martedì 27 febbraio 2018

l’espresso 25.2.18
Sinistra, combatti i predoni
di Saskia Sassen
Saskia Sassen, economista e sociologa, studiosa della globalizzazione di fama internazionale, ha scritto per L’Espresso questo testo in occasione dell’uscita del libro “La sinistra che verrà”


La sinistra lotta per una società più giusta, ma deve affrontare molti ostacoli, come spiegano i saggi raccolti nel libro “La sinistra che verrà”. Uno degli ostacoli maggiori è la crescita di quelle che io chiamo “formazioni predatorie complesse”. Il termine “predatorio” è particolarmente importante: riesce a restituire in modo efficace la violenza che sottintende quel che nella maggior parte dei casi è descritto con un linguaggio più delicato, indiretto. Un primo aspetto che emerge è infatti che la complessità delle dinamiche negative del capitalismo contemporaneo ne camuffa facilmente il carattere predatorio: spesso non c’è quella brutalità che risulta auto-evidente in una fabbrica che sfrutta i lavoratori o in una miniera. Al contrario, le componenti centrali delle “formazioni predatorie” includono elementi caratteristici di molte delle più ammirevoli forme di conoscenza che siano state prodotte dall’uomo: riflessioni filosofiche raffinate, versioni avanzate del diritto, sistemi di contabilità ricavati dagli algoritmi matematici, efficienti strumenti della logistica, e via dicendo. Cerco di spiegarmi meglio. Come possiamo facilmente immaginare, le formazioni predatorie includono le élite più potenti, coloro che detengono il capitale, ma perfino loro rappresentano fattori parziali - soltanto parziali - nel più ampio funzionamento delle formazioni predatorie. Per descrivere questo fatto in modo efficace, in genere ricorro a questa spiegazione: anche se le élite più potenti e i detentori del capitale sparissero da un giorno all’altro, ciò non eliminerebbe ipso facto le formazioni predatorie, molto più complesse; se le élite venissero sconfitte, ciò non neutralizzerebbe in modo automatico le concentrazioni di potere e di vantaggi che caratterizzano l’attuale periodo. I principali detentori del capitale, i più influenti manager aziendali condizionano senz’altro il modo in cui è modellata l’economia, ma da soli non sarebbero mai riusciti a ottenere l’estrema concentrazione di ricchezza e il potere assoluto di cui dispongono nel mondo. Processi riconducibili, invece, alle formazioni predatorie. Le formazioni predatorie sono un assemblaggio di elementi diversi, individui potenti e ricchi, aziende e corporation, governi (in particolare i rami esecutivi, divenuti più forti con la globalizzazione, e non più deboli come si tende a credere), innovazioni tecniche, legali e finanziarie, nuovi spazi operativi. Elementi guidati da una logica che crea crescenti capacità sistemiche che producono esiti negativi: in alto, grandi acquisizioni di potere e capitale; sul piano ambientale, distruzioni su una scala mai vista finora; sul piano sociale, una crescita significativa dei processi di espulsione delle persone dall’ambito delle opzioni di vita ragionevoli, perfino nei paesi ricchi, quei paesi in cui per lungo tempo ha prevalso una logica opposta, inclusiva. Rimane la questione centrale. Di fronte a simili formazioni predatorie, la sinistra cosa deve fare? Io credo che combattere le formazioni predatorie richieda innanzitutto una precisa volontà politica. La volontà di disarticolarle, di disassemblarle, perfino di distruggerle. La sinistra dovrebbe puntare a questo, piuttosto che abdicare alle proprie responsabilità, facendosi scudo della possibilità che le formazioni predatorie si auto-distruggano, sulla base della tendenza ad abusare del proprio potere. Ma in attesa che la battaglia contro le formazioni predatorie diventi politicamente prioritaria, cosa fare? Un passaggio fondamentale è riconoscere che abbiamo a che fare con un nuovo tipo di minaccia, un nuovo mostro, diverso da quelli che lo hanno preceduto. Ci sono certo similitudini con il passato, ma esistono differenze essenziali. Il discorso sulla “maggiore disuguaglianza”, sulla “maggiore povertà” è insufficiente: sono in atto vere e proprie rotture, sotterranee ma fondamentali. Non si tratta soltanto di un “di più” della stessa cosa. Siamo di fronte a un’imponente e diversificata serie di espulsioni, che segnala una più profonda trasformazione sistemica, una nuova fase del capitalismo e della distruzione globale. Opaca, ma brutale. La sida, allora, è rendere più trasparente ciò che è opaco, esplicito ciò che è ancora sotterraneo. È quel che suggerisco nel mio saggio incluso in “La sinistra che verrà”, dedicato ai processi di globalizzazione e alla decadenza dell’economia politica del Ventesimo secolo, iniziata negli anni Ottanta del Novecento, quando con la finanziarizzazione dell’economia si indeboliscono progressivamente i presupporti egalitari e keynesiani alla base del progetto di costruzione di una società giusta, anche se imperfetta, e comincia a emergere una nuova dinamica, quella dell’espulsione. Alla fine del testo enfatizzo un punto centrale: l’importanza di capire, e ri-raccontare, il processo in corso, le strutture che lo hanno reso possibile. È un’operazione preliminare fondamentale, perché se non conosciamo ciò contro cui lottiamo, non possiamo individuare i mezzi adatti per combatterlo. Dove possibile, inoltre, dobbiamo uscire dalla zona di dominio delle formazioni predatorie. Come? Lavorando in direzione contraria a quella verso cui ci spingono. E rendendo concettualmente e politicamente visibili gli spazi di chi è stato espulso, dai migranti ai precari). Quegli spazi non sono una sorta di buco nero. Al contrario, sono ricchi di presenze tangibili. E sono i nuovi spazi in cui agire e fare politica.