lunedì 12 febbraio 2018

internazionale 10.2.2018
L’esclusione di Washington
Seoul ha trattato con Pyongyang senza consultare gli Stati Uniti, e questo ha provocato tensioni con l’amministrazione Trump. Era uno degli obiettivi della tattica nordcoreana
di J. Cheng e M. Gordon, The Wall Street Journal, Stati Uniti


Quando il dittatore nordcoreano Kim Jong-un a capodanno ha suggerito che il suo paese avrebbe potuto partecipare alle Olimpiadi invernali, il presidente sudcoreano Moon Jae-in e i suoi collaboratori si sono riuniti immediatamente per elaborare una risposta amichevole. I funzionari statunitensi non sono stati inclusi nelle consultazioni e sono stati avvertiti solo poche ore prima che Seoul annunciasse la sua proposta di negoziati a Pyongyang. La mossa a sorpresa della Corea del Nord e l’apertura di Seoul hanno creato tensione tra la Corea del Sud e gli Stati Uniti, nonostante le dichiarazioni di pieno accordo. Le differenze sono emerse pubblicamente quando il presidente statunitense Donald Trump, nel suo primo discorso sullo stato dell’Unione, ha invocato sanzioni più dure contro la Corea del Nord, senza fare alcun riferimento al dialogo in corso tra le due Coree e al suo risultato più evidente: il 9 febbraio, all’inaugurazione delle Olimpiadi invernali di Pyeonchang, gli atleti dei due paesi sfileranno sotto un’unica bandiera. Diplomatici e funzionari di Washington e Seoul stanno cercando di gestire il complesso rapporto tra il governo di Moon, favorevole a un’apertura verso la Corea del Nord, e l’amministrazione Trump, che vuole privare Pyongyang delle sue armi nucleari isolandola e ha avvertito che potrebbe intraprendere un’azione militare se la Corea del Nord non dovesse rinunciare al nucleare. I due alleati hanno tratto conclusioni molto diverse dal discorso di capodanno di Kim. Alla Casa Bianca i funzionari sono rimasti colpiti dalla retorica bellicosa di Kim, che ha ordinato la produzione in massa di testate e missili balistici nucleari e ha invocato la riunificazione della penisola coreana, dichiarando di voler perseguire “la vittoria finale della rivoluzione”. Invece alla Casa blu, sede della presidenza sudcoreana, Moon e i suoi consiglieri sono stati incoraggiati dalla disponibilità di Kim a partecipare alle Olimpiadi e hanno liquidato il resto come le solite espressioni forti della retorica nordcoreana. Un’alleanza da proteggere Stati Uniti e Corea del Sud hanno fatto dei passi avanti per proteggere la loro alleanza. Il 4 gennaio Trump e Moon hanno deciso di rinviare le esercitazioni militari congiunte fino alla fine delle Paralimpiadi, il 18 marzo. I funzionari statunitensi, però, erano ancora irritati perché a dicembre Moon aveva presentato l’idea del rinvio come una richiesta sudcoreana in attesa dell’approvazione statunitense. Temendo che la frattura si aggravasse, il 10 gennaio Moon ha ammesso qualche divergenza con Washington e ha cercato di allentare la tensione riconoscendo a Trump il merito di aver creato l’apertura necessaria al dialogo tra le due Coree. Poi, durante un incontro a metà gennaio a San Francisco, il generale H.r. McMaster, consigliere per la sicurezza nazionale di Trump, ha ribadito ai colleghi sudcoreano e giapponese l’importanza di mantenere alta la pressione sulla Corea del Nord. Secondo McMaster era necessario procedere con le esercitazioni militari e rispondere uniti ai tentativi di Pyongyang di creare una frattura tra gli Stati Uniti e i loro alleati in Asia. Cercando di mantenere i rapporti sul binario giusto, gli Stati Uniti hanno cancellato lo scalo in Corea del Sud del sottomarino d’attacco Uss Texas, previsto per febbraio. Washington, inoltre, all’ultimo minuto ha concesso a Seoul un esonero dalle sanzioni in vigore contro Pyongyang per permettere agli atleti del Sud di allenarsi in un impianto sciistico nordcoreano insieme agli atleti del Nord, come previsto dagli accordi sulle Olimpiadi presi dalle due Coree. Per allentare le preoccupazioni statunitensi, Seoul ha concordato con Washington di procedere con le esercitazioni militari dopo le Paralimpiadi, come previsto in origine. La geografia è una delle principali ragioni della distanza tra le linee di Seoul e Washington. Mentre Trump ha detto che non permetterà alla Corea del Nord di sviluppare un missile che possa colpire il suolo statunitense con una testata nucleare, la Corea del Sud vive da tempo all’ombra dell’esercito nordcoreano, forte di un milione e centomila soldati. Qualsiasi azione militare americana rischierebbe di trasformare Seoul in un campo di battaglia. Le voci sulla possibilità che Washington sferri un attacco circoscritto contro la Corea del Nord dopo le Olimpiadi, insieme alla mancata nomina, il 2 febbraio, di Victor Cha come ambasciatore statunitense a Seoul, hanno provocato ulteriore confusione e frustrazione nel governo di Seoul. È da un anno che Washington è senza ambasciatore in Corea del Sud e su Cha c’era un consenso unanime. Cha, però, si è dichiarato contrario all’idea di un attacco preventivo. Joseph Yun, un funzionario del dipartimento di stato americano che si occupa della questione, ha escluso un’azione militare statunitense imminente. Ma poco dopo Trump ha inviato un messaggio più duro, ricevendo nello studio ovale otto profughi nordcoreani e sottolineando la questione delle violazioni dei diritti umani in Corea del Nord. Anche la politica interna sudcoreana ha giocato un ruolo importante nell’aumento delle tensioni. Moon, che era stato capo dello staff presidenziale durante il periodo di distensione tra le due Coree, è entrato in carica a maggio con l’impegno di migliorare i rapporti con Pyongyang. Nell’ultimo anno più volte Trump ha attaccato il governo sudcoreano, definendo in un tweet arrendevole la politica di Seoul e scrivendo in un altro tweet che anni di aiuti inviati alla Corea del Nord “non hanno funzionato”. Le divisioni interne ai due governi non hanno aiutato. Secondo i diplomatici statunitensi il ministero degli esteri sudcoreano è spesso stato tagliato fuori dalle decisioni di Moon sulla Corea del Nord, e a Washington un’opzione militare contemplata da McMaster non trova il sostegno del segretario della difesa Jim Mattis e del segretario di stato Rex Tillerson, più propensi a lasciare spazio alla diplomazia.