l’espresso 25.2.18
Sinistra, combatti i predoni
di Saskia Sassen
Saskia
Sassen, economista e sociologa, studiosa della globalizzazione di fama
internazionale, ha scritto per L’Espresso questo testo in occasione
dell’uscita del libro “La sinistra che verrà”
La
sinistra lotta per una società più giusta, ma deve affrontare molti
ostacoli, come spiegano i saggi raccolti nel libro “La sinistra che
verrà”. Uno degli ostacoli maggiori è la crescita di quelle che io
chiamo “formazioni predatorie complesse”. Il termine “predatorio” è
particolarmente importante: riesce a restituire in modo efficace la
violenza che sottintende quel che nella maggior parte dei casi è
descritto con un linguaggio più delicato, indiretto. Un primo aspetto
che emerge è infatti che la complessità delle dinamiche negative del
capitalismo contemporaneo ne camuffa facilmente il carattere predatorio:
spesso non c’è quella brutalità che risulta auto-evidente in una
fabbrica che sfrutta i lavoratori o in una miniera. Al contrario, le
componenti centrali delle “formazioni predatorie” includono elementi
caratteristici di molte delle più ammirevoli forme di conoscenza che
siano state prodotte dall’uomo: riflessioni filosofiche raffinate,
versioni avanzate del diritto, sistemi di contabilità ricavati dagli
algoritmi matematici, efficienti strumenti della logistica, e via
dicendo. Cerco di spiegarmi meglio. Come possiamo facilmente immaginare,
le formazioni predatorie includono le élite più potenti, coloro che
detengono il capitale, ma perfino loro rappresentano fattori parziali -
soltanto parziali - nel più ampio funzionamento delle formazioni
predatorie. Per descrivere questo fatto in modo efficace, in genere
ricorro a questa spiegazione: anche se le élite più potenti e i
detentori del capitale sparissero da un giorno all’altro, ciò non
eliminerebbe ipso facto le formazioni predatorie, molto più complesse;
se le élite venissero sconfitte, ciò non neutralizzerebbe in modo
automatico le concentrazioni di potere e di vantaggi che caratterizzano
l’attuale periodo. I principali detentori del capitale, i più influenti
manager aziendali condizionano senz’altro il modo in cui è modellata
l’economia, ma da soli non sarebbero mai riusciti a ottenere l’estrema
concentrazione di ricchezza e il potere assoluto di cui dispongono nel
mondo. Processi riconducibili, invece, alle formazioni predatorie. Le
formazioni predatorie sono un assemblaggio di elementi diversi,
individui potenti e ricchi, aziende e corporation, governi (in
particolare i rami esecutivi, divenuti più forti con la globalizzazione,
e non più deboli come si tende a credere), innovazioni tecniche, legali
e finanziarie, nuovi spazi operativi. Elementi guidati da una logica
che crea crescenti capacità sistemiche che producono esiti negativi: in
alto, grandi acquisizioni di potere e capitale; sul piano ambientale,
distruzioni su una scala mai vista finora; sul piano sociale, una
crescita significativa dei processi di espulsione delle persone
dall’ambito delle opzioni di vita ragionevoli, perfino nei paesi ricchi,
quei paesi in cui per lungo tempo ha prevalso una logica opposta,
inclusiva. Rimane la questione centrale. Di fronte a simili formazioni
predatorie, la sinistra cosa deve fare? Io credo che combattere le
formazioni predatorie richieda innanzitutto una precisa volontà
politica. La volontà di disarticolarle, di disassemblarle, perfino di
distruggerle. La sinistra dovrebbe puntare a questo, piuttosto che
abdicare alle proprie responsabilità, facendosi scudo della possibilità
che le formazioni predatorie si auto-distruggano, sulla base della
tendenza ad abusare del proprio potere. Ma in attesa che la battaglia
contro le formazioni predatorie diventi politicamente prioritaria, cosa
fare? Un passaggio fondamentale è riconoscere che abbiamo a che fare con
un nuovo tipo di minaccia, un nuovo mostro, diverso da quelli che lo
hanno preceduto. Ci sono certo similitudini con il passato, ma esistono
differenze essenziali. Il discorso sulla “maggiore disuguaglianza”,
sulla “maggiore povertà” è insufficiente: sono in atto vere e proprie
rotture, sotterranee ma fondamentali. Non si tratta soltanto di un “di
più” della stessa cosa. Siamo di fronte a un’imponente e diversificata
serie di espulsioni, che segnala una più profonda trasformazione
sistemica, una nuova fase del capitalismo e della distruzione globale.
Opaca, ma brutale. La sida, allora, è rendere più trasparente ciò che è
opaco, esplicito ciò che è ancora sotterraneo. È quel che suggerisco nel
mio saggio incluso in “La sinistra che verrà”, dedicato ai processi di
globalizzazione e alla decadenza dell’economia politica del Ventesimo
secolo, iniziata negli anni Ottanta del Novecento, quando con la
finanziarizzazione dell’economia si indeboliscono progressivamente i
presupporti egalitari e keynesiani alla base del progetto di costruzione
di una società giusta, anche se imperfetta, e comincia a emergere una
nuova dinamica, quella dell’espulsione. Alla fine del testo enfatizzo un
punto centrale: l’importanza di capire, e ri-raccontare, il processo in
corso, le strutture che lo hanno reso possibile. È un’operazione
preliminare fondamentale, perché se non conosciamo ciò contro cui
lottiamo, non possiamo individuare i mezzi adatti per combatterlo. Dove
possibile, inoltre, dobbiamo uscire dalla zona di dominio delle
formazioni predatorie. Come? Lavorando in direzione contraria a quella
verso cui ci spingono. E rendendo concettualmente e politicamente
visibili gli spazi di chi è stato espulso, dai migranti ai precari).
Quegli spazi non sono una sorta di buco nero. Al contrario, sono ricchi
di presenze tangibili. E sono i nuovi spazi in cui agire e fare
politica.