lunedì 12 febbraio 2018

l’espresso 11.2.18
Disuguaglianze
Rabbia sociale guerra tra poveri fascismo
di Alessandro Gilioli


Ci sono molti modi di fare politica. Uno è quello di sgomitare per un posto in Parlamento, candidarsi in un listino bloccato e poi passare cinque anni schiacciando bottoni. Un altro è quello di fare ricerca su una questione sociale, fornire gli strumenti per affrontarla, quindi provare a influenzare l’opinione pubblica e il Palazzo affinché le proprie proposte vengano messe in pratica. Questa seconda strada - spesso indicata con il termine inglese “advocacy” - è quella scelta da otto diverse associazioni italiane per aggredire con lo studio e l’attivismo il grande Moloch contemporaneo, quello che sta mettendo a rischio le società e le democrazie in mezzo mondo: le disuguaglianze. O meglio l’eccesso di disuguaglianze, cioè l’allargamento estremo della forbice sociale, che oltre una certa soglia danneggia la crescita, destabilizza i sistemi e provoca reazioni autoritarie. È sulla base di queste considerazioni che è nato il Forum Disuguaglianze Diversità, una singolare alleanza di organizzazioni di diversa provenienza politica e culturale (si va dai laici di ActionAid ai cattolici della Caritas, dalla Fondazione Lelio Basso a Cittadinanzattiva, da Legambiente alla cooperativa sociale Dedalus) che si sono messe insieme per un progetto ambizioso: primo, lo studio delle disuguaglianze e dei loro effetti sulla collettività; secondo, l’elaborazione di proposte concrete per fare politiche di controtendenza; terzo, la sperimentazione di progetti per la riduzione del divario sociale, su base territoriale locale; quarto, le campagne mediatiche e l’attivismo per creare coinvolgimento sui temi e sulle proposte, rovesciando il pensiero unico che dura da trent’anni e che a questi eccessi ha portato. Il tutto per «disegnare politiche pubbliche e azioni collettive», ma anche per influenzare i partiti e i decisori, quindi la politica vera e propria, costringendola a uscire dalla sua bolla di proposte demagogiche e ad affrontare concretamente quella che è diventata la questione più drammatica del presente. Tra i promotori del Forum ci sono economisti e docenti universitari (da Andrea Brandolini a Maurizio Franzini, rabbia sociale guerra tra poveri fascismo da Vito Peragine a Elena Granaglia) insieme ad attivisti di associazioni e onlus, (come Giovanni Moro, figlio di Aldo ma soprattutto sociologo politico e presidente di Fondaca, Fondazione per la Cittadinanza attiva; o come Flavia Terribile di Asvis, Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile).
Cuore dell’iniziativa è la Fondazione Basso, che per statuto si occupa di dare concretezza all’articolo 3 della Costituzione: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana». E tra i principali attori del Forum c’è Fabrizio Barca, economista e già ministro della Coesione territoriale, sempre più lontano dal Pd e sempre più convinto che si possa fare politica in altro modo.
Il progetto nasce da un presupposto pragmatico e disincantato: il capitalismo ha in sé il germe delle disuguaglianze perché è fatto di competizione, ed è con la competizione che si crea quella dinamica virtuosa di aumento della ricchezza che è invece mancata nel socialismo reale. Non c’è quindi nulla di ideologico nell’approccio del Forum: l’ispirazione appare piuttosto quella pragmatica dell’economista inglese Anthony Atkinson, scomparso un anno fa, e particolare del suo ultimo libro, “Disuguaglianza. Che cosa si può fare?” (edito da Raffaello Cortina) nel quale vengono avanzate quindici proposte concrete per avviare un percorso di riduzione del divario sociale. Nel nome del Forum c’è poi la parola “diversità”, a indicare come «il perseguimento di una maggiore uguaglianza sociale non ha come obiettivo l’appiattimento delle persone», spiega Barca, «ma al contrario l’esaltazione della libertà di ciascuno di vivere come vuole, quando viene messo in condizione di farlo». Troppa iniquità, sostiene la Dichiarazione d’intenti del Forum, finisce per devastare le società, provocando tutte le reazioni tipiche dell’esclusione sociale: guerra tra poveri, nazionalismo e domanda di autoritarismo, cioè desiderio di un capo autocratico che “sistemi le cose”. Insomma, porta dritti al fascismo: «Una parte crescente della popolazione avverte una minaccia alle prospettive di reddito per sé e per i propri figli, tende a identificarne la causa in cambiamenti fuori dal nostro controllo, dalla tecnologia all’immigrazione e volge contro di essi il proprio risentimento: da questo insieme di paure deriva una dinamica autoritaria», si legge nella Dichiarazione. «Ed è a questi rancorosi, a questi “cattivi” che vogliamo parlare», dice Andrea Mormiroli di Dedalus. Non c’è soltanto un alato etico alla base del progetto Forum, ma soprattutto considerazioni pratiche che alla fine riguardano la vita di tutti, anche di quelli che non sono stati (ancora?) ingoiati dal gorgo di impoverimento e rabbia creato dal turbocapitalismo e dalla sua crisi.
