esordiente
assoluto. Cioè non ha mai fatto politica in Parlamento a Roma oppure a
Bruxelles, nemmeno in un consiglio regionale o comunale. La quota dei
candidati alla loro prima esperienza sale di molto tra i Cinque Stelle,
addirittura al 76 per cento.
Social, no grazie
Buona parte
della campagna elettorale passa dai social network. Facebook e Twitter
hanno il potere di moltiplicare l’audience, di creare casi mediatici e
rilanciare all’infinito le parole d’ordine Un terzo dei candidati di
Grasso è over 65. Nel centrodestra il 90 per cento disdegna i social
della propaganda. Per questo motivo appare quantomeno sorprendente il
dato che emerge dall’inchiesta dell’Espresso. I numeri infatti rivelano
che quasi nove candidati su dieci usano poco o per nulla il web per
promuovere la propria immagine o le iniziative elettorali a cui
partecipano. Ad esempio, un politico della notorietà di Vasco Errani,
per 15 anni presidente della regione Emilia Romagna, ora candidato a
Bologna tra le fila di Leu, è un perfetto sconosciuto per i
frequentatori di Twitter, mentre la sua pagina personale su Facebook ha
un seguito di 11 mila persone. Poca cosa davvero per un politico di
lungo corso come Errani, che naviga lontanissimo non solo da un
twittatore seriale come Matteo Renzi, che può contare su oltre 3 milioni
di follower, anche se una ricerca di PoliCom.Online ha dimostrato che
gli attivi sono solo 400 mila, 1 su 8. Ma anche dai 600 mila seguaci del
leader di Liberi e Uguali, Pietro Grasso. Lo schieramento più attivo in
Rete è quello di Centrosinistra, ma si vola comunque basso. L’80 per
cento circa dei candidati con il Pd e i suoi alleati frequenta poco o
nulla Twitter e Facebook, percentuale che sale oltre il 90 per cento
nelle fila del Centrodestra. Ma non è solo questione di social network.
Un cittadino alla ricerca di informazioni sui candidati nel suo collegio
rischia di navigare a lungo sul web senza successo. In molti casi è
diicile perfino rintracciare un curriculum dell’aspirante parlamentare.
La ricerca via Google finisce nel nulla anche per alcuni Cinque Stelle.
Ed è quasi un paradosso per un movimento che è cresciuto cavalcando
l’onda del web. Prendiamo il caso di Tiziana Santaniello, selezionata da
Di Maio e dal suo staff per tentare l’elezione al Senato in uno dei tre
collegi uninominali di Milano. La candidata Santaniello non aveva mai
lasciato traccia di sé in Rete fino ai primi di febbraio, quando su
Facebook e su Twitter sono comparsi due profili a lei dedicati. Meglio
tardi che mai.