venerdì 9 febbraio 2018

La Stampa 9.2.18
La Costituzione è l’argine contro i razzisti
di Vladimiro Zagrebelsky


Attilio Fontana, candidato governatore della Lombardia per conto della Lega, a proposito delle immigrazioni ha detto che è ora di decidere se vogliamo che la «razza bianca» continui ad esistere.
Il richiamo alla difesa della razza ha in Italia un senso particolare; esso riproduce il titolo della rivista che durante il fascismo su applicò a offrire supporto «scientifico» alla politica che ha prodotto le leggi razziali contro gli ebrei. Quest’anno celebriamo l’ottantesimo anniversario di quella vergogna nazionale. Accusato di adottare un linguaggio razzista, il Fontana se ne è difeso dicendo che è la Costituzione a menzionare le razze. Poteva sembrare una giustificazione, ma valeva come rivendicazione, sotto la protezione nientemeno che della Costituzione.
La difesa della razza come programma politico naturalmente implica il riconoscimento della supremazia della razza in cui ci si riconosce e, per conseguenza, l’umiliazione delle altre.
Come tutto ciò possa portare drammaticamente lontano, si è dopo poco incaricato di dimostrare lo sparatore di Macerata, che ha mostrato di aver colto il messaggio colpendo «i neri». I «neri», tutti e in quanto tali, non l’uno o l’altro per qualche sua colpa. Allo stesso modo, la difesa della «razza bianca» privilegia un gruppo, una categoria, indifferentemente dal valore dell’uno o dell’altro individuo.
Nel torrente di parole che ci avvolge e che impedisce di pensare, c’è chi ha preso sul serio il richiamo alla Costituzione, non ha visto che si tratta di una sciocchezza e ha reagito dicendo: E allora togliamo quella parola dalla Costituzione. La nostra Costituzione, al suo fondamentale articolo 3, afferma il principio di eguaglianza, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. La Costituzione non si preoccupa di affermare l’esistenza delle razze, ma interviene per vietare ogni discriminazione che su quell’idea si fondi. E si tratta di una formulazione del principio di eguaglianza e del divieto di discriminazione, eguale a quella che si trova nelle Costituzioni di altri paesi europei e in tutte le Carte dei diritti umani ratificate dall’Italia: Convenzione europea dei diritti umani, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, Trattato sui diritti civili e politici, ecc. Modificare la Costituzione per eliminare la menzione della razza, per l’Italia richiederebbe anche denunciare quei trattati e prender le distanze anche dalla Dichiarazione universale dei diritti umani approvata dall’Onu nel 1948 (significativamente nello stesso anno della Costituzione). L’idea dunque non è praticabile. Ma soprattutto è sbagliata.
In un’ottica del tutto diversa, studiosi del linguaggio giuridico e genetisti hanno in passato suggerito di eliminare quella parola. Le indagini sul Dna individuale e di gruppo hanno infatti dimostrato l’impossibilità di identificare geneticamente gruppi di popolazione, classificandoli per razze. Le razze dunque geneticamente non esistono: menzionarle perciò farebbe rivivere ciò che la scienza ha ormai dimostrato non esistere. Tuttavia, se la genetica non conosce razze, esistono i razzisti, che ignorano questo dato di fatto e si riferiscono ad altro che immaginano e fantasticano, inventando un nemico per darsi identità.
La Corte europea ha escluso le dichiarazioni razziste dalla protezione della libertà di espressione. In Italia e in Europa, esistono leggi che puniscono in modo particolare e aggravato le aggressioni verbali o fisiche motivate dall’odio razziale, etnico, nazionale, religioso. Quelle antisemite sono le più note a causa della storia europea, antica, recente e attuale. Ma sono ora presenti anche gravi posizioni anticristiane o invece di islamofobia. Infatti alla motivazione razziale della discriminazione si accompagna spesso, intrecciandosi, quella che fa delle differenze religiose una ragione di odio. Se abolissimo la menzione della razza dall’elenco delle discriminazioni vietate dalla Costituzione, aboliremmo anche quelle leggi che le condannano? Sarebbe come garantire impunità ai razzisti e fornir loro legittimazione, dopo aver creduto di togliere argomenti a chi pretende di richiamarsi alla razza per proporre un programma di discriminazione di quelle diverse dalla sua. La via è invece un’altra: quella di riconoscerli e combatterli ogni volta che si manifestano, senza mai lasciar correre e far finta di credere che si tratti di frasi infelici, di ragazzate. Combatterli chiamandoli con il loro nome.

Il Fatto 9.2.18
“Il no alla piazza è sbagliato e inquietante”
Sergio Cofferati - L’europarlamentare: “Prima di disdire il corteo la Cgil avrebbe dovuto chiedere spiegazioni”
intervista di Luca De Carolis


“La decisione del sindaco di Macerata è sbagliata e incomprensibile, per certi versi inquietante. Fossi stato nella Cgil e nelle altre associazioni, prima di disdire la manifestazione di sabato avrei preteso spiegazioni da lui e dal Viminale. Ci sono problemi di sicurezza a Macerata, e quali? Qualcuno vuole attuare scontri? Sono domande a cui devono rispondere”. L’europarlamentare Sergio Cofferati, ex segretario della Cgil e ora candidato di LeU in un collegio di Genova, lo ripete più volte: l’assalto armato di Luca Traini è stato “un atto terroristico”, a cui si risponde “mostrando innanzitutto i propri princìpi nelle piazze”.
Raccontano che il sindaco abbia implorato il sindacato e le associazioni di non tenere il corteo a Macerata. E comunque il ministro dell’Interno Minniti gli ha dato pieno appoggio.
Quello di Macerata è stato un atto di terrorismo, pianificato, meditato e rivendicato: non il gesto di un folle. E proibire una risposta democratica a tutto questo non ha senso, innanzitutto per la comunità di Macerata.
E allora perché questo divieto? Per osservare il silenzio sulla vicenda predicato da Matteo Renzi?
Non ne conosco le ragioni e non faccio processi alle intenzioni. Di certo si tratta di un grave segno di debolezza, peraltro immotivato.
Debolezza verso i fascisti?
Nei confronti dei fascisti, e in generale verso tutti coloro che hanno intenzioni violente.
Magari il sindaco ha paura che il clima si esasperi.
Mi scusi, ma può avere paura di una manifestazione pacifica? Tanto più che la Cgil e l’Anpi sanno organizzare piazze di questo genere. Sanno come si fa.
Però hanno subito accettato di disdire il corteo.
Spero che gli organizzatori ci ripensino. Ma prima di prendere questa scelta io avrei comunque preteso di conoscere le ragioni del divieto. Se ci sono problemi di ordine pubblico, e a Macerata non mi risulta che ci siano mai stati, va detto.
Molti nell’Anpi contestano la scelta di non andare. E c’è malumore anche nella Cgil.
Capisco le manifestazioni di malessere nelle organizzazioni. Ci sono tante persone abituate a manifestare per rilanciare i valori della Costituzione.
Il Pd, come i 5Stelle, hanno predicato il silenzio sui fatti di Macerata. Lo fanno per motivi elettorali?
Io dico che l’essenziale è confrontarsi sui programmi e sulle idee, senza insultarsi. Ma questo non significa essere arrendevoli. Io non faccio un passo indietro rispetto ai miei valori.
Eppure i dem sembrano afoni.
Ho letto un’intervista di Graziano Delrio (a Repubblica, ndr) in cui il ministro si schiera contro i rigurgiti fascisti. Ma se pensa quello che ha detto allora dovrebbe spingere perché si faccia la manifestazione. E convincere Minniti, visto che fanno parte dello stesso governo.
A proposito del ministro dell’Interno: in due interviste ha spiegato di “aver fermato gli sbarchi perché aveva previsto gli spari”.
Le trovo parole inquietanti.
Ma perché c’è questo clima? Perché si riparla di fascismo che torna e cresce?
Perché non abbiamo fatto vivere nel modo giusto certi valori. Siamo stati deboli, dando per scontato che fossimo in una democrazia con tutti i suoi anticorpi.
Ora che succederà?
Temo che non succederà nulla. Penso che il sindaco non cambierà decisione per non ammettere l’errore, e che il ministero dell’Interno farà lo stesso.
Niente corteo, insomma.
Però c’è ancora tempo: per organizzarlo, e per ottenere certe risposte. Che vanno date, comunque.

il manifesto 9.2.18
La democrazia si difende con la democrazia
Manifestazione antirazzista a Pozzallo nel 2013
di Tommaso Di Francesco


