lunedì 12 febbraio 2018

internazionale 10.2.2018
Kathleen Richardson
Il sesso giusto
È un’antropologa femminista convinta che il commercio dei robot del sesso peggiorerà la condizione delle donne. Per questo ha fondato un’associazione per fermarlo
di Alexander Krex, Die Zeit, Germania


Sta facendo buio a Londra. La professoressa Kathleen Richardson si ferma sul marciapiede e tira fuori un’arma immaginaria. Piega il braccio, come se impugnasse una pistola, e mira a un bersaglio invisibile. “Immagina che si stia avvicinando qualcosa di molto potente. Che fai?”, dice. Da anni la sua risposta è sempre la stessa: non indietreggiare, anche se probabilmente perderai. La battaglia che Kathleen Richardson combatte è quella contro i robot del sesso, anche se per ora ne esistono solo pochi esemplari. I suoi nemici non sono i robot, perché secondo l’antropologa le bambole di gomma con un chip in testa sono solo degli oggetti. I veri nemici sono gli uomini, come lo statunitense Matt McCullen, che con i robot del sesso spera di diventare ricco. Ma i nemici sono anche i progressisti che considerano la sessualità una questione privata. E i nerd convinti che tutto sia possibile e che rispettano solo i limiti imposti dalla tecnologia ma non quelli etici. Kathleen Richardson ha 45 anni, è una donna di bassa statura con grandi occhi verdi e i capelli neri. Può sembrare una ragazza mentre gira per Londra con un impermeabile a fiori e uno zaino sulle spalle. Quando parla, passa velocemente da un tema all’altro. Richardson è un’antropologa e insegna etica robotica e intelligenza artificiale all’università di Leicester. Ma è anche la fondatrice di Campaign against sex robots, un’associazione formata da quattro docenti universitarie che chiedono di vietare i robot del sesso. Le quattro donne sono state ascoltate anche alla camera dei lord di Londra e a Bruxelles. Per Richardson il tema è di scottante attualità. Come succede spesso con la tecnologia, la teoria non riesce a stare dietro ai fatti. Richardson si trova a Londra per partecipare a una conferenza femminista. Secondo lei la catastrofe è imminente: le persone rischiano l’alienazione totale. In Giappone, sostiene, la catastrofe è già arrivata: “I giapponesi fanno sesso sempre di meno. Invece di uscire con persone reali, hanno relazioni con personaggi dei videogiochi”. Quella che per Richardson è una distopia per altri è un’enorme opportunità. Oggi il settore delle tecnologie legate al sesso fattura circa trenta miliardi di dollari all’anno grazie ai sex toys computerizzati. E i robot del sesso, secondo gli esperti, avvieranno un nuovo boom del mercato. L’università di Duisburg-Essen ha condotto uno studio che ha coinvolto 263 uomini: il 40 per cento di loro ha ammesso di aver preso in considerazione l’idea di comprare un robot del sesso. Il potenziale bacino di clienti quindi è gigantesco. Docile e sottomessa All’inizio del 2018 sono arrivati sul mercato i primi modelli, che costano circa 15mila dollari. Sono prodotti dall’azienda californiana Abyss, leader nel settore delle bambole di silicone. Negli ultimi anni il fondatore della società, Matt McMullen, ha investito centinaia di migliaia di dollari nel tentativo di dare vita alle sue bambole. Grazie all’intelligenza artificiale sapranno reagire alle azioni di una persona e ricordare le sue preferenze. Il cliente potrà deciderne l’aspetto: colore della pelle, seno, viso, capelli. Quanto al carattere, i produttori non si sono allontanati dall’idea della donna nei ilm porno: docile e sottomessa. Prima o poi Harmony e le sue sorelle, che possono anche essere affittate, faranno concorrenza alla prostituzione? Per Richardson no. Nonostante la diffusione dei film porno le donne impiegate nell’industria del sesso non sono mai state così tante. La sera prima della conferenza, Richardson è seduta in un pub e spiega perché odia le bambole del sesso: sono donne i cui orifizi hanno una sola funzione, essere penetrati. Il cameriere ascolta per caso la nostra conversazione e non riesce a nascondere un’espressione stupita. Dal Golem medievale, passando per l’Olympia della novella L’uomo della sabbia di E. T. A. Hofmann fino a Terminator, Blade runner e Westworld, nelle nostre fantasie gli automi creati dall’uomo sono sempre stati più della somma delle loro