Il Fatto 1.2.18
Boschi tedesca: un po’ Sissi, un po’ Fantozzi
di Daniela Ranieri
Ha
ragione chi dice che critichiamo la Boschi perché la invidiamo.
Invidiamo la formidabile faccia tosta con cui si ripresenta in pubblico
dopo che è stata beccata a mettere il naso, da ministra in vari sensi
incompetente, negli affari della banca del padre e, dopo averla vista a
Bolzano, dove ha concesso la sua presenza agli altoatesini che il 4
marzo la sottrarranno alla Patria, invidiamo la totale mancanza di
pudore dietro cui cela la sua insipienza, il che è, per certe
professioni, la chiave per il successo.
L’ultimo diorama la ritrae
in conferenza stampa tra i monti di Bolzano, dove è stata trasportata
in camion-frigo dentro un collegio uninominale sicuro e colà salata e
pepata secondo la ricetta tradizionale altoatesina, a far sponsor di sé:
“Il mio rapporto con questo territorio per fortuna è già di amore e
passione, diciamo così, per questa comunità, questa terra che ho
imparato a conoscere in questi anni”. Fingendosi praticamente
sudtirolese per parte di madre (ché per parte di padre è legata agli
orafi aretini), ha poi tolto ogni dubbio agli astanti, sul momento
indotti a credere che il rapporto d’amore si fosse instaurato per merito
di un’alacre attività legislativa a favore delle minoranze linguistiche
e delle autonomie speciali: “…essendo” questa terra “diventata anche la
destinazione diciamo delle mie vacanze”.
Del resto la Mari – che
su questa base poteva candidarsi a Formentera – ha talmente a cuore
Bolzano, che è anche capolista nei collegi di Cremona-Mantova,
Guidonia-Velletri, Marsala-Bagheria, Messina-Enna, Ragusa-Siracusa. Indi
la Boschi, in questa avventura dal Manzanarre al Reno vivamente
sponsorizzata da Reinhold Messner come un’acqua di sorgente, ha
candidamente ammesso: “Non parlo tedesco purtroppo, se non qualche
parola, ma sicuramente mi impegnerò a migliorare diciamo così la mia
conoscenza del tedesco”. Quando uno è modesto. Nonostante parli così
bene l’italiano e abbia appena finito di tradurre la Critica della
ragion pura di Kant dal tedesco all’aretino, Mariaele, al contrario del
mentore Matteo, non si atteggia a poliglotta. Anche se conoscere la
seconda lingua in terra altoatesina è una mancanza trascurabile (tipo
essere celiaci e simultaneamente candidati a Gragnano), nel Pd locale
giurano di averla sentita chiaramente dire “speck, strudel, zelten” e
che conosce la ricetta della torta di mele. “Per fortuna”, ha aggiunto
la principessa Sissi-Arezzo di Laterina, “possiamo affrontare anche in
italiano la campagna elettorale perché tutti i nostri concittadini
parlano perfettamente italiano”, bontà sua.
Qui è l’invidia a
parlare perché in realtà l’eroina dei due mondi ha parlato tedesco
eccome, sissignore, ad ottobre scorso, all’inaugurazione di un parco di
start-up a Bolzano, anche se nel video pubblicato sul fattoquotidiano.it
più che Rosa Luxemburg sembra il professor Kranz di Paolo Villaggio (“E
atesso viene io, a lei non piace qvello che faccio…”). Tanto candore
non deve indurci a tenerezza. La storia italiana è piena di
provincialotti che hanno finto di masticare le lingue per abbindolare un
popolo appestato dalla bassa scolarizzazione e portare a casa mediocri
photo opportunity da gente di mondo. Onore alla sfacciataggine da
cinepanettone di B., che a Camp David se ne uscì: “Ai consider de flag
ov Iunait (United, ndr) Steits nos (not, ndr) onli a flag ov a cauntri
bas (but, ndr) a flag ov fridom ev (and, ndr) dimocrasi”, al che persino
Bush, con quella faccia da capra demente, lo dileggiò: “Il suo inglese è
ottimo!”. E l’aitante Rutelli, che da ministro per i beni culturali
consegnò ai posteri il video in cui bela: “Pliz visit the uebsait, bat
pliz visit Itali ”. E Franceschini, ministro della Cultura a insaputa
della stessa, che lanciò il sito “Very Bello” per dire quanto siamo
internescional. Per tornare, ancora, a Renzi, che nel 2014 al Digital
Venice si produsse in un agghiacciante intervento in googlish di 3
minuti di puro delirio fonetico, tutto ruotante su Meucci inventore del
telefono e “very good italian”, “but it olzo a terribol misteri”,
poveraccio.
Così la Boschi, con la succulenta anteprima di “Es ist
schön, wieder in Bozen zu sein” (È bello tornare a Bolzano), che nelle
sue intenzioni doveva riecheggiare l’“Ich bin ein Berliner” di J. F.
Kennedy, si conferma della più vecchia, più cialtrona e più italica
politica la perfetta continuazione con altri mezzi.