E meno male che Minniti è «uomo silenzioso e riservatissimo», scriveva ieri la Repubblica al seguito della sua campagna elettorale. Perché non solo chiede voti con convinzione: «Se voi avete bisogno di sicurezza sono la persona giusta da votare», insomma un ministro degli interni buono per tutte le stagioni-coalizioni.
Ma soprattutto Minniti – dimentico che la democrazia si difende con la democrazia e, storicamente in Italia, da chi scende in piazza – ora ammonisce, minaccia, «vieta» e rivendica.
Non gli è bastata la pressione esercitata sulle organizzazioni democratiche Arci, Anpi, Libera e sulla Cgil che hanno revocato all’ultimo momento la manifestazione nazionale antifascista che avevano convocato domani a Macerata per protesta contro l’attentatore fascio-leghista Traini.
Ora, di fronte alla protesta che si leva dentro queste organizzazioni e di fronte alla presenza in piazza sabato a Macerata della Fiom, di molte forze di sinistra e dei centri sociali, incapace com’è di proibire la piazza ai neofascisti di Forza nuova e Casa Pound che scorrazzano, con Salvini, per le Marche e non solo, avverte che se l’appello a non manifestare non verrà accolto «dalle forze politiche…ci penserà il Viminale a vietarle.
Non gli bastava la breccia antidemocratica che ha aperto con l’avvio del blocco dell’accoglienza ai migranti in Mediterraneo, dopo la colpevolizzazione delle Ong di soccorso umanitario a mare, e con la consegna del controllo degli sbarchi alla cosiddetta «guardia costiera libica».
Vale a dire alle milizie che controllano, in armi e con centri di detenzioni denunciati da tanti reportage giornalistici e da tutti gli organismi umanitari – Unhcr-Onu, Human Right Watch, Amnesty International – l’intera Libia, sempre in preda ad una feroce guerra intestina.
Eppure, quando aveva dichiarato l’estate scorsa: «Se non avessimo fatto questo in Libia c’era da temere per la tenuta democratica del Paese», aveva ricevuto la pronta risposta del Guardasigilli Orlando: «Non credo sia in questione la tenuta democratica del Paese per pochi immigrati rispetto al numero dei nostri abitanti. Non cediamo alla narrazione dell’emergenza perché altrimenti noi creiamo le condizioni per consentire a chi vuole rifondare i fascismi di speculare». Ma il «nostro riservatissimo» Minniti addirittura rilancia: «Ho fermato gli sbarchi perché avevo visto all’orizzonte Traini», vale a dire l’azione armata del fascio-leghista di Macerata. Insomma, siamo al populistico: l’ho fatto per voi.
Così Minniti – che con l’uso della scrivania del Duce, si compiace di raccontare che un «sultano dei Tuareg» l’ha definito «l’inviato di dio» – dissimula il fatto che proprio questa posizione rischia il giustificazionismo; e che è su questa ambiguità che si è innestata la strumentalizzazione elettorale di Berlusconi della cacciata dei 600mila migranti inesistenti, come inesistente è «l’invasione» dei migranti.
Del resto come definire se non giustificazioniste le sue dichiarazioni appena dopo gli spari del fascioleghista Traini: «Nessuno deve farsi giustizia da sé». Come se in quel gesto criminale ci fosse un barlume di giustizia collegabile alla tragica vicenda della ragazza morta di overdose e barbaramente fatta a pezzi dai pusher.
Ma l’ambiguità più grave è quella neo-coloniale. «L’accordo con la Libia – dice Minniti – è un patrimonio dell’Italia di cui dovremmo essere orgogliosi. Da sette mesi consecutivi calano gli sbarchi, una cosa impensabile qualche tempo fa». L’accordo non è servito, a quanto pare, a difendere la democrazia, ma a tenere il più lontano possibile dalla coscienza democratica europea e dall’opinione pubblica il misfatto delle morti a mare, relegandone il dramma nei deserti, con tanto di minacce armate alle Ong umanitarie.
E infatti denunciano l’Onu e l’Oim: «Nel gennaio 2018, 246 migranti sono morti nel Mediterraneo nel tentativo di raggiungere per la maggior parte l’Italia, cosa che fa di gennaio il mese più mortale nel Mediterraneo dal giugno 2017».
Diminuiscono gli arrivi ma i flussi no.
Non dimenticando che la Libia, oltre ai centri di detenzione per i migranti in fuga da guerre e miserie spesso provocate dalla nostra economia di rapina, è diventata una grande trappola nella quale sono rimasti rinchiuse tra le 700mila e il milione di persone.
Che ora proviamo ad arginare – su 5mila km di frontiera? – arrivando militarmente in Niger.
L’idea è allargare il sistema concentrazionario, esternalizzando l’accoglienza in veri campi di concentramento, naturalmente coinvolgendo quel che resta dell’Onu con i cosiddetti centri di identificazione.
Quindi trasformiamo in lager buona parte del continente africano «per la nostra democrazia», dimenticando che così facendo distruggiamo la democrazia in Africa. Tantopiù che avendo il governo, il centrosinistra e il M5S, accettato la formula di Salvini «aiutiamoli a casa loro», avviamo missioni militari e investimenti che finiscono per sostenere solamente le predatorie e leadership locali anche da noi strutturalmente corrotte.
Del resto questo scambio «per la democrazia» è già accaduto per altri «posti sicuri»: la Turchia del Sultano Erdogan, il supermercato d’armi dell’Occidente, e l’Egitto del sodale golpista al-Sisi. Siamo al disprezzo del diritto-dovere all’accoglienza e alla normalizzazione dei flussi: questo un governo democratico dovrebbe fare, non rincorrere le pulsioni razziste.

il manifesto 9.2.18
Macerata, il sindaco e Minniti ripassino la Costituzione
Il ministro dell'Interno Marco Minniti
di Massimo Villone


Male ha fatto il sindaco di Macerata Carancini a chiedere la sospensione di tutte le manifestazioni, come se fossero uguali. Non lo sono affatto. Quelle che presidiano i valori democratici, che protestano contro un vile attacco fascista alla convivenza civile, hanno un valore positivo.
Un valore che manca in quelle di segno opposto, che inneggiano alla violenza come strumento risolutore del disagio e del conflitto sociale.
Le prime sono a difesa della Costituzione, le seconde la attaccano. E non si può applicare alla Costituzione il concetto che certe questioni si sottraggono alla politica, e non sono – come a qualcuno piace dire – né di destra né di sinistra.
La Costituzione non è mai indifferente. Al contrario è in servizio permanente effettivo – come direbbe il ministro Minniti – per le libertà, i diritti, l’eguaglianza, la tolleranza, la solidarietà, la pace. E a tutto questo un sindaco, tenuto per l’art. 54 a osservare la Costituzione e le leggi e ad esercitare la sua funzione con “disciplina ed onore”, è obbligato a essere sensibile, che gli piaccia o no. Diversamente, si dimetta.
Per questo, c’è chi non condivide la decisione di Anpi, Cgil, Arci e Libera di accettare la richiesta del sindaco. Sono organizzazioni vicine al cuore di molti di noi, e non dubitiamo che la decisione sia stata sofferta. Ma è legittimo il dubbio che proprio l’eccezionalità delle circostanze, e la gravità dell’accaduto, avrebbero consigliato la scelta opposta. Essere un presidio essenziale della democrazia nel nostro paese – come indubbiamente quelle organizzazioni sono – impone un particolare carico di responsabilità.
Una bocciofila o un club del golf avrebbero bene il diritto di non vedere, non sentire, non parlare, per non turbare la serenità dei soci. Non è così per loro.
Veniamo al ministro Minniti.
Capiamo bene che vuole costruire l’immagine di uomo forte del centrosinistra, capace di iniziative efficaci sul terreno incandescente della sicurezza. Che abbia o meno disegni futuri sulla poltrona più alta di Palazzo Chigi non interessa. Intanto, capiamo la valenza elettorale per un centrosinistra che insegue con affanno i voti perduti.
Capiamo, ancora, che il tema sicurezza è comunque centrale e che anche la sinistra deve darsene carico, se non vuole ridursi in una nicchia irrilevante per il futuro del paese. Ma questo non giustifica ricostruzioni di fantasia e stravolgimento di fatti.
Minniti ci informa di aver fermato gli sbarchi proprio per la previsione che un caso Traini potesse verificarsi.
Ma è banale la constatazione che averli “fermati” non ha prevenuto o impedito il caso Traini. E se poi l’aveva previsto, perché non ha adeguatamente aumentato la vigilanza su chi era lecito sospettare avrebbe potuto causare problemi? Non aveva forse avvertito crescere nel paese un clima pericoloso, non aveva percepito i rigurgiti fascisti?
Ci dice che l’accordo con le autorità libiche è un patrimonio del paese. Sappia che rifiutiamo un patrimonio intriso di sangue, torture e morte nei lager libici. Ci dica piuttosto qual è la sua soluzione, se la politica delle espulsioni non funziona. Essendo del tutto ovvio che non si fermano le migrazioni di masse di disperati in fuga dalla guerra, dalla fame, dalla morte schierando manipoli di soldati sulle rotte dei mercanti di carne umana.
Infine, il ministro apprezza la cancellazione della manifestazione, e annuncia che interverrà contro chi non dovesse seguire il buon esempio. A chi si rivolge davvero? Intanto, la sua vasta esperienza politica certo gli dice che proprio le sue parole possono aumentare la tensione. Dovrebbe poi sapere che le riunioni non si vietano preventivamente, e a prescindere. La formulazione dell’art. 17 della Costituzione non è affatto casuale, e gli consigliamo una rilettura. Cosa intende fare? Mandare cingolati e forze antisommossa nelle piazze d’Italia, a tutela della pubblica tranquillità?
Una pacifica dimostrazione di massa non è solo l’esercizio di diritti costituzionalmente protetti, fondamentali in un sistema democratico. È anche il migliore antidoto contro il veleno sparso da chi cinicamente sfrutta le paure profonde di una parte del paese per guadagnare un pugno di voti.
Anche questa è una violenza contro la Costituzione. E ci aspettiamo che un ministro della Repubblica sia in trincea per fermarla.

il manifesto 9.2.18
Lo stop di Minniti non ferma la manifestazione di Macerata
In piazza. La questura, «per ora», non conferma il divieto della prefettura
Macerata blindata
di Mario Di Vito