Del resto, il rapporto tra eccesso di disuguaglianze e qualità della vita di tutti è stato dimostrato da tempo e ha trovato già all’inizio di questo decennio la sua sintesi in un saggio di Richard Wilkinson e Kate Pickett, “La misura dell’anima” (Feltrinelli) dove si dimostra - sulla base di dati e ricerche - come il maggiore divario tra redditi sia connesso con la maggiore diffusione di malattie, criminalità e droghe, oltre che con il peggioramento della salute fisica dei cittadini. Diverse sono le forme di disuguaglianza nel mirino del Forum: quella economica, naturalmente, cioè di reddito e di ricchezza; ma anche quella sociale, cioè il diverso accesso a servizi pubblici come sanità, scuola, mobilità e ambiente; fino alle “disuguaglianze di riconoscimento” (cioè il disprezzo verso i perdenti o verso chi sta appena un gradino più giù) e alle “disuguaglianze di partecipazione” nelle decisioni sulla cosa pubblica. I dati da cui muove i suoi primi passi il Forum partono comunque dalla tendenza economica degli ultimi decenni e sono semplici, eclatanti, come quelli dei grafici di queste pagine. A cui si aggiungono altre evidenze: come il fatto che il 10 per cento di italiani più poveri nel 2014 ha avuto a disposizione un reddito inferiore di un quarto rispetto al 2008, quindi la loro condizione è ulteriormente peggiorata - e non di poco - in soli sei anni. Ma il proposito del Forum è di andare anche oltre, approfondendo la ricerca sul gap (di redditi, di patrimonio, di accesso etc) tra i centri delle città e le periferie, tra le metropoli e la provincia, tra le aree urbane e le zone rurali.
Il tutto da affrontare sempre con la formula “ricerca-azione”, cioè evitando di restare uno sterile think tank e promuovendo invece attivismo, impegno, iniziative. E questo sia su istanze specifiche, verticali o locali, sia per arrivare a un’inversione delle politiche pubbliche a livello nazionale. I promotori del Forum combattono l’idea diffusa secondo la quale la forbice sociale sempre più larga è ineluttabile, causata cioè da fattori “fuori controllo”. Questo, dicono, è solo un alibi per la politica che ha rinunciato al suo ruolo regolatore, alla governance dei cambiamenti tecnologici ed economici. Per smuovere i decisori del Palazzo, bisogna «migliorare la base informativa, realizzare ricerca originale, diffondere pratiche efficaci di azione e formulare proposte concrete attorno alle quali costruire consenso». Perché non si può affrontare il Moloch delle iniquità se prima non si cambia il “sentiment” diffuso, la convinzione che contro l’eccesso di disuguaglianze non si possa far niente e comunque i propri problemi derivino da altro: immigrati, zingari, stranieri in genere, Europa eccetera. Per arrivare alla battaglia politica serve insomma un rovesciamento di egemonia culturale. Ed è questo a cui punta il Forum. Un’impresa ciclopica, in un Paese dove in dai tempi della peste a Milano «il buon senso c’è ma se ne sta nascosto per paura del senso comune». Ed è quindi sul senso comune che occorre lavorare, perché si avvicini un po’ di più al buon senso. Il Forum verrà presentato venerdì 16 febbraio alle 11, alla Fondazione Basso, a Roma. Lo stesso giorno sarà on line il sito, www.forumdisuguaglianzediversita.org.