giovedì 15 febbraio 2018

La  Stampa 15.2.18
Dj Fabo, il caso Cappato alla Consulta
Né assoluzione né condanna, i giudici di Milano rinviano gli atti alla Corte costituzionale Ora per l’esponente dei radicali andrà valutata la legittimità del reato di aiuto al suicidio
di Fabio Poletti


Braccia al cielo dove è volato Dj Fabo. Braccia al cielo perché c’è un giudice a Milano che ha stabilito che a ognuno di noi «va riconosciuta la libertà di decidere come e quando morire» e adesso scelgano i giudici della Corte Costituzionale se aiutare qualcuno a farlo, come Marco Cappato dell’Associazione Luca Coscioni con Fabiano Antoniani, sia un reato oppure no. Il giudice Ilio Mannucci Pacini ci mette più di un’ora a leggere le sedici pagine dell’ordinanza che minuziosamente raffronta leggi, sentenze della Cassazione e dettami costituzionali senza dimenticare un quasi quarantenne tetraplegico e cieco che ha fortissimamente voluto rinunciare alla sua vita che non era più vita. Solo allora Valeria Imbrogna, golfone grigio e occhi lucidi, la fidanzata di Dj Fabo che non lo ha lasciato solo un minuto dopo l’incidente e che non si è persa un’udienza, alza finalmente le braccia al cielo e abbraccia Marco Cappato: «E’ una vittoria non solo per Fabo ma per tutti quanti. Sono molto contenta, è giusto così. Le scelte del mio Fabo sono state determinanti».
Contento è Marco Cappato dell’Associazione Luca Coscioni che in Svizzera a morire ha già accompagnato altre persone come Dj Fabo e ancora ne accompagnerà. Il giudice lo ha assolto dall’accusa di aver rafforzato il convincimento a morire di Fabiano. Non ce n’era bisogno. Fabiano se ne era convinto prima ancora di rivolgersi a lui. Ma non è per questa assoluzione che Marco Cappato è soddisfatto e ringrazia i giudici della corte d’assise ma non solo: «Grazie a Fabiano per avere fatto pubblicamente quello che decine di persone fanno clandestinamente ogni anno, onorando così il valore della legge. Aiutare Fabiano era un mio dovere, la Corte Costituzionale stabilirà se questo era anche un suo diritto, oltre che un mio diritto. Da 32 anni giace in Parlamento un proposta di legge per l’eutanasia. La politica ha avuto 32 anni di tempo ma può ancora fare qualcosa in attesa della decisione della Corte Costituzionale che avrà il valore di una legge per tutti gli italiani».
Nel corridoio tutto marmo del palazzo di giustizia milanese uno grida: «Viva la vita, abbasso la morte». È rimasto solo lui della pattuglia di cattolici che per qualche udienza ha megafonato davanti agli ingressi del tribunale contro l’eutanasia, il suicidio assistito, l’aborto e il divorzio mescolando le leggi e la fede. Qui oggi conta soprattutto la legge. Quella che fa dire a Massimo Rossi il difensore di Marco Cappato: «Vittoria bellissima della cultura giuridica del nostro Paese». Il pubblico ministero Tiziana Siciliana che pure non voleva questo processo impugnato dalla procura generale e aveva chiesto l’assoluzione del leader radicale è ammirata dall’ordinanza del giudice: «Completa, completissima. Nessuno può valutare la quantità di dolore a cui una persona deve essere costretta. Se ci si presenteranno altri casi ci comporteremo allo stesso modo».
Le sedici pagine del giudice Mannucci Pacini finiscono alla Consulta, a Palazzo Chigi, a Camera e Senato. Il processo non è più solo a Marco Cappato che ha «agevolato» DjFabo a morire in Svizzera ma diventa il processo a tutti i DjFabo che non vogliono più vivere una vita che non è più vita. Scrivono i giudici nell’ordinanza: «Deve ritenersi che in forza dei principi costituzionali e anche della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, all’individuo sia riconosciuta la libertà di decidere quando e come morire e che di conseguenza solo le azioni che pregiudichino la libertà della sua decisione possano costituire offesa al bene tutelato dalla norma in esame». Ai giudici della Consulta l’ultima parola. Il processo a Marco Cappato per ora si ferma qui. Nessuna legge fermerà tutti gli altri DjFabo.