MACERATA All’ingresso della città, sul cartello che reca la scritta di «Macerata città della pace» una mano anonima ha aggiunto a bomboletta una parola che dice molto su queste giornate infinite: «Eterna».
Il vertice della tensione è stato toccato ieri sera, all’ora di cena, con la calata di Roberto Fiore e di Forza Nuova, che si sono visti per un comizio elettorale in piazza Oberdan, in una zona defilata del centro di Macerata, malgrado i tentativi di vietare qualsiasi manifestazione lanciati prima dal sindaco Pd Romano Carancini e poi dalla prefettura con il Viminale pronto a dare manforte.
La sortita del movimento di estrema destra è rimasta blindata e non ha fatto registrare una grande partecipazione, in compenso una trentina di persone si è fatta vedere per contestarli al grido di «terroristi» e «assassini». Tra i due blocchi, una corposa cortina di agenti in assetto antisommossa.
L’appello a non manifestare di Carancini, comunque, era già caduto nel vuoto nel pomeriggio di mercoledì, quando nella centralissima piazza della Libertà il capo di Casapound Simone Di Stefano ha inscenato la sua passeggiata elettorale con dieci militanti e venti cronisti al seguito. In tutto questo la città vive da quasi due settimane con il fiato sospeso, nell’incertezza di una situazione pesantissima, tra l’omicidio della giovane Pamela, la sparatoria di Traini e il successivo clima tesissimo.
Nel pomeriggio di ieri il leader della Lega Matteo Salvini è andato prima a Camerino dai terremotati e poi a Civitanova. Sulla costa ha trovato ad accoglierlo degli striscioni con scritto «sciacallo», mentre in montagna una ventina di ragazzi ha deciso di contestarlo al grido di «siamo tutti antirazzisti».
Il giorno dopo la clamorosa spaccatura del fronte antifascista, intanto, fioccano le adesioni per il corteo che partirà domani pomeriggio alle 14 .30, davanti alla stazione.
«Marceremo contro il razzismo, contro il fascismo e per la democrazia», confermano i militanti del centro sociale Sisma, che aggiungono: «I militanti di base delle associazioni che hanno ritirato la loro adesioni verranno di sicuro, indipendentemente da quello che hanno detto i loro vertici».
Ieri in città è arrivato il leader di Liberi e Uguali Pietro Grasso, che, dopo la sua visita ai feriti in ospedale e alla madre di Pamela Mastropietro, ha preso le parti dei manifestanti. «Non si può pensare che le manifestazioni fasciste e quelle antifasciste siano la stessa cosa – ha detto ai cronisti –, capisco le tensioni ma bisogna difendere i valori della nostra democrazia». Il presidente del Senato ha anche parlato di «perplessità per le decisioni delle segreterie nazionali della associazioni di rinunciare alla propria presenza».
C’è confusione sul fronte istituzionale: nella tarda serata di mercoledì la prefettura ha reso pubblica una nota con cui accoglieva l’invito del sindaco Romano Carancini, imponendo uno stop a tutte le manifestazioni. Ancora ieri pomeriggio dalla questura hanno fatto sapere che nessuna manifestazione era stata vietata.
Due posizioni in apparente contrasto, se si considera che il ministro degli Interni Marco Minniti era stato piuttosto chiaro sul punto: «Mi auguro che chi ha annunciato manifestazioni accolga l’invito del sindaco, se qusto non avverrà, ci penserò io ad evitare tali manifestazioni». Tutto questo dopo essersi fatto i complimenti da solo, a modo suo: «Traini, l’attentatore di Macerata, l’avevo visto all’orizzonte dieci mesi fa, quando poi abbiamo cambiato la politica dell’immigrazione».
Le invidiabili doti da veggente del ministro – tra l’altro apprezzate dal segretario dem Matteo Renzi a Cartabianca su Raitre -, non hanno comunque impedito al 28enne militante leghista di aprire il fuoco contro sei ragazzi africani.

Il Fatto 9.2.18
La manifestazione spacca la Cgil, LeU e pure il Pd
Camusso dice no, però la Fiom parteciperà; Sinistra Italiana va, quelli di Mdp no; critiche dem a Minniti
di Wanda Marra


“La Fiom sarà a Macerata con la segreteria nazionale e le delegazioni territoriali in difesa del diritto costituzionale a manifestare. Non è accettabile mettere sullo stesso piano le manifestazioni antifasciste e le marce squadriste e razziste”. Il comunicato della Fiom arriva nel primo pomeriggio, nonostante la rinuncia della Cgil a scendere in piazza. Un atto di “disobbedienza” alla richiesta del sindaco, Romano Carancini, di annullare l’iniziativa che non resta isolato e che finisce per spaccare il mondo del centrosinistra.
Domani in piazza a Macerata, infatti, non ci sarà solo la Fiom ma anche alcuni circoli dell’Anpi e dell’Arci, in dissenso dalla linea nazionale delle organizzazioni. In ordine sparso pure Liberi e Uguali. I tre leader 40enni – Roberto Speranza, Nicola Fratoianni e Pippo Civati – firmano un comunicato congiunto contro Marco Minniti e Paolo Gentiloni: “La scelta che avete fatto è sbagliata e pericolosa”. Però, sulla decisione di andare si dividono: ci saranno Fratoianni e Civati; non andranno D’Alema, Bersani & C. Errani andrà al corteo di Bologna di Anpi, Arci, Cgil e Libera. Pietro Grasso definisce “un errore mettere sullo stesso piano fascismo e anti fascismo” e va a trovare in ospedale i feriti. Ma domani non ci sarà. In forse Laura Boldrini.
La Cgil, invece, si adegua: quella del sindaco viene considerata una richiesta da non disattendere. Lo stesso fa il Pd. L’unica del partito che fa sapere che domani manifesterà a Macerata è l’ex ministra Cecile Kyenge. Gianni Cuperlo (non candidato) scrive su Facebook: “Penso che la piazza sia il più formidabile anticorpo per chi voglia tutelare e rinvigorire la democrazia”. Domani sarà a Bologna. Andrea Orlando dà un colpo al cerchio e uno alla botte: “Tutto quello che può creare incidenti va evitato, ma occorre cercare un momento per chi rappresenta i valori del nostro paese”.
Chi ha le idee chiarissime è Minniti. In un’intervista ieri a Repubblica, prontamente messa sul profilo Facebook del Pd, lega esplicitamente la sparatoria di Macerata agli sbarchi: “Li ho fermati perché avevo previsto Traini”. E poi: “Ringrazio l’Anpi per aver rinviato la manifestazione. Spero che facciano lo stesso le forze politiche. Se non succede, ci penserà il Viminale a vietarle”. Sullo stesso quotidiano, il giorno prima Graziano Delrio aveva dichiarato l’intenzione di partecipare (ha rinunciato). Su Facebook c’è pure la sua intervista: commenti di tutti i tenori, ma alcuni di quelli rivolti a Minniti sono feroci.
Matteo Renzi esibisce la sua vicinanza col ministro: lunedì faranno insieme a Firenze una giornata elettorale tutta sulla sicurezza. Ma il segretario da sabato cerca di parlare della tentata strage di Macerata il meno possibile. Che la questione immigrazione sarebbe stata decisiva per queste elezioni era chiaro dall’estate. Ieri a Cartabianca s’è spinto a dire che l’atto di Luca Traini è stato “sicuramente razzismo”, ma “terrorismo non so”. E continua sulla sua linea: “Chi alimenta la tensione fa un calcolo elettorale”. Il mancato cambiamento della Bossi-Fini viene liquidato con un “non avevamo i numeri”.
Nel tentativo di coprirsi a sinistra, il Pd, per bocca di Maurizio Martina, annnuncia: “L’Anpi e le associazioni promotrici dell’appello ‘Mai più fascismi’ definiranno nelle prossime ore i dettagli per una grande manifestazione nazionale. Il Pd annuncia fin da ora che sarà presente”. Domani, intanto, il corteo lo ferma.

il manifesto 9.2.18
Il paese invecchiato, dove si nasce meno, nella tenaglia razzista
Istat, rapporto sugli «indicatori demografici» 2017. Il saldo tra immigrazione e emigrazione aumenta, ma la popolazione straniera resta stabile ed è in fase «matura». L’incremento della popolazione immigrata è dovuta all’acquisizione della cittadinanza, mentre sulla «fuga» all’estero degli italiani pesa la «Brexit». Nona consecutiva diminuzione dei nati dal 2008. Il calo è maggiore nel Lazio: 7%.
di Roberto Ciccarelli


