venerdì 16 febbraio 2018

La Stampa 16.2.18
La finzione della campagna elettorale
di Giovanni Orsina


Sul palcoscenico il tempo cammina a un passo diverso da quello che ha nella vita reale. Sbaglieremmo, allora, se ci stupissimo o irritassimo perché corre troppo in fretta, o al contrario non passa mai. La decisione di Silvio Berlusconi di firmare da Bruno Vespa l’«Impegno con gli italiani» nelle stesse identiche modalità in cui diciassette anni fa presentò il «Contratto con gli italiani» dev’essere interpretata, appunto, come una trovata da palcoscenico: il prevedibilissimo colpo a sorpresa d’un vecchio commediante tanto esperto e scanzonato quanto, da anni ormai, povero d’idee. Un tormentone, insomma. Che, come tutti i tormentoni, sarà giudicato diversamente a seconda che il vecchio attore piaccia ancora o no: chi continua ad apprezzarlo se ne sentirà rassicurato, mentre chi detesta l’uno troverà insopportabile l’altro.
Quest’ultima pièce berlusconiana, tuttavia, è pure la spia d’un problema più generale: quello di una campagna elettorale che dà sempre più l’impressione di essersi ridotta quasi esclusivamente a una rappresentazione.
Collegata alla realtà, tutt’al più, da qualche fragile filo di ragnatela. Abbiamo chiesto a gran voce alle forze politiche di avanzare delle proposte concrete, e quelle l’hanno fatto. I giornali le hanno guardate da vicino, allora, scoprendo in molti casi che tanto concrete poi non erano. Ma anche al di là della loro maggiore o minore plausibilità, i dettagli di quei programmi, in fin dei conti, non paiono interessare proprio a nessuno.
Un po’ perché quelli che li hanno presentati sono considerati personalmente poco credibili. Un po’ perché, data l’attuale distribuzione dei pesi elettorali, e in regime di proporzionale, chissà se saranno mai chiamati a risponderne. E un po’, infine, perché si dubita che la politica nazionale sappia davvero governare i complicatissimi fenomeni globali - le migrazioni, l’euro - che pure incidono sulla vita quotidiana degli italiani. Quel che rimane, gli ultimi fili di ragnatela che ancora tengono la rappresentazione unita alla realtà, sono delle sensazioni vaghe, delle generiche direzioni di marcia. Per chi pensa di poterlo votare, allora, Berlusconi è l’usato sicuro che cercherà di non alzare le tasse e di creare lavoro. E poco importa se recita da vent’anni lo stesso sketch, e se nel dettaglio le sue promesse non sono realizzabili. Ma un discorso non troppo dissimile potrebbe farsi in fondo, dove più, dove meno, anche per gli altri concorrenti in lizza.
Sarà sul filo delle rappresentazioni e delle sensazioni, con ogni probabilità, che si giocherà lo scontro fra la coalizione di destra e il Movimento 5 stelle nei collegi uninominali dell’Italia meridionale. Scontro sul quale si concentra ora l’attenzione degli osservatori, poiché si pensa che possano dipenderne gli equilibri del prossimo parlamento. Da un lato il vecchio commediante: la vocazione governativa, il voto d’ordine, e forse anche il voto utile - lo schieramento di destra essendo l’unico che abbia qualche chance di raggiungere da solo la maggioranza assoluta nelle Camere. Dall’altro lato il nuovismo, il libero sfogo alle frustrazioni a lungo covate, il vaffa a tutti quelli che si ritiene abbiano fallito e tradito. Non sappiamo come andrà a finire - nel mondo delle rappresentazioni e delle sensazioni, profetizzare è sempre un azzardo. Che il futuro politico dell’Italia dipenda per l’appunto da rappresentazioni e sensazioni, per il momento, è la sola certezza, poco confortante, che abbiamo.