internazionale 10.2.2018
L’esclusione di Washington
Seoul
ha trattato con Pyongyang senza consultare gli Stati Uniti, e questo ha
provocato tensioni con l’amministrazione Trump. Era uno degli obiettivi
della tattica nordcoreana
di J. Cheng e M. Gordon, The Wall Street Journal, Stati Uniti
Quando
il dittatore nordcoreano Kim Jong-un a capodanno ha suggerito che il
suo paese avrebbe potuto partecipare alle Olimpiadi invernali, il
presidente sudcoreano Moon Jae-in e i suoi collaboratori si sono riuniti
immediatamente per elaborare una risposta amichevole. I funzionari
statunitensi non sono stati inclusi nelle consultazioni e sono stati
avvertiti solo poche ore prima che Seoul annunciasse la sua proposta di
negoziati a Pyongyang. La mossa a sorpresa della Corea del Nord e
l’apertura di Seoul hanno creato tensione tra la Corea del Sud e gli
Stati Uniti, nonostante le dichiarazioni di pieno accordo. Le differenze
sono emerse pubblicamente quando il presidente statunitense Donald
Trump, nel suo primo discorso sullo stato dell’Unione, ha invocato
sanzioni più dure contro la Corea del Nord, senza fare alcun riferimento
al dialogo in corso tra le due Coree e al suo risultato più evidente:
il 9 febbraio, all’inaugurazione delle Olimpiadi invernali di
Pyeonchang, gli atleti dei due paesi sfileranno sotto un’unica bandiera.
Diplomatici e funzionari di Washington e Seoul stanno cercando di
gestire il complesso rapporto tra il governo di Moon, favorevole a
un’apertura verso la Corea del Nord, e l’amministrazione Trump, che
vuole privare Pyongyang delle sue armi nucleari isolandola e ha
avvertito che potrebbe intraprendere un’azione militare se la Corea del
Nord non dovesse rinunciare al nucleare. I due alleati hanno tratto
conclusioni molto diverse dal discorso di capodanno di Kim. Alla Casa
Bianca i funzionari sono rimasti colpiti dalla retorica bellicosa di
Kim, che ha ordinato la produzione in massa di testate e missili
balistici nucleari e ha invocato la riunificazione della penisola
coreana, dichiarando di voler perseguire “la vittoria finale della
rivoluzione”. Invece alla Casa blu, sede della presidenza sudcoreana,
Moon e i suoi consiglieri sono stati incoraggiati dalla disponibilità di
Kim a partecipare alle Olimpiadi e hanno liquidato il resto come le
solite espressioni forti della retorica nordcoreana. Un’alleanza da
proteggere Stati Uniti e Corea del Sud hanno fatto dei passi avanti per
proteggere la loro alleanza. Il 4 gennaio Trump e Moon hanno deciso di
rinviare le esercitazioni militari congiunte fino alla fine delle
Paralimpiadi, il 18 marzo. I funzionari statunitensi, però, erano ancora
irritati perché a dicembre Moon aveva presentato l’idea del rinvio come
una richiesta sudcoreana in attesa dell’approvazione statunitense.
Temendo che la frattura si aggravasse, il 10 gennaio Moon ha ammesso
qualche divergenza con Washington e ha cercato di allentare la tensione
riconoscendo a Trump il merito di aver creato l’apertura necessaria al
dialogo tra le due Coree. Poi, durante un incontro a metà gennaio a San
Francisco, il generale H.r. McMaster, consigliere per la sicurezza
nazionale di Trump, ha ribadito ai colleghi sudcoreano e giapponese
l’importanza di mantenere alta la pressione sulla Corea del Nord.
Secondo McMaster era necessario procedere con le esercitazioni militari e
rispondere uniti ai tentativi di Pyongyang di creare una frattura tra
gli Stati Uniti e i loro alleati in Asia. Cercando di mantenere i
rapporti sul binario giusto, gli Stati Uniti hanno cancellato lo scalo
in Corea del Sud del sottomarino d’attacco Uss Texas, previsto per
febbraio. Washington, inoltre, all’ultimo minuto ha concesso a Seoul un
esonero dalle sanzioni in vigore contro Pyongyang per permettere agli
atleti del Sud di allenarsi in un impianto sciistico nordcoreano insieme
agli atleti del Nord, come previsto dagli accordi sulle Olimpiadi presi
dalle due Coree. Per allentare le preoccupazioni statunitensi, Seoul ha
concordato con Washington di procedere con le esercitazioni militari
dopo le Paralimpiadi, come previsto in origine. La geografia è una delle
principali ragioni della distanza tra le linee di Seoul e Washington.
Mentre Trump ha detto che non permetterà alla Corea del Nord di
sviluppare un missile che possa colpire il suolo statunitense con una
testata nucleare, la Corea del Sud vive da tempo all’ombra dell’esercito
nordcoreano, forte di un milione e centomila soldati. Qualsiasi azione
militare americana rischierebbe di trasformare Seoul in un campo di
battaglia. Le voci sulla possibilità che Washington sferri un attacco
circoscritto contro la Corea del Nord dopo le Olimpiadi, insieme alla
mancata nomina, il 2 febbraio, di Victor Cha come ambasciatore
statunitense a Seoul, hanno provocato ulteriore confusione e
frustrazione nel governo di Seoul. È da un anno che Washington è senza
ambasciatore in Corea del Sud e su Cha c’era un consenso unanime. Cha,
però, si è dichiarato contrario all’idea di un attacco preventivo.
Joseph Yun, un funzionario del dipartimento di stato americano che si
occupa della questione, ha escluso un’azione militare statunitense
imminente. Ma poco dopo Trump ha inviato un messaggio più duro,
ricevendo nello studio ovale otto profughi nordcoreani e sottolineando
la questione delle violazioni dei diritti umani in Corea del Nord. Anche
la politica interna sudcoreana ha giocato un ruolo importante
nell’aumento delle tensioni. Moon, che era stato capo dello staff
presidenziale durante il periodo di distensione tra le due Coree, è
entrato in carica a maggio con l’impegno di migliorare i rapporti con
Pyongyang. Nell’ultimo anno più volte Trump ha attaccato il governo
sudcoreano, definendo in un tweet arrendevole la politica di Seoul e
scrivendo in un altro tweet che anni di aiuti inviati alla Corea del
Nord “non hanno funzionato”. Le divisioni interne ai due governi non
hanno aiutato. Secondo i diplomatici statunitensi il ministero degli
esteri sudcoreano è spesso stato tagliato fuori dalle decisioni di Moon
sulla Corea del Nord, e a Washington un’opzione militare contemplata da
McMaster non trova il sostegno del segretario della difesa Jim Mattis e
del segretario di stato Rex Tillerson, più propensi a lasciare spazio
alla diplomazia.