internazionale 10.2.2018
Kathleen Richardson
Il sesso giusto
È
un’antropologa femminista convinta che il commercio dei robot del sesso
peggiorerà la condizione delle donne. Per questo ha fondato
un’associazione per fermarlo
di Alexander Krex, Die Zeit, Germania
Sta
facendo buio a Londra. La professoressa Kathleen Richardson si ferma
sul marciapiede e tira fuori un’arma immaginaria. Piega il braccio, come
se impugnasse una pistola, e mira a un bersaglio invisibile. “Immagina
che si stia avvicinando qualcosa di molto potente. Che fai?”, dice. Da
anni la sua risposta è sempre la stessa: non indietreggiare, anche se
probabilmente perderai. La battaglia che Kathleen Richardson combatte è
quella contro i robot del sesso, anche se per ora ne esistono solo pochi
esemplari. I suoi nemici non sono i robot, perché secondo l’antropologa
le bambole di gomma con un chip in testa sono solo degli oggetti. I
veri nemici sono gli uomini, come lo statunitense Matt McCullen, che con
i robot del sesso spera di diventare ricco. Ma i nemici sono anche i
progressisti che considerano la sessualità una questione privata. E i
nerd convinti che tutto sia possibile e che rispettano solo i limiti
imposti dalla tecnologia ma non quelli etici. Kathleen Richardson ha 45
anni, è una donna di bassa statura con grandi occhi verdi e i capelli
neri. Può sembrare una ragazza mentre gira per Londra con un
impermeabile a fiori e uno zaino sulle spalle. Quando parla, passa
velocemente da un tema all’altro. Richardson è un’antropologa e insegna
etica robotica e intelligenza artificiale all’università di Leicester.
Ma è anche la fondatrice di Campaign against sex robots, un’associazione
formata da quattro docenti universitarie che chiedono di vietare i
robot del sesso. Le quattro donne sono state ascoltate anche alla camera
dei lord di Londra e a Bruxelles. Per Richardson il tema è di scottante
attualità. Come succede spesso con la tecnologia, la teoria non riesce a
stare dietro ai fatti. Richardson si trova a Londra per partecipare a
una conferenza femminista. Secondo lei la catastrofe è imminente: le
persone rischiano l’alienazione totale. In Giappone, sostiene, la
catastrofe è già arrivata: “I giapponesi fanno sesso sempre di meno.
Invece di uscire con persone reali, hanno relazioni con personaggi dei
videogiochi”. Quella che per Richardson è una distopia per altri è
un’enorme opportunità. Oggi il settore delle tecnologie legate al sesso
fattura circa trenta miliardi di dollari all’anno grazie ai sex toys
computerizzati. E i robot del sesso, secondo gli esperti, avvieranno un
nuovo boom del mercato. L’università di Duisburg-Essen ha condotto uno
studio che ha coinvolto 263 uomini: il 40 per cento di loro ha ammesso
di aver preso in considerazione l’idea di comprare un robot del sesso.
Il potenziale bacino di clienti quindi è gigantesco. Docile e sottomessa
All’inizio del 2018 sono arrivati sul mercato i primi modelli, che
costano circa 15mila dollari. Sono prodotti dall’azienda californiana
Abyss, leader nel settore delle bambole di silicone. Negli ultimi anni
il fondatore della società, Matt McMullen, ha investito centinaia di
migliaia di dollari nel tentativo di dare vita alle sue bambole. Grazie
all’intelligenza artificiale sapranno reagire alle azioni di una persona
e ricordare le sue preferenze. Il cliente potrà deciderne l’aspetto:
colore della pelle, seno, viso, capelli. Quanto al carattere, i
produttori non si sono allontanati dall’idea della donna nei ilm porno:
docile e sottomessa. Prima o poi Harmony e le sue sorelle, che possono
anche essere affittate, faranno concorrenza alla prostituzione? Per
Richardson no. Nonostante la diffusione dei film porno le donne
impiegate nell’industria del sesso non sono mai state così tante. La
sera prima della conferenza, Richardson è seduta in un pub e spiega
perché odia le bambole del sesso: sono donne i cui orifizi hanno una
sola funzione, essere penetrati. Il cameriere ascolta per caso la nostra
conversazione e non riesce a nascondere un’espressione stupita. Dal
Golem medievale, passando per l’Olympia della novella L’uomo della
sabbia di E. T. A. Hofmann fino a Terminator, Blade runner e Westworld,
nelle nostre fantasie gli automi creati dall’uomo sono sempre stati più
della somma delle loro parti. Eppure, quello che nella fantascienza
degli anni ottanta sembrava un futuro lontanissimo come quello di Star
trek oggi è il presente. Per Richardson i miti sulle macchine pensanti,
che fanno parte dell’inconscio collettivo, sono un problema: fanno il
gioco di chi vuole usarli per arricchirsi. La conferenza femminista si
svolge in un’università, in centro. All’ingresso c’è un banchetto con
gadget, una borsa di stoffa con la scritta “facciamo a pezzi il
patriarcato”, magliette con lo slogan “le vere donne non si radono”.