Gli stranieri residenti in Italia al 1° gennaio 2018 sono 5 milioni 65mila e rappresentano l’8,4% della popolazione, dato vicino a quello del 2017 (8,3%). L’incremento è di appena 18mila unità per un tasso pari al 3,6 per mille. È dal 2016 che la variazione della popolazione straniera sull’anno precedente presenta livelli modesti, soprattutto se comparata con quelli degli anni Duemila. Anche l’Istat – con il rapporto sugli «indicatori demografici» 2017 – dimostra che non esiste alcuna «invasione», il tema prediletto dalla propaganda razzista che è entrato nel senso comune grazie all’amplificazione acritica dei maggiori media televisivi, e non.
IL RALLENTAMENTO nella crescita della popolazione straniera si deve, spiega l’istituto nazionale di statistica, all’acquisizioni della cittadinanza italiana passate da 35mila nel 2006 a 202mila nel 2016. è il segno di una progressiva, ma ancora del tutto incompleta, «integrazione» che coinciderebbe secondo l’Istat con « una fase matura dell’immigrazione». Il dato va ponderato anche rispetto agli arrivi che tanta materia (involontaria) offrono alla suddetta propaganda razzista da un lato, securitaria dall’altro. Nell’ultimo quinquennio gli ingressi sono aumentati (337mila), anche a causa della moltiplicazione delle crisi in Africa e in Medioriente. Nel frattempo sono diminuite le uscite dal paese. Le emigrazioni per l’estero si attestano a 153mila unità, ovvero 4mila in meno del 2016. Lo stop – è l’ipotesi dell’Istat – si è sentito di più nel corso dell’ultimo anno, dopo la «Brexit». La Gran Bretagna, insieme alla Germania, è il paese di emigrazione dei (giovani) italiani. Il sussulto nazionalista anti-immigrati che ha portato anche all’addio all’Ue ha prodotto un contraccolpo: le immigrazioni sono diminuite di 80mila unità (-12%). Ciò ha frenato la «fuga» degli italiani compresi e può avere aumentato l’arrivo di migranti da noi. Al di là delle esemplificazioni populiste e razziste, le dinamiche legate alla mobilità degli umani sono sempre complesse e causate da precisi eventi geo-politici ed economici, oltre che psicologiche e sociali.
QUESTA SITUAZIONE si innesta su un corpo sociale ferito e ulcerato, a causa di crisi e precarietà, avvitato in una dinamica demografica negativa che riguarda la cittadinanza italiana. La popolazione prosegue la sua discesa: oggi è pari a 55 milioni 430mila residenti. La perdita sull’anno precedente è pari a 113mila residenti. Il paese appare oggi incanalato in una spirale di decrescita naturale che, alla luce dei bassi livelli di natalità espressi, non solo appare difficilmente controvertibile ma apre la strada alla concreta prospettiva di un ulteriore allargamento della forbice nascite-decessi negli anni a venire. Le nascite registrano la nona consecutiva diminuzione dal 2008, anno in cui furono pari a 577mila. La loro riduzione rispetto al 2016 interessa gran parte del territorio, con punte del -7% nel Lazio e del -5,3% nelle Marche.
RISULTATO: siamo un paese sempre più maturo (età media 45 anni). il 22,6% della popolazione ha età compiuta superiore o uguale ai 65 anni, il 64,1% ha età compresa tra 15 e 64 anni mentre solo il 13,4% ha meno di 15 anni. Rispetto a 10 anni fa le distanze tra le classi di età più rappresentative si sono ulteriormente allungate. Quale ulteriore conseguenza, i rapporti intergenerazionali si stanno anch’essi gradualmente modificando. L’indice di dipendenza degli anziani, ad esempio, risulta oggi pari al 56,1%, registrando un incremento di 4 punti sul 2008.
L’ISTAT AFFRONTA anche una questione dirimente per la vita, e per la libertà, delle donne: la maternità. Iil progressivo spostamento in avanti del loro «calendario riproduttivo» (discutibile categoria biopolitica applicata alla statistica e a un’idea produttivistica della vita) sarebbe la causa del calo circa 900mila in meno le donne residenti nella classe di età 15-50 anni rispetto al 2008 (1° gennaio), di cui 200mila in meno solo nell’ultimo anno . Nel frattempo, l’età media di queste donne è cresciuta da 33,8 anni nel 2008 a 35,2 anni nel 2018. Storicamente è una dinamica riconosciuta. Come in altri paesi del mondo occidentale, le donne rimandano la scelta di avere figli nella seconda parte della loro potenziale vita riproduttiva. L’età media del parto è in continuo aumento in Italia sin dal 1980 (27,5 anni) e pervenuta nel 2017 a 31,8 anni.
IN VISTA DEL 4 MARZO questa mappa è diventato l’oggetto di speculazioni elettorali. La Lega straparla di «record di immigrati sbarcati», la ministra della Sanità Lorenzin – quella del «Fertility Day» – invoca «urgenti politiche sulla natalità». Il Pd assicura che è al centro delle politiche del partitone centrista. Per tutto il giorno si è polemizzato sulle «dimissioni in bianco».

il manifesto 9.2.18
«Ma quale retromarcia, noi andiamo a Macerata»
Interno notte. Cresce il dissenso alla decisione di Anpi, Arci, Cgil e Libera di ritirare l'adesione alla manifestazione antifascista di domani a Macerata. Un appello interno all'Arci raccoglie le firme di 150 circoli e 10 comitati territoriali. Malumori anche nell’Anpi, che oggi lancerà il nuovo corteo a Roma
di Andrea Fabozzi


La decisione di ritirare l’adesione alla manifestazione antifascista di Macerata, che le leadership di Anpi, Arci, Cgil e Libera hanno dovuto prendere in solitudine e in poco tempo mercoledì, sta provocando numerose reazioni di dissenso. Clamorose nell’Arci, dove 150 circoli e dieci comitati territoriali (Avellino, Como, Cosenza, Rimini, Pisa, Palermo, Lecco, Pavia, Reggio Calabria e Siracusa) hanno sottoscritto un appello che chiede alla dirigenza di ripensarci. La presidenza nazionale dell’Arci si riunirà oggi e, a questo punto, non ci ripenserà. Ma proverà a spiegare in un documento le ragioni di una scelta «sofferta», soprattutto dalla base. In aiuto dovrebbe arrivare il contemporaneo lancio per iniziativa dell’Anpi di «una grande manifestazione nazionale antifascista», a Roma il 24 febbraio. Ma anche l’associazione partigiani è attraversata dal dissenso. Sulle bacheche facebook come nella mail che arrivano alla presidenza. Soprattutto dalla Toscana, dove qualche circolo (Pontassieve, Bagni a Ripoli) così come un intero comitato provinciale, quello di Siena, hanno deciso di rendere pubblico il loro disaccordo con la retromarcia di Macerata. Critiche anche dal Piemonte (Bussoleno) e dal Lazio, dove il circolo Anpi dedicato alla memoria di Renato Biagetti, antifascista ucciso dai neri a Roma nel 2006, ha voluto dire no «a un nuovo Aventino». Anche la Fiom si è smarcata dalla decisione della Cgil e ha annunciato al sua partecipazione al corteo di Macerata «in difesa del diritto costituzionale di manifestare».
Gli organizzatori confermano la manifestazione a dispetto degli avvertimenti del ministro dell’interno. Nessun divieto ufficiale ha fatto seguito al minaccioso «ci penserà il Viminale a fermare le manifestazioni» pronunciato da Minniti e copiato dalla prefettura. Una situazione di sospensione che può preludere a una pericolosa decisione all’ultimo minuto. Anche perché nel frattempo al dietrofront delle quattro grandi organizzazioni hanno risposto molte nuove adesioni. Dopo Potere al popolo, adesso anche Liberi e Uguali parteciperà. Ci saranno le donne di Non una di meno, la Rete degli studenti medi, l’Unione degli universitari. E molti pullman già prenotati dall’Arci partiranno ugualmente. L’organizzazione è quella che ha subito il contraccolpo più grosso.
Mercoledì il sindaco di Macerata ha chiamato la presidente dell’Arci e poi i vertici di tutte le altre organizzazioni. Tutti, da Libera all’Arci alla Cgil, hanno dovuto decidere in una manciata di ore. Ma solo nell’Arci il dissenso ha preso piede immediatamente dopo che la scelta di fare un passo indietro è stata resa pubblica. L’appello è partito da un circolo storico di Pisa, la casa dei popolo Rinascita aperta nel 1946 e rilanciata qualche anno fa da un gruppo di giovani. Le adesioni che si sarebbero dovute chiudere ieri mattina sono continuate ad arrivare fino a sera, tra gli ultimi un circolo di Roma che è il secondo a livello nazionale per numero di tessere staccate. «I nostri non capiscono», racconta Tiziana Passarini del circolo Brecht di Bologna, che esiste da 55 anni e riunisce 800 soci. «Proprio in questi giorni stiamo raccogliendo le firme all’appello “Mai più fascismi”, ma quando si tratta di fare qualcosa di concreto decidiamo di tirarci indietro? Noi no, andremo a Macerata». Molte perplessità si possono raccogliere anche tra i vertici dell’associazione, che conta un certo numero di rappresentati candidati alle prossime elezioni nelle fila di Liberi e Uguali e uno in Potere al Popolo, liste che a Macerata ci saranno e che stanno criticando la linea del silenzio – «meglio non alzare la tensione» – teorizzata da Renzi e messa in pratica da Minniti. «Se ci fossimo dovuti adeguare a messaggi del genere non saremmo andati neanche a Genova nel 2001», è il tipo di ragionamento che si coglie parlando con più di un dirigente, a taccuino chiuso. Una pagina facebook ha cominciato a raccogliere foto di iscritti Arci che, tessera in mano, annunciano l’intenzione di raggiungere Macerata.
«Non si possono vietare contemporaneamente manifestazioni neofasciste e manifestazioni antifasciste: nessun parallelismo può e deve essere tollerato», dice il comitato Anpi di Siena. Oggi l’associazione dei partigiani comunicherà la data della manifestazione nazionale a Roma. Alla quale il Pd, ha fatto sapere ieri il vice segretario Martina, ha già preventivamente aderito.

il manifesto 9.2.18
Anche la Fiom in piazza domani: «Ma nessuna divisione con la Cgil»
Distinguo Sindacali. Sfilera l’intera segreteria nazionale guidata da Francesca Re David con pullman da tutto il centro- sud. Sotto accusa per la gestione della "retromarcia" i dirigenti locali marchigiani
La Fiom in piazza
di Massimo Franchi


Alla fine domani a Macerata una parte della Cgil ci sarà. L’intera segreteria nazionale della Fiom più tanti pullman di metalmeccanici dal centro sud e da qualche territorio del nord (Padova ad esempio).
Già da mercoledì sera quando è arrivata la decisione di revocare l’adesione alla manifestazione convocata dai centri sociali di Macerata, sui social network la protesta della base Fiom si era fatta sentire. L’attrazione della piazza per i metalmeccanici è troppo forte e, sebbene già in mattinata erano stati organizzati presidi in molte città (Milano e Bologna i primi), a Corso Trieste era già pronto il comunicato che annunciava la presenza a Macerata.
La scelta naturalmente si pone in contrasto con quella della segreteria generale della Cgil che ieri sera aveva «accettato» l’invito «tardivo» del sindaco Romano Carancini allo stop «a tutte le manifestazioni» per il rischio violenza. Ma dalla Fiom ci tengono a precisare che «non c’è nessun distinguo con la confederazione». Tanto è vero che prima di rendere pubblico il comunicato Francesca Re David ha parlato a lungo con Susanna Camusso.
E nello stesso comunicato non si alcun riferimento alla scelta della Cgil. «Saremo presenti, come sempre, con le nostre modalità pacifiche, aperte e inclusive. Non e’ accettabile – si legge – mettere sullo stesso piano le manifestazioni antifasciste e le marce squadriste e razziste. Gli spazi di partecipazione democratica contro l’odio e la violenza non possono essere mai trattati come un problema di ordine pubblico. E’ necessaria una forte risposta democratica e pacifica alla violenza fascista e razzista sempre più dilagante nel nostro Paese». Il comunicato si conclude motivando la presenza a Macerata anche per «dare forza alla manifestazione nazionale» annunciata dalla Cgil che si terrà sabato 24 febbraio «per ribadire e affermare i valori dell’antifascismo sanciti dalla nostra Costituzione».
Niente divisioni, dunque. Niente ritorno ai lunghi anni delle manifestazioni Fiom che la Cgil non apprezzava o contrastava apertamente (la «Via maestra» con Rodotà nel 2014, la Coalizione sociale del 2015) anche perché ora lo stesso Maurizio Landini fa parte della segreteria confederale della Cgil a guida unitaria.
Il giorno dopo arrivano anche nuovi elementi su come si è arrivati alla revoca dell’adesione Cgil alla manifestazione di sabato. Da più parti traspare fastidio per come è stata gestita localmente la vicenda.
La Cgil di Macerata – tradizionalmente moderata – infatti fin dal principio non era convinta di accodarsi ad una manifestazione lanciata dai centri sociali. Le resistenze erano state vinte con difficoltà anche grazie alla compresenza di Anpi e Arci quando la richiesta del sindaco ha dato modo ai dirigenti cittadini di chiamarsi fuori «per causa di forza maggiore». A quel punto da Roma la stessa Susanna Camusso ha dovuto adeguarsi ad una situazione creata da altri, spuntando almeno l’impegno di Anpi e Arci ad una «grande manifestazione nazionale» da tenere a Roma. Sarà il week end pre-elettorale: una vicinanza che ripaga in parte le amarezze su come è stata gestita la «vertenza» Macerata.

