La Stampa 7.2.18
Grande Guerra, così la Marina salvò Venezia
A
cent’anni dalla beffa di Buccari, l’ammiraglio Girardelli rivendica il
ruolo delle forze navali italiane nell’organizzare la difesa e ridare
speranza al Paese dopo il disastro di Caporetto
di Fabio Pozzo
Dopo
la rottura del fronte a Caporetto, fu la Regia Marina a ridare speranza
ai soldati e alla popolazione italiani. Nella notte tra il 10 e l’11
febbraio di cent’anni fa un commando con tre motoscafi armati entrò
nella baia di Buccari, poco lontana da Fiume, per silurare le navi
nemiche in rada. Sulla via del ritorno ci fu il lancio di tre bottiglie
con un messaggio di Gabriele d’Annunzio, presente a bordo di uno dei
Mas, che si beffava della «cautissima flotta austriaca…». Era stato
osato l’inosabile e l’eco di quell’impresa fu notevole.
Ammiraglio
Valter Girardelli, Capo di Stato maggiore della Marina Militare
italiana, spesso si pensa alla Grande Guerra come a un conflitto di
terra, di assalti all’arma bianca e di logoramento nelle trincee. Invece
ci fu anche il mare.
«C’è un nodo fondamentale su cui gli storici
si trovano d’accordo: gli Imperi Centrali arrivano alla sconfitta per
via del collasso economico degli stessi. E alla base di questa débâcle
economica c’è il dominio dei mari da parte dei Paesi dell’Intesa, Italia
compresa. Proprio in questo contesto, quello del potere marittimo, la
Regia Marina dà il suo contributo assicurando la protezione delle linee
logistiche e di rifornimento nazionali e negando l’uso del mare per gli
approvvigionamenti degli avversari. Vengono portate a termine operazioni
come la difesa di Venezia e vengono impiegati unità e principi
innovativi per l’epoca, come i mezzi d’assalto, l’Aviazione navale e la
Fanteria di Marina. Senza queste componenti la vittoria finale sarebbe
stata impossibile».
Altre innovazioni?
«Si doveva far
giungere a destinazione, a qualunque costo, i piroscafi provenienti da
Gibilterra e da Suez che trasportavano le materie prime e i prodotti
finiti, indispensabili non solo ai soldati, ma soprattutto alla nazione.
Fu quindi necessario organizzare un servizio nuovo: i piroscafi furono
armati e militarizzati; furono prescritte le rotte di sicurezza e fu
creato, per la prima volta in tempi moderni, un sistema di convogli
difesi da una scorta ravvicinata di navi da guerra. Il sistema da noi
proposto fu poi adottato anche dagli alleati e riconosciuto
efficacissimo. Nel complesso del conflitto, la Marina italiana portò a
termine 86 mila missioni, per oltre 25 milioni di miglia di navigazione:
l’equivalente di milleduecento volte il giro del mondo intorno
all’Equatore».
La missione: salvare Venezia.
«Nel novembre
del 1917, dopo la rottura del fronte a Caporetto, la Marina si attestò
sul Piave. C’era da difendere Venezia a tutti i costi: se fosse caduta,
la stessa Marina avrebbe dovuto abbandonare tutto l’Alto Adriatico, con
conseguenze disastrose per la condotta della guerra, non solo marittima.
Furono costituiti alcuni battaglioni di marinai fucilieri (gli
antesignani dell’attuale Brigata San Marco) e lungo il Piave venne
schierato un raggruppamento di pezzi di grosso calibro, integrato da
pontoni armati con le artiglierie. L’offensiva nemica si accanì per mesi
contro le nostre linee, ma i marinai ressero l’urto, proteggendo il
fianco a mare della Terza Armata e salvando così Venezia».
Passando alle azioni offensive, che ruolo svolsero i Mas?
«La
Marina, grazie alla visione strategica dell’ammiraglio Paolo Thaon di
Revel, improntò il conflitto a guerriglia navale. E i Mas, motoscafi
veloci, di poca immersione, armati con siluri e mitragliere, studiati
per essere costruiti in serie e per molteplici impieghi, furono
determinanti. Nel dicembre 1917, due di questi mezzi, sotto il comando
di Luigi Rizzo, riuscirono a penetrare nel porto di Trieste, silurando e
affondando la corazzata Wien e costringendo le rimanenti unità a
rifugiarsi a Pola. Due mesi dopo, la beffa di Buccari. Nel giugno ’18,
poi, nei pressi dell’isola di Premuda, fu intercettata la squadra da
battaglia austriaca diretta a forzare il blocco del canale d’Otranto e
un Mas, sempre con Rizzo, affondò la corazzata Szent Istvan. Da non
dimenticare l’affondamento della corazzata Viribus Unitis, il 1°
novembre ’18 nella base di Pola, a opera della torpedine semovente
(denominata “mignatta”), antesignana dei mezzi d’assalto, condotta da
Paolucci e Rossetti».
La Grande Guerra fu anche disperazione, per eserciti e popolazioni. La Marina svolse azioni umanitarie?
«Fu
impegnata in azioni di protezione civile, come la salvaguardia del
patrimonio artistico di Venezia e di altre città, evacuando opere d’arte
e mettendo in sicurezza monumenti e beni architettonici nei territori
veneti sottoposti all’offesa nemica. Un’altra attività di notevole
valenza sociale fu l’accoglienza degli orfani e dei ragazzi segnati da
un’infanzia difficile su navi adibite ad asilo, che assicurarono
assistenza, educazione e formazione. E ricordo anche il salvataggio
dell’esercito serbo nell’inverno 1915-1916, che vide il soccorso via
mare, dai porti albanesi, di quasi trecentomila fra soldati e profughi
civili serbi, prigionieri austro-ungarici, e di migliaia di animali a
supporto delle truppe».