venerdì 9 febbraio 2018

il manifesto 9.2.18
Il paese invecchiato, dove si nasce meno, nella tenaglia razzista
Istat, rapporto sugli «indicatori demografici» 2017. Il saldo tra immigrazione e emigrazione aumenta, ma la popolazione straniera resta stabile ed è in fase «matura». L’incremento della popolazione immigrata è dovuta all’acquisizione della cittadinanza, mentre sulla «fuga» all’estero degli italiani pesa la «Brexit». Nona consecutiva diminuzione dei nati dal 2008. Il calo è maggiore nel Lazio: 7%.
di Roberto Ciccarelli


Gli stranieri residenti in Italia al 1° gennaio 2018 sono 5 milioni 65mila e rappresentano l’8,4% della popolazione, dato vicino a quello del 2017 (8,3%). L’incremento è di appena 18mila unità per un tasso pari al 3,6 per mille. È dal 2016 che la variazione della popolazione straniera sull’anno precedente presenta livelli modesti, soprattutto se comparata con quelli degli anni Duemila. Anche l’Istat – con il rapporto sugli «indicatori demografici» 2017 – dimostra che non esiste alcuna «invasione», il tema prediletto dalla propaganda razzista che è entrato nel senso comune grazie all’amplificazione acritica dei maggiori media televisivi, e non.
IL RALLENTAMENTO nella crescita della popolazione straniera si deve, spiega l’istituto nazionale di statistica, all’acquisizioni della cittadinanza italiana passate da 35mila nel 2006 a 202mila nel 2016. è il segno di una progressiva, ma ancora del tutto incompleta, «integrazione» che coinciderebbe secondo l’Istat con « una fase matura dell’immigrazione». Il dato va ponderato anche rispetto agli arrivi che tanta materia (involontaria) offrono alla suddetta propaganda razzista da un lato, securitaria dall’altro. Nell’ultimo quinquennio gli ingressi sono aumentati (337mila), anche a causa della moltiplicazione delle crisi in Africa e in Medioriente. Nel frattempo sono diminuite le uscite dal paese. Le emigrazioni per l’estero si attestano a 153mila unità, ovvero 4mila in meno del 2016. Lo stop – è l’ipotesi dell’Istat – si è sentito di più nel corso dell’ultimo anno, dopo la «Brexit». La Gran Bretagna, insieme alla Germania, è il paese di emigrazione dei (giovani) italiani. Il sussulto nazionalista anti-immigrati che ha portato anche all’addio all’Ue ha prodotto un contraccolpo: le immigrazioni sono diminuite di 80mila unità (-12%). Ciò ha frenato la «fuga» degli italiani compresi e può avere aumentato l’arrivo di migranti da noi. Al di là delle esemplificazioni populiste e razziste, le dinamiche legate alla mobilità degli umani sono sempre complesse e causate da precisi eventi geo-politici ed economici, oltre che psicologiche e sociali.
QUESTA SITUAZIONE si innesta su un corpo sociale ferito e ulcerato, a causa di crisi e precarietà, avvitato in una dinamica demografica negativa che riguarda la cittadinanza italiana. La popolazione prosegue la sua discesa: oggi è pari a 55 milioni 430mila residenti. La perdita sull’anno precedente è pari a 113mila residenti. Il paese appare oggi incanalato in una spirale di decrescita naturale che, alla luce dei bassi livelli di natalità espressi, non solo appare difficilmente controvertibile ma apre la strada alla concreta prospettiva di un ulteriore allargamento della forbice nascite-decessi negli anni a venire. Le nascite registrano la nona consecutiva diminuzione dal 2008, anno in cui furono pari a 577mila. La loro riduzione rispetto al 2016 interessa gran parte del territorio, con punte del -7% nel Lazio e del -5,3% nelle Marche.
RISULTATO: siamo un paese sempre più maturo (età media 45 anni). il 22,6% della popolazione ha età compiuta superiore o uguale ai 65 anni, il 64,1% ha età compresa tra 15 e 64 anni mentre solo il 13,4% ha meno di 15 anni. Rispetto a 10 anni fa le distanze tra le classi di età più rappresentative si sono ulteriormente allungate. Quale ulteriore conseguenza, i rapporti intergenerazionali si stanno anch’essi gradualmente modificando. L’indice di dipendenza degli anziani, ad esempio, risulta oggi pari al 56,1%, registrando un incremento di 4 punti sul 2008.
L’ISTAT AFFRONTA anche una questione dirimente per la vita, e per la libertà, delle donne: la maternità. Iil progressivo spostamento in avanti del loro «calendario riproduttivo» (discutibile categoria biopolitica applicata alla statistica e a un’idea produttivistica della vita) sarebbe la causa del calo circa 900mila in meno le donne residenti nella classe di età 15-50 anni rispetto al 2008 (1° gennaio), di cui 200mila in meno solo nell’ultimo anno . Nel frattempo, l’età media di queste donne è cresciuta da 33,8 anni nel 2008 a 35,2 anni nel 2018. Storicamente è una dinamica riconosciuta. Come in altri paesi del mondo occidentale, le donne rimandano la scelta di avere figli nella seconda parte della loro potenziale vita riproduttiva. L’età media del parto è in continuo aumento in Italia sin dal 1980 (27,5 anni) e pervenuta nel 2017 a 31,8 anni.
IN VISTA DEL 4 MARZO questa mappa è diventato l’oggetto di speculazioni elettorali. La Lega straparla di «record di immigrati sbarcati», la ministra della Sanità Lorenzin – quella del «Fertility Day» – invoca «urgenti politiche sulla natalità». Il Pd assicura che è al centro delle politiche del partitone centrista. Per tutto il giorno si è polemizzato sulle «dimissioni in bianco».