l’espresso 11.2.18
Disuguaglianze
Rabbia sociale guerra tra poveri fascismo
di Alessandro Gilioli
Ci
sono molti modi di fare politica. Uno è quello di sgomitare per un
posto in Parlamento, candidarsi in un listino bloccato e poi passare
cinque anni schiacciando bottoni. Un altro è quello di fare ricerca su
una questione sociale, fornire gli strumenti per affrontarla, quindi
provare a influenzare l’opinione pubblica e il Palazzo affinché le
proprie proposte vengano messe in pratica. Questa seconda strada -
spesso indicata con il termine inglese “advocacy” - è quella scelta da
otto diverse associazioni italiane per aggredire con lo studio e
l’attivismo il grande Moloch contemporaneo, quello che sta mettendo a
rischio le società e le democrazie in mezzo mondo: le disuguaglianze. O
meglio l’eccesso di disuguaglianze, cioè l’allargamento estremo della
forbice sociale, che oltre una certa soglia danneggia la crescita,
destabilizza i sistemi e provoca reazioni autoritarie. È sulla base di
queste considerazioni che è nato il Forum Disuguaglianze Diversità, una
singolare alleanza di organizzazioni di diversa provenienza politica e
culturale (si va dai laici di ActionAid ai cattolici della Caritas,
dalla Fondazione Lelio Basso a Cittadinanzattiva, da Legambiente alla
cooperativa sociale Dedalus) che si sono messe insieme per un progetto
ambizioso: primo, lo studio delle disuguaglianze e dei loro effetti
sulla collettività; secondo, l’elaborazione di proposte concrete per
fare politiche di controtendenza; terzo, la sperimentazione di progetti
per la riduzione del divario sociale, su base territoriale locale;
quarto, le campagne mediatiche e l’attivismo per creare coinvolgimento
sui temi e sulle proposte, rovesciando il pensiero unico che dura da
trent’anni e che a questi eccessi ha portato. Il tutto per «disegnare
politiche pubbliche e azioni collettive», ma anche per influenzare i
partiti e i decisori, quindi la politica vera e propria, costringendola a
uscire dalla sua bolla di proposte demagogiche e ad affrontare
concretamente quella che è diventata la questione più drammatica del
presente. Tra i promotori del Forum ci sono economisti e docenti
universitari (da Andrea Brandolini a Maurizio Franzini, rabbia sociale
guerra tra poveri fascismo da Vito Peragine a Elena Granaglia) insieme
ad attivisti di associazioni e onlus, (come Giovanni Moro, figlio di
Aldo ma soprattutto sociologo politico e presidente di Fondaca,
Fondazione per la Cittadinanza attiva; o come Flavia Terribile di Asvis,
Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile).
Cuore
dell’iniziativa è la Fondazione Basso, che per statuto si occupa di dare
concretezza all’articolo 3 della Costituzione: «È compito della
Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che,
limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono
il pieno sviluppo della persona umana». E tra i principali attori del
Forum c’è Fabrizio Barca, economista e già ministro della Coesione
territoriale, sempre più lontano dal Pd e sempre più convinto che si
possa fare politica in altro modo.
Il progetto nasce da un
presupposto pragmatico e disincantato: il capitalismo ha in sé il germe
delle disuguaglianze perché è fatto di competizione, ed è con la
competizione che si crea quella dinamica virtuosa di aumento della
ricchezza che è invece mancata nel socialismo reale. Non c’è quindi
nulla di ideologico nell’approccio del Forum: l’ispirazione appare
piuttosto quella pragmatica dell’economista inglese Anthony Atkinson,
scomparso un anno fa, e particolare del suo ultimo libro,
“Disuguaglianza. Che cosa si può fare?” (edito da Raffaello Cortina) nel
quale vengono avanzate quindici proposte concrete per avviare un
percorso di riduzione del divario sociale. Nel nome del Forum c’è poi la
parola “diversità”, a indicare come «il perseguimento di una maggiore
uguaglianza sociale non ha come obiettivo l’appiattimento delle
persone», spiega Barca, «ma al contrario l’esaltazione della libertà di
ciascuno di vivere come vuole, quando viene messo in condizione di
farlo». Troppa iniquità, sostiene la Dichiarazione d’intenti del Forum,
finisce per devastare le società, provocando tutte le reazioni tipiche
dell’esclusione sociale: guerra tra poveri, nazionalismo e domanda di
autoritarismo, cioè desiderio di un capo autocratico che “sistemi le
cose”. Insomma, porta dritti al fascismo: «Una parte crescente della
popolazione avverte una minaccia alle prospettive di reddito per sé e
per i propri figli, tende a identificarne la causa in cambiamenti fuori
dal nostro controllo, dalla tecnologia all’immigrazione e volge contro
di essi il proprio risentimento: da questo insieme di paure deriva una
dinamica autoritaria», si legge nella Dichiarazione. «Ed è a questi
rancorosi, a questi “cattivi” che vogliamo parlare», dice Andrea
Mormiroli di Dedalus. Non c’è soltanto un alato etico alla base del
progetto Forum, ma soprattutto considerazioni pratiche che alla fine
riguardano la vita di tutti, anche di quelli che non sono stati
(ancora?) ingoiati dal gorgo di impoverimento e rabbia creato dal
turbocapitalismo e dalla sua crisi.