il manifesto 9.2.18
I disobbedienti dell’Arci: «Perché a Macerata bisogna esserci»
Appello alla presidenza nazionale Arci . «L’unica risposta che vediamo in linea con i nostri valori è prendere parte in tanti e tante al corteo del 10 febbraio a fianco delle realtà che sul territorio costruiscono presidi di democrazia sostanziale, perché l’antifascismo è un valore universale che deve appartenere a tutti e non rientrare in scontri tra fazioni»


Abbiamo appreso nella giornata di ieri della decisione di sospendere la partecipazione alla manifestazione antifascista convocata per sabato 10 febbraio a Macerata, su invito del sindaco della città «per il clima di smarrimento, paura e dolore vissuto dalla comunità locale». Riteniamo questa scelta un grave errore. Non possiamo cedere di fronte a una retorica che mette sullo stesso piano le convocazioni neofasciste e le manifestazioni solidali con le vittime. Non possiamo avallare l’approccio del Viminale e della prefettura di Macerata, pronti a «vietare ogni manifestazione». L’intenzione, pur importante, di costruire presidi locali e future iniziative di mobilitazione unitarie rischia di venire schiacciata dai fatti degli ultimi giorni.
I fatti di Macerata rappresentano un salto di qualità, ma si inseriscono in una spirale di odio, razzismo e violenza fascista che da troppo tempo si sta sviluppando nel nostro Paese. Le realtà strutturate hanno il dovere di prendere parola e di riportare alla luce i valori dell’antifascismo, dell’antirazzismo e della concreta solidarietà. Il nostro statuto lo dice a chiare lettere: l’Arci è quotidianamente impegnata nello «sviluppo di forme di prevenzione e di lotta all’esclusione, al razzismo, alla xenofobia, all’intolleranza, al disagio, all’emarginazione, alla solitudine». Revocare la partecipazione al corteo significa fare un passo indietro dai valori che ogni giorno proviamo a concretizzare all’interno dei nostri circoli e che sono stati al centro di importanti iniziative recenti dell’Arci. Significa non esserci quando c’è bisogno di rompere il silenzio e la paura, mentre tante persone che sono soci Arci o che si riconoscono nei nostri valori andranno comunque: semplicemente, saranno più soli.
Per questo, l’unica risposta che vediamo in linea con questi valori è prendere parte in tanti e tante al corteo del 10 febbraio a fianco delle realtà che sul territorio costruiscono presidi di democrazia sostanziale, perché l’antifascismo è un valore universale che deve appartenere a tutti e non rientrare in scontri tra fazioni. La paura aumenta la paura e rischia di lasciare sempre più spazio alle forme di neofascismo che si sono manifestate anche nei fatti di Macerata.
Per questo, chiediamo alla dirigenza nazionale di riconsiderare la sospensione della partecipazione dell’Arci nazionale alla manifestazione, decisione in cui non ci sentiamo rappresentati, e, di partecipare sabato a Macerata, così come noi continueremo a partecipare alle future iniziative di mobilitazione e a quelle già in campo.
Per sottoscrivere l’appello, manda una mail a appellomacerata@gmail.com
Primi firmatari (lista in aggiornamento):
Casa dei Popoli Rinascita – Pisa; Circolo Arci Pace e Lavoro – Pisa; Circolo Arci E. Curiel La Vettola – Pisa; Circolo Agorà – Pisa; Circolo Arci Il Botteghino-La Rotta – Pontedera, Valdera (Pi); Circolo Arci Casciavola – Pisa; Circolo Arci San Giuliano terme (Pisa); Circolo Arci Torre Giulia – San Romano – Montopoli Val d’Arno (Pi); Settembre Rosso – Empoli (Fi); Circolo Arci “Fra i Lavoratori di Porta al Prato” di Firenze; Circolo Arci Lavoro e Sport – Siena; Comitato Provinciale Avellino; Circolo Arci Adelante – Melito Irpino (Av); Enterprise – Avellino; Mente&Corpo – Torrioni (Av); Circolo Arci Cespos Macondo – Avellino; Zona Franka – Bari; Fluxus Club Arci – Bari; Arci La Locomotiva – Corato (Ba); La Mancha – Ruvo di Puglia (Ba); Circolo Arci Cafiero – Barletta; Circolo Arci Barrio Campagnola – Bergamo; RitmoLento – Bologna; Circolo Arci Guernelli – Bologna; Arci Brecht – Bologna; Arci Melquiades – Catania; Arci Faber – Catania; Circolo Welcome 2 Sicily – Catania; Circolo Arci Babilonia – Acireale (Ct); Circolo Arci Futuro – Belpasso (Ct); Circolo Culture in Movimento – Crotone; Circolo Le cento città – Crotone; Circolo Arci Trenta Giugno – Genova; Circolo Amici Cacciatori Granarolo – Genova; Circolo Arci Belleville – Genova; Circolo Arci La Nuova Ferramenta – Lecce; Circolo Arci La Logo Esnago – Lecco; Circolo Arci Bellezza – Milano; Asu – Padova; Circolo Nadir – Padova; Arci Casa della cooperazione – Palermo; Arci Cerchio di Alice – Palermo; Arci Stato Brado – Palermo; Arci The Factory – Palermo; Arci Porco Rosso – Palermo; Arci Tavola Tonda – Palermo; Arci Intona Rumori – Palermo; Arci Teatro Atlante – Palermo; Arci Il Girasole – Lascari (Pa); Arci Collettivo Link – Monreale (Pa); Arci Teatro Zeta – Termini Imerese (Pa); Arci Reggio Calabria; Sparwasser – Roma; Nonna Roma – Roma; Circolo Arci Pietralata – Roma; Poppyficio – Roma; Arci solidarietà – Roma; Circolo Kino – Roma; Circolo Arci Artenoize – Roma; Circolo Arci 30 Formiche – Roma; Cantiere Analogico Digitale – Roma; Fanfulla 5/a – Circolo Arci – Roma; Circolo Arci Concetto Marchesi – Roma; Arci Montefortino 93 – Artena (Rm); Circolo Mediterranea – Formia (Lt); Comitato Provinciale Arci Siracusa; Marea – Salerno; Ferro 3.0 – Scafati (Sa); Officine Corsare- Torino; Circolo Arci Pop – Torino; Circolo Arci il Cosmonauta, Viterbo; Le città invisibili, Caprarola (Vt); Arci Capranica; Claudio Zilleri, Capranica (Vt); Circolo Arci La Poderosa, Vasanello (Vt); Aucs Onlus, Viterbo; Associazione Culturale Percorsi, Viterbo; Arci Solidarietà Viterbo Onlus

La Stampa 9.2.18
Salvini: la religione islamica incompatibile con i nostri valori
Il Pd: mette in pericolo il Paese. La sinistra contro il divieto a manifestare di Minniti
di Andrea Carugati


