La Stampa 5.2.18
Perché nasce e cresce la paura xenofoba
di Ferdinando Camon
Accusare
il giovane di Macerata di aver fatto una strage con finalità di
razzismo si può, ma dire che Macerata è razzista è un’accusa immeritata a
una nobile città, e dire che il razzismo sta crescendo in Italia è
sbagliato.
Macerata non è una città razzista, l’Italia non è un
Paese razzista, e il popolo italiano non è un popolo razzista. A ridosso
di certi eventi di cronaca nera, rapine, furti, omicidi, che chiamano
in causa immigrati (e la storia della giovane Pamela fatta a pezzi da
uno spacciatore è particolarmente urtante) possono esserci reazioni
anche violente, anche diffuse, ma questo non è razzismo, questa è
xenofobia. Che è un’altra cosa, troppo spesso confusa col razzismo. La
xenofobia è la paura dello straniero, degli stranieri. Perché il loro
arrivo non è programmato, perché sono tanti, perché sono di difficile o
impossibile integrazione, perché hanno bisogno di tutto, e noi facciamo
già fatica a far fronte ai nostri bisogni. Perché la loro civiltà è
troppo diversa dalla nostra, al limite dell’incompatibilità. In
definitiva, perché sono un problema. Nessun governo, di destra o di
sinistra, può trattare l’immigrazione se non come un problema, difficile
non solo da risolvere, ma perfino da impostare.
La xenofobia
obbedisce a un istinto di difesa, mentre il razzismo obbedisce a un
istinto di offesa. E poi, francamente, il razzismo parte da un disprezzo
delle razze altrui e da un orgoglio della propria razza, simboleggiato
nelle insegne e nelle bandiere, il che per noi italiani non si verifica
pressoché mai. Anche nei movimenti e nei gruppi più spinti, l’orgoglio
per la propria storia vien sostituito dall’orgoglio per una storia
altrui, che si vorrebbe fosse stata la nostra ma non lo fu. I gruppi e i
movimenti che si proclamano razzisti si fregiano di svastiche e insegne
naziste, perché sentono il nazismo come superiore e il fascismo come
inferiore. Questo giovane di Macerata s’è avvolto nella bandiera
italiana, e faceva il saluto fascista, ma sulla fronte s’era tatuato la
«zanna di lupo», un simbolo proto-nazista. La fede è quella. E anche la
cultura: in casa gli hanno trovato una copia del «Mein Kampf», ma su
questo libro bisogna intendersi. Passa per essere il primo e assoluto
proclama aggressivo e violento, in realtà è un perfetto testo
fobico-ossessivo, pieno in ogni riga di paura degli altri: l’autore è
spaventato dalla strapotenza di Francia e Inghilterra, uscite vittoriose
dalla guerra, e predica contro di loro una guerra preventiva e
difensiva. Non è raro trovare il «Mein Kampf» nelle case degli xenofobi.
Quando
avviene qualche spedizione punitiva contro gli stranieri in casa
nostra, come il raid armato di questo giovane attraverso Macerata,
succede sempre che al raid seguano commenti entusiasti su Facebook e sui
social. Anche stavolta è così. Il commento più benigno dice: «Non hai
sbagliato niente, a parte la mira». Il tono di questi commenti ci fa
temere, e dichiarare, che si tratti di commenti razzisti, e che dunque
il razzismo sia in aumento. Non è così. Quella è l’area della xenofobia,
sempre all’erta, che aspetta nell’ombra l’occasione per scatenarsi, ma
va a rimorchio degli eventi, non li precede e non li fomenta, come
invece fa il razzismo. Certo, dalla xenofobia, se dura a lungo e invece
di calare cresce, può nascere il razzismo. Ma sarà un salto qualitativo.
E non dipenderà dalla tattica di questo o quel partito di destra,
nessuno ha interesse a fomentare il razzismo, ma dalla capacità dei
governi di tenere basso il problema sociale dell’immigrazione.