Del resto, il rapporto tra
eccesso di disuguaglianze e qualità della vita di tutti è stato
dimostrato da tempo e ha trovato già all’inizio di questo decennio la
sua sintesi in un saggio di Richard Wilkinson e Kate Pickett, “La misura
dell’anima” (Feltrinelli) dove si dimostra - sulla base di dati e
ricerche - come il maggiore divario tra redditi sia connesso con la
maggiore diffusione di malattie, criminalità e droghe, oltre che con il
peggioramento della salute fisica dei cittadini. Diverse sono le forme
di disuguaglianza nel mirino del Forum: quella economica, naturalmente,
cioè di reddito e di ricchezza; ma anche quella sociale, cioè il diverso
accesso a servizi pubblici come sanità, scuola, mobilità e ambiente;
fino alle “disuguaglianze di riconoscimento” (cioè il disprezzo verso i
perdenti o verso chi sta appena un gradino più giù) e alle
“disuguaglianze di partecipazione” nelle decisioni sulla cosa pubblica. I
dati da cui muove i suoi primi passi il Forum partono comunque dalla
tendenza economica degli ultimi decenni e sono semplici, eclatanti, come
quelli dei grafici di queste pagine. A cui si aggiungono altre
evidenze: come il fatto che il 10 per cento di italiani più poveri nel
2014 ha avuto a disposizione un reddito inferiore di un quarto rispetto
al 2008, quindi la loro condizione è ulteriormente peggiorata - e non di
poco - in soli sei anni. Ma il proposito del Forum è di andare anche
oltre, approfondendo la ricerca sul gap (di redditi, di patrimonio, di
accesso etc) tra i centri delle città e le periferie, tra le metropoli e
la provincia, tra le aree urbane e le zone rurali.
Il tutto da
affrontare sempre con la formula “ricerca-azione”, cioè evitando di
restare uno sterile think tank e promuovendo invece attivismo, impegno,
iniziative. E questo sia su istanze specifiche, verticali o locali, sia
per arrivare a un’inversione delle politiche pubbliche a livello
nazionale. I promotori del Forum combattono l’idea diffusa secondo la
quale la forbice sociale sempre più larga è ineluttabile, causata cioè
da fattori “fuori controllo”. Questo, dicono, è solo un alibi per la
politica che ha rinunciato al suo ruolo regolatore, alla governance dei
cambiamenti tecnologici ed economici. Per smuovere i decisori del
Palazzo, bisogna «migliorare la base informativa, realizzare ricerca
originale, diffondere pratiche efficaci di azione e formulare proposte
concrete attorno alle quali costruire consenso». Perché non si può
affrontare il Moloch delle iniquità se prima non si cambia il
“sentiment” diffuso, la convinzione che contro l’eccesso di
disuguaglianze non si possa far niente e comunque i propri problemi
derivino da altro: immigrati, zingari, stranieri in genere, Europa
eccetera. Per arrivare alla battaglia politica serve insomma un
rovesciamento di egemonia culturale. Ed è questo a cui punta il Forum.
Un’impresa ciclopica, in un Paese dove in dai tempi della peste a Milano
«il buon senso c’è ma se ne sta nascosto per paura del senso comune».
Ed è quindi sul senso comune che occorre lavorare, perché si avvicini un
po’ di più al buon senso. Il Forum verrà presentato venerdì 16 febbraio
alle 11, alla Fondazione Basso, a Roma. Lo stesso giorno sarà on line
il sito, www.forumdisuguaglianzediversita.org.