La manifestazione antifascista di sabato a Macerata, annullata dalla stessa Anpi e sconsigliata dal ministro Minniti, ci sarà ugualmente. E già alimenta uno scontro molto forte nel centrosinistra. Dal basso decine di circoli Arci, nonostante la decisione dei vertici nazionali, annunciano che domani saranno a Macerata, e così centri sociali, associazioni studentesche, la Fiom, esponenti di LeU e di Potere al Popolo si rivoltano contro il ministro dell’Interno che ha chiesto a tutte le forze politiche di accogliere l’appello del sindaco Pd Romano Carancini.
I leader di Leu Speranza, Fratoianni e Civati scrivono al premier Gentiloni e allo stesso Minniti per ribadire che «fascismo e antifascismo non sono in nessun modo paragonabili né possiamo accettare che, in nome di una malintesa responsabilità, torni la teoria degli opposti estremismi». «Manifestare non è mai un errore, celebrare l’antifascismo e la nostra Costituzione è sempre giusto». Come è accaduto in tutti i Paesi europei colpiti dal terrorismo islamico. Vietare il corteo, invece, è «sbagliato e pericoloso». Pietro Grasso, che ieri a Macerata ha incontrato alcuni immigrati feriti e il prefetto (e a Roma ha visto la madre di Pamela Mastropietro), parla di «un’aggressione terroristica, fascista e di stampo razzista». «Non si può confondere una manifestazione fascista con una antifascista», visto che si tratta di «un valore fondante della Costituzione». Quanto ai cortei, dice, «sono decisioni che spettano alle autorità responsabili dell’ordine e della sicurezza».
Alcuni esponenti di LeU dunque saranno in piazza a Macerata. Ma non Grasso e neppure Laura Boldrini. E ci sarà sulla sponda opposta Forza nuova. «La manifestazione è stata sospesa per volontà dei promotori e non vietata dal governo», spiega la deputata Pd Irene Manzi. Il vicesegretario dem Maurizio Martina assicura la presenza del Pd alla grande manifestazione nazionale che l’Anpi organizzerà a Roma o Milano. Matteo Renzi a Carta Bianca dice che il gesto di Luca Traini è «un atto di razzismo devastante, non so però se si possa utilizzare l’espressione terrorismo». «Gli italiani sapranno riconoscere il nostro buonsenso, da Salvini una campagna da follia totale».
Anche il ministro della Giustizia Andrea Orlando si scaglia contro il segretario della Lega e contro Berlusconi: «Sono degli irresponsabili, dare giustificazione a un comportamento terroristico è un modo di sdoganarlo e dargli un valore politico. È un rischio enorme». Sullo stop ai cortei Orlando tende la mano verso la sinistra: «In questo momento si pensa che la gestione della piazza possa creare problemi. Ma se suonasse come una equivalenza sarebbe inaccettabile».
Il leader della Lega non arretra e apre un altro fronte, quello dell’Islam: «Il problema dell’Islam è che è una legge, non è una religione. Secondo me è incompatibile con i nostri valori, diritti e libertà. Al governo porrò il problema della compatibilità». «Siamo indignati e offesi dagli attacchi all’Islam che giungono da certa politica il cui intento è isolare l’Italia dal resto del mondo», replica Foad Aodi, presidente delle Comunità del Mondo Arabo in Italia. «Salvini irresponsabile, fa correre rischi all’Italia», attacca il Pd. E Marco Minniti in una intervista a Limes ricorda che «la firma del Patto nazionale per un Islam italiano è uno degli obiettivi più importanti che abbiamo raggiunto». Nel Patto, ricorda il ministro, «si sottolinea che i valori della Costituzione sono il pilastro non negoziabile del nostro vivere insieme». Giorgia Meloni dà manforte all’alleato: «Il tema della compatibilità dell’Islam va posto. C’è un fenomeno di islamizzazione dell’Europa».

La Stampa 9.2.18
Le prediche inutili sulla demografia
di Linda Laura Sabbadini


Il solito allarme, e lacrime di coccodrillo, ma non c’è molto di nuovo nei dati resi noti dall’Istat nel Rapporto sugli indicatori demografici. Siamo un Paese a permanente bassa fecondità. Le nascite continuano a calare, anche tra le immigrate. Siamo al minimo 464 mila, nono calo consecutivo dal 2008. 1,34 figli per donna, un’età media al parto che cresce a 31,8 anni. La mortalità aumenta anche perché più popolazione molto anziana significa anche più probabilità che muoia. Le morti sono più delle nascite. Le classi giovanili si assottigliano, per il protrarsi negli anni della bassa fecondità, quelle anziane si ampliano. L’incremento di migranti non compensa le uscite dal Paese e le morti, e così la popolazione diminuisce di 100 mila abitanti. Potevamo aspettarci una situazione diversa? No, la situazione non può migliorare, può solo peggiorare se lasciata a sé stessa.
Bisogna capire una volta per tutte che va governata. Governare il cambiamento è meglio che subirlo. Vale per l’economia, per la società, per la demografia. Se lo si subisce si entra nella spirale, sempre più senza uscita, del declino demografico, che si tradurrà anche in declino economico e sociale. E allora bisogna investire una volta per tutte su tre aspetti cruciali. Il primo è ricostruire la normalità di vita giovanile. Agire pesantemente e urgentemente sul fronte dell’inserimento lavorativo di qualità per i giovani, che non hanno conosciuto benefici dalla crescita occupazionale dell’ultimo periodo: senza lavoro non si progetta il futuro, non si costruisce una vita indipendente, non si avranno i figli. Il secondo è agire sulla conciliazione dei tempi di vita per uomini e donne. La nascita di un figlio non può essere una responsabilità solo delle donne che devono pagare il prezzo del sovraccarico, interrompendo il lavoro o rimettendoci in termini di salario e carriera, deve riguardare anche i padri con la condivisione delle responsabilità, e il Paese tutto. I servizi per la prima infanzia devono estendersi e flessibilizzarsi, l’organizzazione del lavoro deve venire incontro alle esigenze di madri e padri. II costo dei figli deve essere ridotto. Altrimenti di figli se ne faranno sempre meno.
Il terzo aspetto riguarda il problema serissimo di assistenza ad anziani non autosufficienti, che sono destinati a crescere in valore assoluto, per un fatto positivo, l’aumento della speranza di vita, 80,6 anni per gli uomini, 84,9 per le donne. Finora il carico dell’assistenza agli anziani è caduto sulle spalle delle reti informali e soprattutto familiari, figlie e nuore. Non ci sono più le condizioni perché ciò accada. Perché quelle figlie e nuore sono sovraccariche. Politiche su questo terreno non sono entrate nelle priorità del Paese, servono anche a creare occupazione. Ma non sono più rimandabili. Qualsiasi governo si formerà dovrà farci i conti una volta per tutte. Se non lo si farà il nostro declino inevitabilmente si accentuerà.

Corriere 9.2.18
Istat calano gli abitanti
L’Italia da record che non fa figli
di Alessandra Arachi


Continua inarrestabile il calo delle nascite. Anche nell’anno appena passato un segno negativo: 2 per cento in meno di neonati rispetto al 2016. E la popolazione continua a ridursi, nonostante il record degli arrivi stranieri: più 12 per cento. Così la popolazione residente in Italia scende a 60 milioni e 494 mila. Lo dice l’ultimo rapporto demografico dell’Istat.

ROMA Passano gli anni ma il quadro non migliora. Anche nel 2017 in Italia sono nati meno bambini, un record che fa segnare un meno 2% rispetto al 2016 e fa registrare che nelle culle siano arrivati soltanto 464 mila nuovi nati: minimo storico.
Nemmeno il record degli arrivi dall’estero — il 12% in più rispetto al 2016 — è riuscito quest’anno a far aumentare il numero degli abitanti. E infatti il saldo naturale della popolazione è negativo per quasi 200 mila unità (meno 183 mila per la precisione).
Ed ecco che la popolazione residente in Italia al primo gennaio 2018 scende a 60 milioni e 494 mila, segnando una diminuzione dell’1,6 per mille rispetto all’anno precedente, e una decrescita per il terzo anno consecutivo.
È il rapporto demografico 2017 dell’Istat che ce lo dice, aggiungendo che di conseguenza viviamo in un Paese sempre più anziano dove oltre un abitante su quattro ha più di 65 anni. «La verità è che siamo all’interno di una vera e propria trappola di fecondità », commenta Patrizia Farina, demografa dell’università di Milano Bicocca. Poi spiega: «Non è difficile capire. È da almeno trent’anni che le nascite continuano a calare, senza considerare che il vero ultimo baby boom è del 1964».
Il ragionamento è semplice: «Quei bambini sono arrivati all’età riproduttiva, e sono arrivati in pochi. La propensione a procreare non è cambiata, ma sono pochi quelli che procreano».
È una trappola dalla quale non è facile uscire. «Per metterci in pari dovremmo fare sette-otto figli per donna», dice ancora Patrizia Farina, e spiega che una soluzione concreta dovrebbe essere quella di politiche mirate ad aiutare quella quota della popolazione che può fare più figli. «In Italia si sta verificando il fenomeno contrario a quello che sta succedendo nel resto del mondo, ed è per questo che nel 2050 la popolazione del pianeta sfiorerà i dieci miliardi».
La demografa sottolinea come la trappola della fecondità abbia inevitabili effetti anche sull’indice di mortalità. Teniamo conto che nel 2017 i decessi sono stati 647 mila, ovvero 31 mila in più rispetto al 2016 (più 5,1%). In numeri percentuali possiamo dire che nel 2017 sono deceduti 10,7 individui ogni mille abitanti, contro i 10,1 deceduti nel 2016.
«È inevitabile che il saldo naturale della popolazione alla fine risulti negativo: siamo un Paes

il manifesto 9.2.18
Il nuovo muro di Israele aggrava lo scontro con Beirut
Israele/Libano. Tensione sempre più forte per l'avvio da parte di Israele della costruzione di muro lungo tutta la frontiera con il Libano. Beirut: quella barriera viola i nostri diritti territoriali. Resta aperta anche la disputa sul giacimento di gas sottomarino.
di Michele Giorgio


