l’espresso 11.2.18
Voci dal palazzo
di Susanna Turco
La parità può attendere
L’alternanza
uomo-donna nelle liste c’è, la parità in Parlamento può attendere.
Pazienza. Perché va bene le quote rosa, ma al seggio - come al cuore -
non si comanda. Così, stavolta, capiterà che, per una donna eletta, ci
siano anche quattro o cinque uomini che conquistano il seggio: sulla
carta potrebbe accadere così, per strano che sembri, persino nel caso di
una paladina dell’uguaglianza come Laura Boldrini. Come è potuto
succedere? La faccenda è dovuta ai meccanismi infernali di una legge
elettorale che fra l’altro contiene il diabolico mix per cui i partiti
possono candidare lo stesso nome in più collegi, ma devono sempre
rispettare l’alternanza uomo-donna in ciascun listino. In pratica, tra
bramosie incrociate di posti blindati, è finita (trasversalmente) che le
donne avessero pluricandidature più degli uomini. Nel Pd si porta
l’esempio di Maria Elena Boschi, ma anche di Marianna Madia, che
collezionano sei e cinque collegi. Nella Lega, giusto a intendere la
trasversalità, ci sono i casi di Giulia Bongiorno (cinque), come di
Barbara Saltamartini (quattro più l’uninominale). Costoro, come le
altre, potranno logicamente alla fine occupare solo uno di questi
scranni. Per gli altri, è fatale, lasceranno il posto all’uomo che le
segue in lista. Stesso discorso, persino più chiaro, per Boldrini, che
oltre all’uninominale corre da capolista in quattro collegi della
Lombardia. Dovesse Leu fare l’ein plein, lei si tirerebbe dietro alla
Camera almeno tre uomini. Paradossale forse, ma conveniente: per tutti e
tutte, come usa dire.