La Stampa 19.2.18
“Ancora troppi in difficoltà. La rabbia sociale favorisce politiche contro la crescita”
L’economista Vecchi: per alcuni una crisi peggiore del ’29
di A. Bar.
Secondo
l’ultima rilevazione Istat le persone in condizione di povertà assoluta
in Italia sono circa otto su cento. Fra gli economisti in questi mesi
si dibatte se dopo l’uscita dalla doppia crisi del 2008 e del 2012
l’aumento si sia arrestato o meno. L’indice di Gini misurato dalla Banca
d’Italia ci dice che il livello di diseguaglianze negli ultimi
vent’anni è rimasto sostanzialmente stabile, anche se resta molto più
alto di quello di inizio anni novanta. Giovanni Vecchi è professore
all’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, consulente della Banca
Mondiale e autore di più saggi sul benessere degli italiani. «La
situazione delle persone con un reddito sotto la media è preoccupante, e
lo si vede anche dalla piega che ha preso il dibattito pubblico».
Perché?
«Lasciamo
un attimo da parte se siano o meno aumentate di molto le diseguaglianze
rispetto a vent’anni fa. In alcuni momenti è meglio salire sulla
montagna e guardare i contorni della foresta piuttosto che osservare la
forma dei tronchi».
Cosa si vede dalla cima della montagna?
«Il
numero di persone in condizione di povertà assoluta in Italia è
aumentato come non avveniva da decenni. La grande recessione ha avuto
un’intensità superiore e prodotto effetti più persistenti della grande
depressione del 1929. Fino a metà degli Anni Ottanta le disuguaglianze
sono scese, poi hanno ripreso a salire».
Si stava meglio prima dell’euro?
«No,
non c’è spazio per la nostalgia. Gli italiani stanno meglio di
vent’anni fa e gli indicatori di salute sono in crescita. Il problema è
che siamo complessivamente più vulnerabili e con una più bassa capacità
di reagire agli eventi negativi. Inoltre una fetta di italiani è rimasta
fuori da questi miglioramenti: basta farsi un giro in certi grandi
ospedali del Sud».
Il governo ha introdotto il reddito di
inclusione, il M5S vuole quello di cittadinanza. La politica ha compreso
il problema. O no?
«Alla buon’ora. Ciò che mi stupisce del
dibattito italiano è la tendenza a sottovalutare la rilevanza di
fenomeni come questi, anche perché se qui c’è una cosa che non funziona
sono le scorciatoie. Bisogna valorizzare le risorse, aprire le porte,
investire in ricerca. Ciò che mi preoccupa è l’idea che qualcuno si
convinca che i problemi della complessità si possano risolvere con
ricette semplici».
Ad esempio?
«Quando un Paese smette di
crescere per un periodo troppo lungo - dieci o vent’anni - la gente
inizia ad aver paura e chiede soluzioni che vanno nella direzione
opposta a un maggior benessere. È questo che ci deve preoccupare».