La Stampa 1.2.18
Orlando: serviva più pluralismo ma la scissione Pd non è la strada
Il ministro: “LeU non è una soluzione, avvantaggia il centrodestra”
intervista di Alessandra Costante
«La
scissione non è la strada da seguire, si deve guardare avanti», ma una
discussione profonda nel partito il giorno dopo il voto quella sì, sarà
necessaria per salvaguardare «la vita democratica interna del Pd, unica e
importante». Amareggiato, ma deciso a non lasciare il Pd nelle sole
mani di Matteo Renzi, Andrea Orlando parla per la prima volta dopo la
notte dello «scontro» sulla composizione delle liste: «Doveva essere
tenuto maggiormente conto del pluralismo interno, anche per il bene del
Pd», spiega.
Il punto di partenza sono le liste: la minoranza interna è stata decimata. Deluso?
«Non
la metto sul piano della delusione. La questione è che sulla
composizione delle liste c’è stato uno scontro, tra fedeltà e
pluralismo. A mio avviso nell’interesse del partito si doveva tenere più
conto del pluralismo».
E ora che succede tra gli orlandiani?
«Ora
è il momento della campagna elettorale, che è di grande importanza. In
palio ci sono cose fondamentali per il nostro Paese, come la permanenza
dell’Italia nell’Unione europea. Rispetto a questa sfida passano in
secondo piano gli errori fatti e la discussione interna».
Comunque vadano le elezioni, il 5 marzo aprirete il confronto nel Pd?
«Rispetto
a chi fa le liste truccando il sistema, il Pd ha una storia. È l’unica
forza politica che ha una sua vita democratica interna e siccome è così
unica e importante, non possiamo nascondere che ci sono crepe. Non sarà
un tema che riguarda tutto il Paese, m comunque è un tema che va
affrontato».
Qualcuno ventila l’ipotesi un’altra scissione dopo le elezioni. Il rischio esiste davvero?
«Lo
scenario attuale dimostra che le scissioni non servono. Liberi e Uguali
non costituisce una soluzione ai problemi. Mi sembra che il risultato
di quella scissione sia essenzialmente un Pd più debole e meno plurale e
un centrodestra avvantaggiato. La via della scissione non è quella da
percorrere».
Lei è ligure, ma non sarà candidato in Liguria…
«Io
avevo dato al partito la disponibilità a mettere in campo la mia
esperienza di governo. Mi ero messo a disposizione anche per correre in
un uninominale potenzialmente perso in Liguria. Sono state fatte scelte
diverse, credo che si sia optato per opzioni ritenute più competitive.
Non ho potuto che prenderne atto».
Dopo quello che è accaduto nel
Pd negli ultimi giorni, anche lei è tra chi si stupisce per l’assist di
Prodi alla coalizione di centrosinistra?
«Non capisco quale sia la novità. Prodi è sempre stato contro la scissione e a favore della coalizione di centrosinistra».
Nel
Pd c’è malumore, qualcuno pensa che come capo della minoranza interna
non avrebbe dovuto stare nel governo. Insomma, che non si può essere di
lotta e di governo…
«Emiliano non è al governo e non mi sembra che
abbia tutti questi nomi in lista. Per altro verso, persone molto vicine
a ministri renziani sono state escluse. La verità è che questa è la
conseguenza non di remissività mia o di altri, ma del fatto che non ci
sono stati criteri chiari e poi vere trattative. Ci sono state garantite
delle cose che alle quattro del mattino di sabato abbiamo scoperto non
esserci. Forse in Liguria non ha aiutato il fatto che il segretario
regionale fosse contemporaneamente arbitro e giocatore. E ha anche
pesato che il regionale abbia rimesso tutto alla segreteria nazionale.
In regioni dove è stata fatta un’istruttoria più adeguata, si è tenuto
maggiormente conto degli equilibri anche se comunque la situazione non è
soddisfacente. Detto tutto ciò, in Liguria le liste del Pd sono molto
meglio delle altre».