L’aula in cui parla Richardson è rivestita di vecchia moquette blu.
Nella prima diapositiva che la professoressa proietta sulla lavagna si
vedono due immagini, un set di vibratori colorati e una bambola bionda
con un seno enorme e un sorriso lascivo. I vibratori, dice Richardson,
sono semplici strumenti per la stimolazione, una bambola invece
rappresenta una donna. Gli uomini in particolare non vogliono cogliere
la differenza. “È chiaro che non ho nulla contro i vibratori, usateli”,
dice l’antropologa. Dopo si comincia a fare sul serio: Richardson espone
il suo argomento fondamentale, una critica di Cartesio e del suo famoso
“Cogito ermo sum” (penso dunque sono). La concezione dell’uomo che ne
deriva – Richardson la chiama “patriarcato egocentrico” – secondo lei è
sbagliata. “Non esistiamo perché pensiamo, esistiamo perché ci sono
altri che ci scaldano, ci nutrono, ci proteggono”, dice. Quello che ci
rende degli individui non è un’idea, ma l’empatia. Ed è proprio
quest’ultima a essere messa a rischio quando ci relazioniamo con un
robot che possiamo trattare come ci pare. Il punto per l’antropologa è:
la vendita di robot sessuali abbassa le inibizioni degli uomini ad
andare con delle prostitute, che verrebbero trattate come dei robot.
Richardson cita la pubblicità di una bambola del sesso: “Mi puoi
trattare come una donna non ti permetterebbe mai di fare”. A quel punto
una ragazza si alza dalle ultime file e ringrazia Richardson per le sue
spiegazioni. Poi alza la voce: “Divento furiosa se penso che, attraverso
i robot sessuali, gli uomini si possono sfogare sul nostro corpo”.
Parte un applauso.
L’empatia in pericolo
Per Richardson al
centro della questione non ci sono solo le donne. Vuole salvare anche
gli uomini, anche loro vittime di una logica consumistica che
trasformerebbe le relazioni in merci. Fortunatamente come antidoto c’è
l’amore. La sala è d’accordo, qui Richardson gioca in casa. Di solito
parla davanti a sviluppatori ed esperti di tecnologia e la maggior parte
di loro non la segue su questo punto. Ai nerd abituati a ridurre i
problemi a sequenze di zero e uno il discorso di Richardson suona
incomprensibile. Da giovane Richardson era comunista, sognava che
l’umanità potesse essere libera, grazie a una ripartizione equa del
lavoro, magari con l’aiuto dei robot. “Un robot aspirapolvere che mi
pulisce casa? Sarebbe utile”, dice l’antropologa. In seguito ha studiato
l’intelligenza artificiale, passando mesi in un laboratorio dell’Mit,
in Massachusetts. Si è occupata anche di un progetto europeo che punta a
far uscire i bambini autistici dall’isolamento con i robot. Per
Richardson però i robot sono una simulazione, materia morta. Punto. Dei
cani sarebbero stati più salutari, dice. Alla fine del suo intervento
uno dei pochi uomini nel pubblico si avvicina al palco. È un antropologo
canadese di venticinque anni. Vuole sapere da Richardson cosa
succederebbe se i robot sessuali venissero proibiti. Chi li compra
finirebbe in carcere? È davvero convinta che gli uomini sceglierebbero
di fare sesso solo con i robot? L’antropologa lo interrompe: “Non
sarebbe sesso, per quello ci vogliono almeno due persone”. La sua
battaglia si combatte anche sui concetti. Chi ha altre domande può
fargliele via Skype, dice, ora deve partire. “Scrivetemi un’email, mi
trovate online, basta cercare su Google ‘Feminazi’”. In rete spesso la
chiamano così. Poi se ne va. L’antropologo canadese resta nell’aula.
Richardson non crede che anche le donne potranno essere interessate ai
robot sessuali, quando questi diventeranno più eloquenti? Glielo avrebbe
chiesto volentieri. Non sarebbe stato il primo a farle questa domanda.
Ovviamente potrebbe succedere, ha risposto Richardson in un’altra
occasione. Ma lei farà tutto il possibile perché non avvenga.