La Stampa 9.2.18
Le prediche inutili sulla demografia
di Linda Laura Sabbadini
Il
solito allarme, e lacrime di coccodrillo, ma non c’è molto di nuovo nei
dati resi noti dall’Istat nel Rapporto sugli indicatori demografici.
Siamo un Paese a permanente bassa fecondità. Le nascite continuano a
calare, anche tra le immigrate. Siamo al minimo 464 mila, nono calo
consecutivo dal 2008. 1,34 figli per donna, un’età media al parto che
cresce a 31,8 anni. La mortalità aumenta anche perché più popolazione
molto anziana significa anche più probabilità che muoia. Le morti sono
più delle nascite. Le classi giovanili si assottigliano, per il
protrarsi negli anni della bassa fecondità, quelle anziane si ampliano.
L’incremento di migranti non compensa le uscite dal Paese e le morti, e
così la popolazione diminuisce di 100 mila abitanti. Potevamo aspettarci
una situazione diversa? No, la situazione non può migliorare, può solo
peggiorare se lasciata a sé stessa.
Bisogna capire una volta per
tutte che va governata. Governare il cambiamento è meglio che subirlo.
Vale per l’economia, per la società, per la demografia. Se lo si subisce
si entra nella spirale, sempre più senza uscita, del declino
demografico, che si tradurrà anche in declino economico e sociale. E
allora bisogna investire una volta per tutte su tre aspetti cruciali. Il
primo è ricostruire la normalità di vita giovanile. Agire pesantemente e
urgentemente sul fronte dell’inserimento lavorativo di qualità per i
giovani, che non hanno conosciuto benefici dalla crescita occupazionale
dell’ultimo periodo: senza lavoro non si progetta il futuro, non si
costruisce una vita indipendente, non si avranno i figli. Il secondo è
agire sulla conciliazione dei tempi di vita per uomini e donne. La
nascita di un figlio non può essere una responsabilità solo delle donne
che devono pagare il prezzo del sovraccarico, interrompendo il lavoro o
rimettendoci in termini di salario e carriera, deve riguardare anche i
padri con la condivisione delle responsabilità, e il Paese tutto. I
servizi per la prima infanzia devono estendersi e flessibilizzarsi,
l’organizzazione del lavoro deve venire incontro alle esigenze di madri e
padri. II costo dei figli deve essere ridotto. Altrimenti di figli se
ne faranno sempre meno.
Il terzo aspetto riguarda il problema
serissimo di assistenza ad anziani non autosufficienti, che sono
destinati a crescere in valore assoluto, per un fatto positivo,
l’aumento della speranza di vita, 80,6 anni per gli uomini, 84,9 per le
donne. Finora il carico dell’assistenza agli anziani è caduto sulle
spalle delle reti informali e soprattutto familiari, figlie e nuore. Non
ci sono più le condizioni perché ciò accada. Perché quelle figlie e
nuore sono sovraccariche. Politiche su questo terreno non sono entrate
nelle priorità del Paese, servono anche a creare occupazione. Ma non
sono più rimandabili. Qualsiasi governo si formerà dovrà farci i conti
una volta per tutte. Se non lo si farà il nostro declino inevitabilmente
si accentuerà.