La Stampa 28.2.18
Libri, a Torino un Salone per tutti i gusti
di Maurizio Assalto
C’è
tutto, di più - come sempre, più di sempre - nel 31° Salone del Libro
di Torino presentato ieri al Museo del Cinema. Un cartellone
ricchissimo, per tutti i gusti, e ancora in divenire. Ma c’era anche un
convitato di pietra, una parola di tre sillabe che non è mai stata
pronunciata in pubblico, e che anzi in privato suscitava reazioni un
poco infastidite: Milano.
Gli organizzatori hanno ragione, il
Salone tira dritto con i suoi programmi e di questo desidera che si
parli; ma, a otto giorni dall’inaugurazione del competitor milanese
Tempo di Libri, il retropensiero è inevitabile. E, a ben vedere, è
suggerito dalla mole stessa degli eventi sciorinati alla Mole.
Ci
sono, innanzitutto, i grandi gruppi editoriali che l’anno scorso avevano
disertato il Lingotto, e che ora tornano avendo compreso l’errore. Ci
sono Javier Cercas e Herta Müller, Almudena Grandes e Eduard Limonov,
Alice Sebold e Bernardo Bertolucci, Fernando Aramburu e il quasi
centenario Edgar Morin. Ci sono premi Nobel e premi Oscar, la Francia
Paese ospite, il cinquantennale del Sessantotto e il quarantennale di
Aldo Moro, Giulio Regeni in attesa di verità e naturalmente MeToo e
perfino Topolino che spegne quest’anno le novanta candeline. Un
concentrato della cultura alta e pop, del mondo presente, passato e
futuro. E poi le collaborazioni: dalla Buchmesse di Francoforte alla
Fiera del Libro per Ragazzi di Bologna, a Lucca Comics, al Premio
Strega, al Mondello. Una specie di chiamata a raccolta delle eccellenze
culturali italiane e internazionali, per confermare il successo
dell’ultima edizione e giocarsi le proprie carte nella difficile partita
che si aprirà dopo, a bocce ferme, quando entrambi i saloni concorrenti
saranno archiviati e verrà, fatalmente, il momento dei confronti.
Perché
se l’anno scorso era stata per Torino l’edizione dell’orgoglio ferito
dal maldestro tentativo dei grandi editori di scippare il Salone per
portarlo a Milano, risoltosi in uno smacco per gli scissionisti e nel
trionfo dei «lealisti», la vera battaglia sarà quella che andrà in scena
tra marzo e maggio tra le due capitali del Nord-Ovest. Con Torino forte
di una tradizione rodata e di un consenso di pubblico consolidato, ma
gravata da problemi finanziari che rischiano di determinarne
l’implosione, e Milano che ri-nasce (dopo il colpo a vuoto del 2017) in
altra sede e con altra macchina organizzativa, e soprattutto senza buchi
di bilancio e senza dipendere da contributi pubblici.
L’anno
prossimo avremo ancora due fiere del libro? Oppure i saloni rivali
diversificheranno in parte i loro contenuti? O magari, come qualcuno
torna a sussurrare, si andrà verso una riunificazione? E se sì, dove? In
una sede unica, o articolata su due regioni? O una volta qua e una
volta là? Sono interrogativi che per ora vengono respinti, a Torino come
a Milano, e però difficilmente si potranno eludere in un prossimo
futuro. Il Salone del Libro sa fare benissimo i suoi programmi, ma
perché possa continuare a farli è necessario che il sistema-città nel
suo complesso - politica, forze culturali e imprenditoriali - facciano
la loro parte.