il manifesto 9.2.18
La democrazia si difende con la democrazia
Manifestazione antirazzista a Pozzallo nel 2013
di Tommaso Di Francesco
E
meno male che Minniti è «uomo silenzioso e riservatissimo», scriveva
ieri la Repubblica al seguito della sua campagna elettorale. Perché non
solo chiede voti con convinzione: «Se voi avete bisogno di sicurezza
sono la persona giusta da votare», insomma un ministro degli interni
buono per tutte le stagioni-coalizioni.
Ma soprattutto Minniti –
dimentico che la democrazia si difende con la democrazia e, storicamente
in Italia, da chi scende in piazza – ora ammonisce, minaccia, «vieta» e
rivendica.
Non gli è bastata la pressione esercitata sulle
organizzazioni democratiche Arci, Anpi, Libera e sulla Cgil che hanno
revocato all’ultimo momento la manifestazione nazionale antifascista che
avevano convocato domani a Macerata per protesta contro l’attentatore
fascio-leghista Traini.
Ora, di fronte alla protesta che si leva
dentro queste organizzazioni e di fronte alla presenza in piazza sabato a
Macerata della Fiom, di molte forze di sinistra e dei centri sociali,
incapace com’è di proibire la piazza ai neofascisti di Forza nuova e
Casa Pound che scorrazzano, con Salvini, per le Marche e non solo,
avverte che se l’appello a non manifestare non verrà accolto «dalle
forze politiche…ci penserà il Viminale a vietarle.
Non gli bastava
la breccia antidemocratica che ha aperto con l’avvio del blocco
dell’accoglienza ai migranti in Mediterraneo, dopo la colpevolizzazione
delle Ong di soccorso umanitario a mare, e con la consegna del controllo
degli sbarchi alla cosiddetta «guardia costiera libica».
Vale a
dire alle milizie che controllano, in armi e con centri di detenzioni
denunciati da tanti reportage giornalistici e da tutti gli organismi
umanitari – Unhcr-Onu, Human Right Watch, Amnesty International –
l’intera Libia, sempre in preda ad una feroce guerra intestina.
Eppure,
quando aveva dichiarato l’estate scorsa: «Se non avessimo fatto questo
in Libia c’era da temere per la tenuta democratica del Paese», aveva
ricevuto la pronta risposta del Guardasigilli Orlando: «Non credo sia in
questione la tenuta democratica del Paese per pochi immigrati rispetto
al numero dei nostri abitanti. Non cediamo alla narrazione
dell’emergenza perché altrimenti noi creiamo le condizioni per
consentire a chi vuole rifondare i fascismi di speculare». Ma il «nostro
riservatissimo» Minniti addirittura rilancia: «Ho fermato gli sbarchi
perché avevo visto all’orizzonte Traini», vale a dire l’azione armata
del fascio-leghista di Macerata. Insomma, siamo al populistico: l’ho
fatto per voi.
Così Minniti – che con l’uso della scrivania del
Duce, si compiace di raccontare che un «sultano dei Tuareg» l’ha
definito «l’inviato di dio» – dissimula il fatto che proprio questa
posizione rischia il giustificazionismo; e che è su questa ambiguità che
si è innestata la strumentalizzazione elettorale di Berlusconi della
cacciata dei 600mila migranti inesistenti, come inesistente è
«l’invasione» dei migranti.
Del resto come definire se non
giustificazioniste le sue dichiarazioni appena dopo gli spari del
fascioleghista Traini: «Nessuno deve farsi giustizia da sé». Come se in
quel gesto criminale ci fosse un barlume di giustizia collegabile alla
tragica vicenda della ragazza morta di overdose e barbaramente fatta a
pezzi dai pusher.
Ma l’ambiguità più grave è quella neo-coloniale.
«L’accordo con la Libia – dice Minniti – è un patrimonio dell’Italia di
cui dovremmo essere orgogliosi. Da sette mesi consecutivi calano gli
sbarchi, una cosa impensabile qualche tempo fa». L’accordo non è
servito, a quanto pare, a difendere la democrazia, ma a tenere il più
lontano possibile dalla coscienza democratica europea e dall’opinione
pubblica il misfatto delle morti a mare, relegandone il dramma nei
deserti, con tanto di minacce armate alle Ong umanitarie.
E
infatti denunciano l’Onu e l’Oim: «Nel gennaio 2018, 246 migranti sono
morti nel Mediterraneo nel tentativo di raggiungere per la maggior parte
l’Italia, cosa che fa di gennaio il mese più mortale nel Mediterraneo
dal giugno 2017».
Diminuiscono gli arrivi ma i flussi no.
Non
dimenticando che la Libia, oltre ai centri di detenzione per i migranti
in fuga da guerre e miserie spesso provocate dalla nostra economia di
rapina, è diventata una grande trappola nella quale sono rimasti
rinchiuse tra le 700mila e il milione di persone.
Che ora proviamo ad arginare – su 5mila km di frontiera? – arrivando militarmente in Niger.
L’idea
è allargare il sistema concentrazionario, esternalizzando l’accoglienza
in veri campi di concentramento, naturalmente coinvolgendo quel che
resta dell’Onu con i cosiddetti centri di identificazione.
Quindi
trasformiamo in lager buona parte del continente africano «per la nostra
democrazia», dimenticando che così facendo distruggiamo la democrazia
in Africa. Tantopiù che avendo il governo, il centrosinistra e il M5S,
accettato la formula di Salvini «aiutiamoli a casa loro», avviamo
missioni militari e investimenti che finiscono per sostenere solamente
le predatorie e leadership locali anche da noi strutturalmente corrotte.
Del
resto questo scambio «per la democrazia» è già accaduto per altri
«posti sicuri»: la Turchia del Sultano Erdogan, il supermercato d’armi
dell’Occidente, e l’Egitto del sodale golpista al-Sisi. Siamo al
disprezzo del diritto-dovere all’accoglienza e alla normalizzazione dei
flussi: questo un governo democratico dovrebbe fare, non rincorrere le
pulsioni razziste.