parti. Eppure, quello che nella fantascienza degli anni ottanta sembrava un futuro lontanissimo come quello di Star trek oggi è il presente. Per Richardson i miti sulle macchine pensanti, che fanno parte dell’inconscio collettivo, sono un problema: fanno il gioco di chi vuole usarli per arricchirsi. La conferenza femminista si svolge in un’università, in centro. All’ingresso c’è un banchetto con gadget, una borsa di stoffa con la scritta “facciamo a pezzi il patriarcato”, magliette con lo slogan “le vere donne non si radono”. L’aula in cui parla Richardson è rivestita di vecchia moquette blu. Nella prima diapositiva che la professoressa proietta sulla lavagna si vedono due immagini, un set di vibratori colorati e una bambola bionda con un seno enorme e un sorriso lascivo. I vibratori, dice Richardson, sono semplici strumenti per la stimolazione, una bambola invece rappresenta una donna. Gli uomini in particolare non vogliono cogliere la differenza. “È chiaro che non ho nulla contro i vibratori, usateli”, dice l’antropologa. Dopo si comincia a fare sul serio: Richardson espone il suo argomento fondamentale, una critica di Cartesio e del suo famoso “Cogito ermo sum” (penso dunque sono). La concezione dell’uomo che ne deriva – Richardson la chiama “patriarcato egocentrico” – secondo lei è sbagliata. “Non esistiamo perché pensiamo, esistiamo perché ci sono altri che ci scaldano, ci nutrono, ci proteggono”, dice. Quello che ci rende degli individui non è un’idea, ma l’empatia. Ed è proprio quest’ultima a essere messa a rischio quando ci relazioniamo con un robot che possiamo trattare come ci pare. Il punto per l’antropologa è: la vendita di robot sessuali abbassa le inibizioni degli uomini ad andare con delle prostitute, che verrebbero trattate come dei robot. Richardson cita la pubblicità di una bambola del sesso: “Mi puoi trattare come una donna non ti permetterebbe mai di fare”. A quel punto una ragazza si alza dalle ultime file e ringrazia Richardson per le sue spiegazioni. Poi alza la voce: “Divento furiosa se penso che, attraverso i robot sessuali, gli uomini si possono sfogare sul nostro corpo”. Parte un applauso.
L’empatia in pericolo
Per Richardson al centro della questione non ci sono solo le donne. Vuole salvare anche gli uomini, anche loro vittime di una logica consumistica che trasformerebbe le relazioni in merci. Fortunatamente come antidoto c’è l’amore. La sala è d’accordo, qui Richardson gioca in casa. Di solito parla davanti a sviluppatori ed esperti di tecnologia e la maggior parte di loro non la segue su questo punto. Ai nerd abituati a ridurre i problemi a sequenze di zero e uno il discorso di Richardson suona incomprensibile. Da giovane Richardson era comunista, sognava che l’umanità potesse essere libera, grazie a una ripartizione equa del lavoro, magari con l’aiuto dei robot. “Un robot aspirapolvere che mi pulisce casa? Sarebbe utile”, dice l’antropologa. In seguito ha studiato l’intelligenza artificiale, passando mesi in un laboratorio dell’Mit, in Massachusetts. Si è occupata anche di un progetto europeo che punta a far uscire i bambini autistici dall’isolamento con i robot. Per Richardson però i robot sono una simulazione, materia morta. Punto. Dei cani sarebbero stati più salutari, dice. Alla fine del suo intervento uno dei pochi uomini nel pubblico si avvicina al palco. È un antropologo canadese di venticinque anni. Vuole sapere da Richardson cosa succederebbe se i robot sessuali venissero proibiti. Chi li compra finirebbe in carcere? È davvero convinta che gli uomini sceglierebbero di fare sesso solo con i robot? L’antropologa lo interrompe: “Non sarebbe sesso, per quello ci vogliono almeno due persone”. La sua battaglia si combatte anche sui concetti. Chi ha altre domande può fargliele via Skype, dice, ora deve partire. “Scrivetemi un’email, mi trovate online, basta cercare su Google ‘Feminazi’”. In rete spesso la chiamano così. Poi se ne va. L’antropologo canadese resta nell’aula. Richardson non crede che anche le donne potranno essere interessate ai robot sessuali, quando questi diventeranno più eloquenti? Glielo avrebbe chiesto volentieri. Non sarebbe stato il primo a farle questa domanda. Ovviamente potrebbe succedere, ha risposto Richardson in un’altra occasione. Ma lei farà tutto il possibile perché non avvenga.