Non hanno convinto il Libano le rassicurazioni sulle intenzioni di Israele fatte dal Segretario di stato aggiunto David Satterfield che nei giorni scorsi ha incontrato le massime cariche del Paese dei Cedri affrontando proprio i contrasti sulla sovranità marittima e territoriale fra Tel Aviv e Beirut. «L’inviato statunitense –ha riferito un funzionario del governo libanese – ha avuto colloqui sulla costruzione del muro da parte di Israele e ha affermato che non vi è ragione di preoccuparsi e non c’è intenzione di una escalation». A Beirut non ne sono convinti, anzi. Pesano come un macigno le parole del ministro della difesa israeliano Lieberman che negli ultimi giorni a più riprese ha lanciato avvertimenti al Libano. Prima ha rivendicato una porzione del giacimento sottomarino di gas libanese, poi ha descritto lo scenario della prossima guerra. «Tutte le opzioni sono aperte e io non sono vincolato a nessuna posizione – ha avvertito, rivolgendosi ai cittadini israeliani – occorre prepararci a un intervento sul terreno…lo faremo con pieno dispiego della forza. Procederemo il più velocemente possibile». Quindi ha pronunciato la minaccia più diretta: «Se in Israele si andrà nei rifugi, allora nella prossima guerra vi andranno anche tutti gli abitanti di Beirut».
In Libano sono convinti che Israele stia preparando un attacco di terra. A inizio settimana il Consiglio superiore della Difesa, presieduto dal capo dello stato Michel Aoun, ha espresso appoggio a «tutte le forze militari affinché possano affrontare tutte le aggressioni militari sulla frontiera marittima e terrestre». Chiaro il riferimento al muro, l’ennesimo in questi anni, che Israele sta costruendo al confine. «Quel muro rappresenta una violazione della sovranità nazionale libanese e della risoluzione dell’Onu 1701 (che mise fine alla guerra del 2006, ndr)», ha scritto il Consiglio in un comunicato, aggiungendo di voler proseguire le iniziative a livello regionale ed internazionale» per impedire a Israele di terminare la barriera parallela alla “linea blu” (la linea di demarcazione tracciata dall’Onu nel giugno 2000) dal Mediterraneo al monte Jabal Sheikh e di «violare la Zona economica esclusiva» del Libano che si estende su circa 860 chilometri quadrati.
Il governo Netanyahu sostiene che la costruzione riguarda solo il versante meridionale della “blue line”, quindi il territorio israeliano, e ha lo scopo di «proteggere i civili» che vivono a ridosso del confine e di impedire che i combattenti del movimento sciita Hezbollah possano lanciare incursioni in Galilea. Aggiunge che un muro vero e proprio, fatto di cemento armato, sorgerà soltanto in alcuni punti, quelli dove si concentrano i centri abitati israeliani. Per Beirut invece il progetto ha lo scopo di preparare un ampio attacco militare. Inoltre, affermano i libanesi, Israele intende far rientrare sul versante meridionale della barriera alcune aree contese che si trovano a Naqura, Alma el-Chaab e Odeisse, facendo ciò che ha già realizzato in Cisgiordania dove ha incluso sul lato occidentale del muro le aree palestinesi di suo interesse.
Ed è sempre più motivo di tensione la questione del giacimento di gas sottomarino sulla quale due giorni fa è intervenuto anche il ministro dell’energia israeliano, Yuval Steinitz. Da un lato Steinitz ha parlato di «soluzione diplomatica» alla disputa e dall’altro ha avvertito che Beirut «non dovrebbe fare alcuna minaccia e, sicuramente, non infiltrarsi nelle nostre acque economiche». Altrimenti, ha aggiunto perentorio, la risposta di Israele «sarà molto severa, rapida e inequivocabile». Non ci sono dubbi, ha concluso, «Israele è la nazione più forte della regione e difenderemo le nostre acque economiche, le nostre piattaforme e i nostri impianti di gas»

Il Fatto 9.2.18
Inchieste, Bibi gioca la carta del perseguitato
Israele. La richiesta di incriminazione sarebbe vicina, Netanyahu se la prende con gli investigatori
di Roberta Zunini


Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e la moglie Sarah questa volta tremano davvero. La prossima settimana potrebbe arrivare la notizia che da almeno un anno la coppia tenta di scongiurare facendo leva sul lungo rapporto di collaborazione e amicizia fra il premier e il procuratore generale Avichai Mandelblit.
Non appena la stampa ha diffuso la notizia secondo cui la polizia potrebbe chiedere tra qualche giorno ai giudici di incriminare ufficialmente per corruzione il primo ministro, Bibi Netanyahu ha attaccato gli investigatori e il loro capo Roni Alscheich dicendosi, in un post su Facebook, “scioccato” per le sue affermazioni che ha definito “ridicole” e che “gettano un’ombra” sulle indagini stesse. L’opposizione contrattacca, il centrista Yair Lapid ha detto che le critiche alla polizia da parte di Netanyahu sono “un atto disperato”; Avi Gabbay (capo dei laburisti) ha affermato che il primo ministro “agisce come un criminale comune. Invece di chiedere una inchiesta rapida attacca la polizia minando la fiducia della gente nel sistema giudiziario”.
Tensione alle stelle e anche per il fedele Mandelblit, a questo punto, non sarà facile trovare escamotage per posticipare nuovamente la caduta dal piedistallo di Bibi e della impopolare first lady, detestata da buona parte degli israeliani anche di destra, tra i quali molti elettori del Likud (il partito conservatore di cui Netanyahu è il leader da tempo, ndr) per lo stile di vita sfarzoso, le angherie nei confronti dei collaboratori domestici e l’ossessione di apparire accanto al marito nei vertici internazionali.
Il premier è al centro di tre diverse inchieste: “caso 1000”, “caso 2000” e “caso 3000”. I poliziotti dell’Unità anticorruzione due giorni fa hanno tenuto una riunione riservata decisiva con l’ispettore generale, il generale Rosi Alsheich, che presenterà le sue raccomandazioni ai giudici sui casi “1000” e “2000”. Nel “caso 1000” il premier è sotto accusa per aver ricevuto regali per migliaia di shekels dal noto produttore di Hollywood, l’ israeliano Arnon Milchan. L’uomo, con un passato di agente segreto, fu aiutato da Netanyahu a ottenere la cittadinanza americana.
Dalle ricostruzioni degli investigatori sarebbe emerso che Milchan da anni mandi a casa Netanyahu casse dei più costosi champagne e centinaia di scatole di sigari pregiatissimi. Il premier si è giustificato sostenendo che “erano regali fra amici”. A smentire Bibi però è emersa nei giorni scorsi una testimonianza considerata attendibile: Sarah avrebbe chiesto continuamente e con insistenza alla segretaria di Milchan di far consegnare gli omaggi in scatole chiuse ermeticamente per evitare che ne venisse individuato il contenuto. Il “caso 2000” riguarda il tentativo di Netanyahu di far cambiare linea editoriale, a proprio favore, al quotidiano Yediot Ahronot in cambio di una manovra, illegale, al fine di danneggiare il quotidiano rivale Israel Hayom, diventato il più letto dagli israeliani. In cauda venenum, ovvero, il veleno sta nella coda: è “3000” l’indagine che però tiene più sulle spine il premier e i suoi fidi collaboratori.
Si tratta della vendita di sottomarini tedeschi Dolphins a Israele dietro pagamento di vere e proprie tangenti. Nel settembre 2017 la polizia arrestò a questo proposito l’ex capo dello staff del premier, David Sharan. L’inchiesta però continua a procedere a rilento nonostante la polizia sia riuscita a convincere Sharan a diventare collaboratore di giustizia.

Repubblica 9.2.18
Inchieste israeliane
È scontro aperto tra il capo della polizia e il premier Netanyahu
Scontro aperto fra il premier di Israele Benjamin Netanyahu e il capo della polizia Roni Alsheich


Due sere fa il generale si è riunito con i capi dell’Unità Antifrode: hanno deciso che la settimana prossima “raccomanderanno” al procuratore generale di incriminare il Netanyahu almeno in uno dei tre casi di possibile corruzione. Il generale Alsheich è comparso in tv e ha parlato a lungo delle indagini, senza entrare in particolari, ma ha aggiunto: «Forze molto potenti hanno provato a far spiare la nostra inchiesta».
Mercoledì, attorno a mezzanotte, Netanyahu ha postato un comento su Facebook: «È traumatizzante scoprire che il capo della polizia ha ripetuto insinuazioni false».

Repubblica 9.2.18
Triangolazioni internazionali
E ora nel Medio Oriente nasce una triplice alleanza
Tra Russia, Turchia e Iran. A Istanbul in programma una Yalta anti Usa. Erdogan attacca Assad
di Marco Ansaldo


ISTANBUL Una triangolazione di telefonate fra Mosca, Ankara e Teheran. All’apparecchio prima Vladimir Putin con Recep Tayyip Erdogan, poi quest’ultimo con Hassan Rohani. Anche così prende corpo la nuova triplice alleanza che sta ridisegnando gli schieramenti del Medio Oriente. E a suggellare l’unione si terrà a Istanbul, crocevia sempre più centrale dell’area, un vertice per discutere la crisi in Siria dopo quello di Sochi, sul Mar Nero, in data da stabilirsi presto. Sono gli Stati Uniti i primi a guardare con preoccupazione al nuovo sviluppo diplomatico, che non a caso arriva la mattina seguente i raid compiuti dalla Coalizione a guida americana nell’est della Siria, dove più di cento fra soldati e miliziani filo- governativi di Damasco sono rimasti uccisi. La triplice si pone in modo esplicito in chiave anti- Usa, anche se in passato i tre Paesi hanno sostenuto entità rivali fra loro.
Nel primo colloquio lo Zar russo e il Sultano turco hanno concordato di stabilire postazioni militari nella regione siriana di Idlib, discutendo anche della situazione umanitaria nella Ghouta orientale, il sobborgo a est di Damasco controllato dai ribelli e assediato dai governativi di Bashar el Assad. Nel secondo, Erdogan, attivissimo e a tutto campo - solo lunedì era in Vaticano dal Papa dopo l’intenzione di Donald Trump di riconoscere Gerusalemme come sola capitale di Israele, ha chiamato il leader iraniano esprimendo apprezzamento per il lavoro comune in Siria su sicurezza e anti terrorismo.
Il presidente turco, incontrando alcuni esponenti politici locali al Palazzo presidenziale, è poi tornato a definire Assad un « assassino » , e per questo non ci sono possibilità di riprendere i rapporti (un tempo erano amici) o di collaborare. « Di cosa dovremmo parlare con un assassino che ha ucciso un milione di suoi cittadini? » , si è chiesto Erdogan. « Per noi è importante il popolo della Siria, non Assad. E questo perché Assad ha diffuso il terrore, ha applicato un terrorismo di Stato che ha causato la morte di tante persone. E sta continuando a uccidere ».
Il Sultano ha infine spiegato la strategia di Ankara a proposito della criticata operazione militare “ Ramoscello d’ulivo”, scattata il 20 gennaio contro i combattenti curdi nell’enclave di Afrin, con centinaia di vittime, anche fra i civili. « Vogliamo restituire ai nostri fratelli siriani la loro terra. Non possiamo nascondere qui per sempre tre milioni e mezzo di persone».

