giovedì 1 febbraio 2018

La Stampa 1.2.18
Il Novecento di Nicola Chiaromonte
di Bruno Quaranta


Occupato com’è a misurare le sue forze su quelle dei politici e dei potenti, e a non dire che le verità opportune, come farà l’intellettuale a calcolare l’effetto incalcolabile di una semplice verità detta chiara e tonda?».
È la riflessione, d’intatta attualità, formulata nel 1957, sulle colonne di Tempo presente, la rivista diretta con Ignazio Silone, da Nicola Chiaromonte. Fra gli interpreti della vita come un affare di coscienza, non subordinata, la coscienza, a qualsivoglia sirena, ideologica o confessionale, il pensatore lucano riappare nella biografia curatissima di Cesare Panizza (Donzelli, pp. 321, € 29, presentazione di Paolo Marzotto, prefazione di Paolo Soddu).
Nemo propheta in patria, Nicola Chiaromonte (1905-1972). Ma soprattutto, preferibilmente, un intellettuale cosmopolita, a suo agio fuori di casa, oltre i confini. In forza, anche, del tempo toccatogli in sorte. E così, aderente a Giustizia e Libertà, fautore di un socialismo libertario, più che liberale, andò esule a Parigi. Quindi combattè in Spagna, accanto a Malraux, nella sua squadriglia di aviatori (Malraux, ovvero il «demone dell’azione», a cui ispirò lo Scali di L’Espoir). Rifugiandosi, scoppiata la seconda guerra mondiale, a New York, dove risalterà in un cenacolo di menti quali Mary McCarthy (che lo fece protagonista del racconto L’oasi), Hannah Arendt, John Berriman, Robert Lowell...
Confrère tra i confrères di Nicola Chiaromonte, Albert Camus, conosciuto ad Algeri nel 1941, ritrovato a New York nel 1946, condividendone l’idea di engagement: «Vivere il nichilismo - la possibilità che niente avesse senso e tutto fosse permesso - e insieme combatterlo: il più semplice atto di vita è infatti un atto di affermazione». Tornato in Italia dopo la guerra, Chiaromonte collaborò anche al Mondo di Mario Pannunzio. Tra un articolo e un saggio, tra un settimanale e una rivista, meditando sull’irredimibilità degli italiani, per i quali «non c’è emergenza per cui sia lecito perdere di vista i valori della vita quotidiana. Dal far soldi al fantasticare...». Testimone integerrimo di una mai arginata questione morale.