Corriere 9.2.18
Svolta sugli ovociti: coltivati in vitro e pronti a procreare Gli scienziati divisi
Il Comitato di bioetica: non vanno fecondati
di Luigi Ripamonti


Per la prima volta ovociti umani sono stati coltivati in laboratorio a partire da tessuto prelevato dalla parte superficiale dell’ovaio, fino a raggiungere un grado di maturazione sufficiente per essere fecondati. A ottenere questo risultato è stato un team dell’Università di Edimburgo guidato da Evelyn Telfer. L’esperimento, che è stato pubblicato sulla rivista Human Molecular Reproduction , è il frutto di anni di lavoro, grazie al quale gli scienziati sono riusciti a replicare il procedimento sperimentato sui topi.
Dopo aver prelevato i campioni di tessuto ovarico i ricercatori hanno messo a punto un mix di sostanze capaci di farli crescere e maturare ( differenziarsi ) fino a diventare ovociti maturi. «Non era un obiettivo semplice da raggiungere perché gli ovociti sono le cellule complesse e molto grandi, le più grandi che ci siano a livello dei mammiferi» ha precisato il genetista Edoardo Boncinelli.
«Ora stiamo ottimizzando l’insieme di questi ingredienti e cercando di capire se gli ovociti sono del tutto sani. Aspettiamo anche l’approvazione per poter verificare che possano effettivamente essere fecondati» ha precisato Evelyn Telfer. «L’aspetto relativo al mix di sostanze usate nel terreno di coltura cellulare è il più interessante dal punto di vista scientifico — commenta Alberto Redi, direttore del Laboratorio di Biologia dello sviluppo dell’Università di Pavia—, perché significa che sono stati identificati elementi essenziali per far scattare i passaggi necessari ad arrivare alla cellula matura. Si tratta di una nuova e cruciale frontiera nella ricerca biomedica, cioè l’epigenetica, lo studio di ciò che è influenzare l’espressione dei geni, cioè condiziona il funzionamento del Dna».
Quanto alle applicazioni «pratiche» l’orizzonte teorico è il superamento della riserva ovarica , cioè del limite costituito dal numero di ovociti che una donna possiede dalla nascita. «Una volta che questi sono ovociti sono “finiti” termina anche la possibilità di fecondazione — ricorda Redi —. Ma se dal tessuto ovarico diventasse davvero possibile produrre ovociti fecondabili tale limite scomparirebbe». Ovvio che le prospettiva a cui si pensa non è quella di allungare arbitrariamente l’età riproduttiva, quanto piuttosto migliorare le terapie dell’infertilità. Per esempio si potrebbe evitare di prelevare ovuli per la fecondazione assistita, e quindi di sottoporre le donne a trattamenti ormonali per stimolare l’ovulazione.
Ma prospettive si potrebbero aprire anche per condizioni come la menopausa precoce o la preservazione della fertilità in donne che si devono sottoporre a chemioterapia. «Si potranno forse anche avere ovociti per la ricerca evitandone il commercio» ricorda Redi. Ovvio che si propongono anche interrogativi etici. «Usare ovociti creati in laboratorio sarebbe eticamente condannabile e scientificamente pericoloso se finalizzato alla procreazione — ha commentato il presidente vicario del Comitato nazionale di bioetica, Lorenzo D’Avack —. Accettabile sarebbe invece, un utilizzo a fini di cura di malattie». «Dobbiamo però mettere in conto che dal momento della scoperta a quello delle possibili applicazioni difficilmente trascorreranno meno di 20 anni» sottolinea Edoardo Boncinelli.

Repubblica 9.2.18
Inediti
Il vero terrore di Lovecraft: essere adulti
Un matrimonio fallimentare e la paura di diventare grande. Uno dei padri dell’horror svela nelle lettere il proprio volto più nascosto
Il libro L’età adulta è l’inferno, di H.P. Lovecraft
di Michele Mari


Nel corso di una vita appartata e interamente rivolta alla letteratura Howard Phillips Lovecraft si allontanò da Providence solo in occasione del suo inaspettato matrimonio, che per poco più di due anni lo vide trasferito a New York.
Inaspettato non solo perché fino ad allora lo scrittore aveva ampiamente teorizzato la propria impermeabilità all’amore («Non ho mai provato il minimo interesse per le romanticherie e gli affetti; cos’è mai una ninfa, per quanto belloccia? Carbonio, idrogeno, ossigeno, azoto, una presa o due di fosforo e altri elementi — tutto destinato a corrompersi ben presto»), ma anche perché, misogino, antisemita e xenofobo, fu portato all’altare da una ebrea ucraina, la modista Sonia Haft Greene.
All’incongrua vicenda è dedicato un prezioso libriccino, L’età adulta è l’inferno (L’orma), in cui il curatore Marco Peano, dal mare magnum dell’epistolario lovecraftiano (ventimila lettere rimaste di centomila scritte), ha trascelto alcune testimonianze d’autore: le quali danno però l’impressione di girare attorno a un vuoto, visto che proprio le centinaia di missive a Sonia furono da lei bruciate dopo la separazione.
Donna attiva e volitiva, di sette anni maggiore di Lovecraft, Sonia dovette pensare di averlo tirato fuori dal bozzolo, ma si ricredette presto quando prese atto che per lui il matrimonio era sempre stato poco più di una situazione epistolare. In questo senso è simbolico che i due sposi abbiano passato la prima notte di nozze a ribattere a macchina un racconto di cui Lovecraft aveva perduto il dattiloscritto da consegnare all’editore: Sonia, si compiacque lui, «possiede del resto il raro dono di saper decifrare gli sciatti scarabocchi dei miei gretti manoscritti».
Non solo: perché se è vero che Lovecraft accettò di trasferirsi a New York per sposarsi, è anche vero che si sposò per trasferirsi («Cara zia Lillian, l’incredibile è realtà […]. Il fatto ha preso corpo con certezza solo quando la “concreta possibilità” di trasferirsi e sistemarsi qui si è imposta la scorsa settimana in tutta la sua fredda, pragmatica e incontrovertibile insistenza»), salvo struggersi di nostalgia per la sua Providence una volta passata la prima impressione di New York, figlia di un’immagine mentale che è già una pagina lovecraftiana: «Ho visto per la prima volta il ciclopico profilo di New York. Una visione mistica nella luce dorata del tardo pomeriggio; un oggetto di sogno di un grigio pallido, delineato contro un fumo perlaceo. La città e il cielo erano così simili che nessuno avrebbe potuto dire con certezza che lì ci fosse davvero una città… le sue eleganti torri e i pinnacoli sembravano mere illusioni».
Incominciano così le recriminazioni: mettendo al di sopra di tutto il proprio «egoismo estetico» Lovecraft si sente privo della giusta «dose di pace e libertà per potersi dedicare alla creazione letteraria», e come si era lasciato sposare da Sonia, così spinge le cose fino a farsi abbandonare (sono convinto che quelle lettere bruciate dovevano costituire un capolavoro di infingardaggine e di manipolazione). Non molto dopo essere tornato a Providence può affermare: «Io non posso vivere fuori dal clima provinciale del New England, sonnolento e immerso nella Storia; la mia sfortunata compagna di viaggio giudicava asfissiante una simile prospettiva, aggravata per di più da difficoltà economiche.
Tentare di vivere a New York mi ha portato quasi alla pazzia; il pensiero di trasferirsi nel Rhode Island gettava la mia ex signora nella disperazione. Ciascuno di noi, è ormai chiaro, costituiva parte integrante e imprescindibile di un ambiente e di un ciclo vitale completamente diversi […].
L’olio torna all’olio e l’acqua all’acqua!» Anche nei confronti degli amici e dei congiunti, del resto, Lovecraft tese sempre a sostituire il rapporto reale con il rapporto epistolare, ben più congeniale al suo carattere, come avrebbe detto il Vasari, «fantastico ed astratto»: e anche la sua abitudine di firmarsi con pseudonimi sempre diversi mi sembra, più che un tratto umoristico, la strategia di chi vuole sottrarsi al mondo come individuo biografico.
La lettera più bella della raccolta rimane così quella indirizzata nel 1920 al Bellomo, un club epistolare con pochi iscritti: qui il grande scrittore rievoca la propria infanzia in termini che costituiscono una poetica («l’età adulta è l’inferno», ovvero il fantastico come regressione): «Quand’ero molto piccolo il mio regno era il lotto di terra accanto alla mia casa natale […]. Il mio villaggio si chiamava New Anvik, nome ispirato all’insediamento di Anvik in Alaska, che conoscevo grazie al libro per ragazzi Snow-Shoes and Ledges di Kirk Munroe […]. Via via che gli anni volavano, i miei passatempi si facevano sempre più dignitosi; ma in alcun modo potevo abbandonare New Anvik. […] Era il mio capolavoro estetico, dacché, oltre a un piccolo villaggio di capanne dipinte […], c’era un parco, interamente frutto del mio lavoro […].
Sebbene indolente di natura, non ero mai troppo stanco per occuparmi dei miei possedimenti […]. Poi, con mio grande orrore, mi accorsi che stavo diventando troppo vecchio per un tale piacere. Il Tempo, impietoso, aveva allungato su di me i suoi artigli, e avevo diciassette anni. I ragazzi grandi non giocano con le casette-giocattolo e coi giardini artificiali, e così fui costretto a cedere il mio mondo a un ragazzo più giovane […] E da allora non ho più affondato le mani nella terra o scavato strade e sentieri. Troppa malinconia portano con sé tali attività, dal momento che la fuggevole gioia dell’infanzia non può più essere ricatturata.
L’età adulta è l’inferno».
Il libro L’età adulta è l’inferno di H.P. Lovecraft (L’orma editore, pagg. 64, euro 5, a cura di Marco Peano)